Poche sorprese e una qualità media non elevatissima: quello del 2010 non è stato un draft che rimarrà nella storia. La prima scelta, quest’anno nelle mani di Washington, non poteva che essere John Wall, playmaker da Kentucky, la squadra di coach John Calipari. Se, com’è probabile, dovesse vincere il titolo di Rookie of The Year, sarebbe il terzo giocatore allenato da Calipari ad aggiudicarsi il titolo, dopo Derrick Rose nel 2008 e Tyreke Evans nel 2009. Attaccante terrificante, velocissimo e spettacolare, Wall dovrà imparare a gestire la squadra anche a ritmi non elevati e costruirsi un tiro affidabile. Ha il tempo e la capacità per farlo: dovesse riuscirci sarà sicuramente uno dei top players della NBA. Washington fino a ieri era la squadra di Gilbert Arenas, adesso diventerà la squadra di John Wall, 20 anni, ma idee ben chiare (“Sono sempre stato un leader, in qualsiasi squadra abbia giocato”). Tradotto: Arenas non serve più, ci sono io. Problema: come si fa a vendere uno che ha giocato una cinquantina di partite negli ultimi tre anni, che estrae una pistola contro un compagno negli spogliatoi e che guadagna una ventina di milioni di dollari a stagione per i prossimi quattro anni? Sarà una vera gatta da pelare per la dirigenza di Washington.
Il giocatore più pronto e completo del draft è probabilmente Evan Turner: buona scelta di Philadelphia, anche se non sembra che Turner possa diventare un giocatore in grado di risollevare le sorti di una franchigia dal grande passato, ma dal futuro incerto. Sorprende un po’ la scelta dei New Jersey Nets, che decidono di puntare sull’ala forte Derrick Favors, invece che sull’ala piccola Wesley Johnson prontamente scelto da Minnesota. Johnson è un giocatore intelligente, bravo in difesa, atletico e con un buon tiro, può mettersi in mostra e aiutare i derelitti Timberwolves, squadra comunque giovane e con margini di crescita interessanti. Desta curiosità DeMarcus Cousins, scelto al numero 5 da Sacramento: diventerà una stella o sarà un bluff? 130 kg di potenza allo stato puro e un repertorio con dei buoni movimenti offensivi fanno molto comodo e chiunque dovrà marcarlo deve prepararsi a serate molto faticose. Dall’altra parte si tratta di un giocatore difensivamente devole e sulla cui tenuta psicologica sono stati espressi diversi dubbi. Attenzione, poi, alla massa di grasso corporeo, percentuale che potrebbe oscillare pericolosamente.
Pessima scelta per Golden State, che porta a casa Ekpe Udoh (veramente inspiegabile a meno che i Warriors non si divertano a collezionare i doppioni dei giocatori già presenti in rosa), mentre i Detroit Pistons si buttano su Greg Monroe: forse non il giocatore che si cercava, ma con una scelta alla 7 probabilmente non si poteva fare di meglio. I Los Angeles Clippers scelgono Al-Farouq Aminu, atleta pazzesco, ma che si deve costruire un tiro affidabile e trovare un’identità a livello NBA (ala piccola o ala forte?). Gli Utah Jazz pescano Gordon Hayward, bravo tiratore simbolo di Butler (il college che ha conteso fino all’ultimo il titolo NCAA alla strafavorita Duke), mentre gli Oklahoma City Thunder acquisiscono tramite uno scambio l’ex Kansas Cole Aldrich, centro bianco di 2 metri e 13 con ottimi fondamentali (anche se fino all’anno scorso era molto più considerato dagli scout NBA). I Thunder continuano ad accumulare giovani: dovessero acquistare un buon free-agent sul mercato potrebbero fare un salto di qualità importante. Toronto, la squadra dove giocano i “nostri” Andrea Bargnani e Marco Belinelli, ha scelto l’ala forte Ed Davis, ovvero il giocatore che sostituirà Chris Bosh, quasi certamente in partenza alla ricerca di nuove motivazioni e di una squadra più competitiva dopo sette anni ai Raptors. Se è vero che le cifre di Bosh sono importanti (24 punti, 11 rimbalzi, 2 assist e 1 stoppata a partita) e che è impensabile che Davis possa replicarle, è anche vero che Bosh era un giocatore che “calamitava” molti palloni: non è escluso quindi che la squadra, con un giocatore meno ingombrante al suo posto, possa risultare più efficace.
Resta poco altro da segnalare, se si eccettuano le due ottime scelte di Memphis, rappresentate dal numero 12 Xavier Henry, guardia completa con un ottimo tiro da tre, e da Greivis Vásquez, play venezuelano dalle prospettive interessanti. I due giocatori andranno a completare una squadra che l’anno scorso si è comportata decisamente bene: Daniel Orton è andato a Orlando e potrebbe già dare una bella mano a Dwight Howard. Molta curiosità circonda invece Jarvis Varnado, scelto al secondo giro da Miami, terrificante stoppatore che nell’ultimo anno di college ha conquistato il record NCAA di 564 stoppate, dimostrando un istinto quasi animalesco per l’interdizione: chiaramente l’NBA è un altro livello, ma Varnado potrebbe non soffrire più di tanto del passaggio.
Pochi gli internazionali presenti. Forse è proprio questa la novità del draft, dopo che negli ultimi anni abbiamo visto tanti europei e più in generale giocatori non americani protagonisti. Il primo internazionale scelto in questo draft è stato il francese Kevin Seraphin, finito a Washington più per le notevoli qualità atletiche che per le sue capacità tecniche (per quanto riguarda i fondamentali dovrà ripartire da zero o quasi), atteggiamento purtroppo sempre più frequente e che contribuisce a rendere il calo di livello del gioco sempre più evidente. Da notare Nemanja Bjelica al numero 35 (buon prospetto cercato nel recente passato anche dalla Benetton Treviso). Gli europei più interessanti si erano già ritirati dal draft, consapevoli che potrebbero essere più considerati al prossimo turno: parliamo soprattutto del bravissimo lituano del Treviso Donatas Motiejūnas e di Jan Vesely, ala del ’90 che ha contribuito attivamente a portare il Partizan Belgrado alle final four di Eurolega.
Andrea Marchesi