ALMANACCO DI SUDAFRICA 2010: 2 LUGLIO

La storia essenziale della Coppa del Mondo di Sudafrica 2010 raccontata, giorno dopo giorno, partita dopo partita, attraverso i tabellini e le reazioni della stampa delle nazioni in campo: una carrellata di prime pagine che fornisce uno spaccato di cultura sportiva, emozioni, tecnica giornalistica e non, design editoriale che permette di costruire un racconto non convenzionale della Coppa del Mondo 2010.




OLANDA – BRASILE 2-1 (0-1)

OLANDA: Stekelenburg, van der Wiel, Heitinga, Ooijer, van Bronckhorst , van Bommel, de Jong, Robben, Sneijder, Kuyt, van Persie (85′ Huntelaar).

BRASILE: Júlio César, Maicon, Lúcio , Juan, Bastos (62′ Gilberto), Dani Alves, Felipe Melo, G.Silva, Kaká, Luís Fabiano (77′ Nilmar), Robinho.

ARBITRO: Yuichi Nishimura (JPN)

GOL: 10′ Robinho (BRA), 53′ aut. Felipe Melo (BRA), 68′ Sneijder (NED)

NOTE: ammoniti van der Wiel, Heitinga, de Jong, Ooijer (NED), Bastos (BRA). Espulso al 73′ Felipe Melo (BRA) per gioco violento.

Volkskrant
O Dia
A Tarde Trouw

URUGUAY – GHANA 1-1 (1-0; 1-1; 1-1) – 4-2 d.c.r.

URUGUAY: Muslera, M.Pereira, Lugano (c) (38′ Scotti), Victorino, Fucile, A.Fernández (46′ Lodeiro), Pérez, Arévalo, Cavani (76′ Abreu), Suárez, Forlán.

GHANA: Kingson, Paintsil, Vorsah, John Mensah (c), Sarpei, Inkoom (74′ Appiah), Asamoah, Annan, K.Boateng, Muntari (88′ Adiyiah), Gyan.

ARBITRO: Olegário Benquerença (POR)

GOL: 47′ pt. Muntari (GHA), 55′ Forlán (URU)

NOTE: ammoniti Fucile, Pérez, Arévalo (URU), Sarpei, Pantsil, John Mensah (GHA). Espulso al 121′ Suárez (URU) per aver bloccato con le mani un tiro sulla linea di porta. Al 122′ Gyan (GHA) calcia un rigore sulla traversa.

El Observador The Citizen
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Massimo Brignolo

GERMANIA-ARGENTINA: IL LIBRO DEI RICORDI MONDIALI

Racconto sul filo dei ricordi dei precedenti mondiali tra Argentina e Germania: il bilancio pende dalla parte europea ma oggi i sudamericani possono equilibrare i conti.

1986: il goal di BurruchagaGermania ed Argentina si affronteranno oggi alle 16 al Green Point Stadium di Cape Town per la sesta volta in una fase finale dei Campionati Mondiali (tecnicamente in quattro delle cinque precedenti occasioni si trattava di Germania Ovest) con un bilancio di 2 vittorie per gli europei, 2 pareggi e una vittoria per i sudamericani.

I primi due incontri risalgono alla notte dei tempi del lungo periodo di decadenza del calcio argentino ed entrambi si sono svolti nei gironi preliminari e non in uno scontro dentro o fuori, tutto o niente come i successivi. Nel 1958, a Malmö, la Germania Ovest di Fritz Walter, Rahn e il primo Seeler superò la albiceleste con un secco 3-1 mentre 8 anni dopo a Birmingham l’incontro si chiuse a reti inviolate ed entrambe le squadre si qualificarono per l’eliminazione diretta dove entrambe pagarono lo scotto dei padroni di casa inglesi: l’Argentina uscì nei quarti (1-0) mentre la Germania Ovest arrivò sino alla finale.

Venti anni dopo le due nazionali si ritrovano a Città del Messico per l’atto conclusivo dei Campionati Mondiali del 1986. L’Argentina è Diego Maradona nel miglior mondiale della sua carriera: la mano de Dios contro gli inglesi, slalom incredibili contro gli stessi inglesi e il Belgio. Diego illumina una squadra che per il resto è composta da comprimari che difficilmente avrebbero potuto entrare nella storia del calcio: difensori dai piedi improbabili come Ruggeri o Olarticoechea, centrocampo di gregari al servizio di Maradona, qualche lampo di Burruchaga e Valdano. All’appuntamento finale l’Argentina si trova opposta alla solita Germania Ovest – è alla quarta finale nelle ultime sei edizioni – dove trionfa il prototipo del calciatore muscolare asservito ai moduli tattici preparati da Franz Beckenbauer in panchina: in mezzo al campo brilla Lothar Matthäus ma le fortune della squadra europea sono affidate alle ultime fatiche di Magath e di Kalle Rummenigge.

Il 29 giugno 1986, a mezzogiorno, lo Stadio Azteca ospita la seconda finale mondiale della sua storia. Beckenbauer sceglie di mettere Matthäus sulle piste di Maradona nel tentativo di limitare il fuoriclasse che può vincere da solo ogni partita, rinunciando in questo modo a qualcosa in fase offensiva. E’ il difensore Brown a sbloccare il risultato su punizione di Burruchaga con la decisiva complicità del portiere tedesco Schumacher e quando al 55′ Jorge Valdano chiude una splendida combinazione in rete la partita sembra chiusa. Ma i tedeschi hanno sette vite e la riscossa parte nel momento nel quale Kaiser Franz libera Matthäus dai compiti di marcatura. A un quarto d’ora dal triplice fischio segna Rummenigge e all’80’ la rimonta è conclusa da Völler subentrato all’evanescente Allofs. I tedeschi vogliono chiudere la partita e compiono un errore di presunzione: è l’83’ quando Maradona pesca con un lancio millimetrico Burruchaga che mette a segno la rete che vale una Coppa del Mondo.

29 giugno 1986
ARGENTINA – GERMANIA OVEST 3-2 (1-0)
Stadio Azteca, Città del Messico (MEX)

ARGENTINA: Pumpido, Brown, Cuciuffo, Ruggeri, Olarticoechea, Giusti, Batista, Maradona (c), Enrique, Burruchaga (89′ Trobbiani), Valdano.

GERMANIA OVEST: Schumacher, Jakobs, Berthold, Förster, Briegel, Matthäus, Brehme, Magath (63′ Hoeneß), Eder, Rummenigge (c), Allofs (46′ Völler).

ARBITRO: Arppi Filho (BRA)

GOL: 23′ Brown (ARG), 56′ Valdano (ARG), 74′ Rummenigge (FRG), 82′ Völler (FRG), 88′ Burruchaga (ARG)

Quattro anni dopo a Roma le due squadre si ritrovano ancora in finale: l’Argentina fatica nel suo cammino, Maradona non è quello di 4 anni prima, l’organico è di media qualità. Pronti,via e nella partita d’apertura è punita dal Camerun e si qualifica per l’eliminazione diretta come migliore terza ripescata. In un brutto ottavo di finale supera a Torino il Brasile 1-0, e sono i rigori a farle passare il turno sia contro la Jugoslavia sia contro l’Italia. La Germania, ancora allenata da Beckenbauer, ruota intorno ad un maturo Matthäus, pronto a lanciare Klinsmann e Völler, mentre dietro è la usuale solida squadra: negli ottavi supera l’Olanda di Gullit, Rijkaard e van Basten, nei quarti la Cecoslovacchia e nelle semifinali, in una epica battaglia con poca tecnica e molto cuore, ci vogliono i rigori per eliminare l’Inghilterra e atterrare per la terza volta consecutiva in finale.

La finale inizia male con gli inconcepibili fischi del pubblico di Roma all’inno argentino e gli insulti in risposta di Maradona e continua forse peggio: stanchezza, povertà tecnica, posta in gioco. E’ una delle peggiori finali della storia e il grande protagonista diventa l’arbitro messicano Codesal Méndez. Al 65′ espelle l’argentino Monzón e lascia in 10 i sudamericani, ignora un fallo da rigore su Dezotti e all’85’ concede un rigore per un’entrata regolare di Sensini su Völler. Realizza Brehme e le poche speranze di rimonta argentine sono vanificate dall’espulsione per doppia ammonizione di Dezotti. La Germania vince il terzo Mondiale ma per i palati fini è poca gloria.

8 luglio 1990
GERMANIA OVEST – ARGENTINA 1-0 (0-0)
Stadio Olimpico, Roma (ITA)

GERMANIA OVEST: Illgner, Augenthaler, Berthold (75′ Reuter), Kohler, Buchwald, Brehme, Häßler, Matthäus (c), Littbarski, Klinsmann, Völler

ARGENTINA: Goycochea, Simón, Serrizuela, Ruggeri (46′ Monzón), Troglio, Sensini, Burruchaga (54′ Calderón), Basualdo, Lorenzo, Dezotti, Maradona (c).

ARBITRO: Codesal Méndez (MEX)

GOL: 85′ rig. Brehme (FRG)

NOTE: espulsi al 65′ Monzón (ARG) e all’87’ Dezotti (ARG).

L’ultimo incontro è recentissimo: Berlino, 30 giugno 2006 nei quarti di finale, come oggi, dell’ultima edizione. Sulla panchina dei padroni di casa siede uno dei protagonisti della vittoria del 1990, Jürgen Klinsmann. È Ballack il cuore del gioco tedesco e le precedenti partite hanno mostrato l’ottima condizione dei due terminali d’attacco Klose e Podolski (3 reti a testa nei primi 4 incontri). La Germania domina il girone e negli ottavi liquida la Svezia con il più classico dei 2-0. L’Argentina, guidata da José Pekerman, si presenta alla fase finale con un peso specifico nella fase offensiva forse superiore a tutte le avversarie con una rosa che include Crespo, Maxi Rodríguez, Tévez, Messi, Julio Cruz, Aimar, Saviola e Riquelme: c’è solo l’imbarazzo della scelta e la necessità di trovare un equilibrio con una fase difensiva decisamente più povera anche se non mancano uomini di qualità come Cambiasso o Heinze. I sudamericani superano tranquillamente con 2 vittorie e un pareggio il girone e negli ottavi di finale supera nei tempi supplementari il Messico.

La Germania aggredisce subito l’Argentina con la spinta dei 70.000 spettatori dell’Olympiastadion ma non trova spazi utili e quando il ritmo scende è l’Argentina a prendere in mano il pallino del gioco senza però riuscire a colpire. Al 49′ su un calcio d’angolo di Riquelme arriva la rete argentina su incornata di Ayala e il secondo tempo vive dei tentativi tedeschi di raggiungere il pareggio prendendosi anche qualche rischio. E’ solo all’80’ che arriva il primo respiro di sollievo per i tifosi tedeschi: il solito Klose riesce ad insaccare un pallone messo in mezzo da Ballack. Non succede più nulla fino al triplice fischio e la partita va ai supplementari che scorrono con pochissime occasioni tra due squadre che non vogliono perdere. Sono i rigori a decidere l’esito della partita: Lehmann para i tiri di Ayala e Cambiasso e la Germania vola verso la semifinale contro l’Italia non prima di aver assistito ad un inizio di rissa con schiaffo di Frings a Julio Cruz che gli costerà la squalifica.

30 giugno 2006
GERMANIA – ARGENTINA 1-1 (0-0, 1-1, 1-1) 5-3 d.c.r.
Olympiastadion, Berlino (GER)

GERMANIA: Lehmann, Friedrich, Metzelder, Mertesacker, Lahm, Schneider (62′ Odonkor), Frings, Ballack, Schweinsteiger (75′  Borowski), Podolski, Klose (85′ Neuville).

ARGENTINA: Abbondanzieri (71′ Franco), Coloccini, Ayala, Heinze, Sorín, González, Mascherano, Rodríguez, Riquelme (71′ Cambiasso), Tévez, Crespo (79′ Cruz ).

ARBITRO: Micheľ (SVK)

GOL: 49′ Ayala (ARG), 80′ Klose (GER)

RIGORI: Neuville (GER) gol, Cruz (ARG) gol, Ballack (GER) gol, Ayala (ARG) parato, Podolski (GER) gol, Rodríguez (ARG) gol, Borowski (GER) gol, Cambiasso (ARG) parato.

Massimo Brignolo

URUGUAY: FEBBRE A 120′

L’Uruguay passa le forche caudine del Ghana solo ai rigori, dopo che all’ultimo minuto di gioco una mano di Suárez e un rigore sbagliato di Gyan avevano graziato la Celeste.

Esce anche l’ultima africana dalla prima Coppa del Mondo disputata nel continente: al quarto di finale disputato al Soccer City un Ghana mai domo cede il passo solo ai rigori (4-2, dopo che i tempi regolamentari e i supplementari si erano chiusi sull’1-1) all’Uruguay di Oscar Washington Tabárez. Una partita torrida e ruvida che fino all’ultimissimo minuto del supplementare non ha mancato di regalare emozioni.

Il momento decisivo della partita è proprio quel 120′: è l’ultima azione della partita e i ghanesi, dopo aver dominato il secondo tempo supplementare, tentano un’ultima sortita offensiva. Da una punizione sulla destra Muslera respinge il tiro. Appiah cerca di girare il rimpallo a rete, ma la palla rimbalza sulle gambe di Suárez e poi viene colpita di testa verso rete da Adiyiah. La ferma di nuovo Suárez, sulla riga, di mano: cartellino rosso e rigore contro per l’uruguagio, ma partita salvata. Dal dischetto degli undici metri Asamoah Gyan, con il peso di tutta l’Africa sulle spalle, fa tremare la traversa. Al direttore di gara, il portoghese Benquerença, non resta che fischiare e rimandare il verdetto ai rigori. Ma mentre Gyan si riscatta dall’errore commesso tre minuti prima trasformando il primo penalty della serie, il tiro da fermo di Mensah e quello di Adiyiah, entrambi indirizzati alla sinistra di Muslera, vengono neutralizzati dal portiere della Lazio, e il cucchiaio del loco Abreu conclude con l’ennesima emozione della serata un incontro disputato sul filo del rasoio e deciso in maniera drammatica.

Era stato l’Uruguay a dimostrarsi più convincente in avvio di partita, abile a rallentare il ritmo dei ghanesi e ad accelerarlo repentinamente una volta entrati in possesso di palla. Gli africani, per contro, hanno acquistato gradualmente coraggio, salendo in cattedra verso metà del primo tempo e sbloccando il punteggio proprio a ridosso dell’intervallo: l’effetto del tiro di Sulley Muntari dai trenta metri sorprende Muslera e decreta la rete dell’1-0 che affossa un Uruguay rimasto privo del capitano Lugano, infortunatosi una decina di minuti prima.

Nella ripresa il Ghana conferma la sua contraddizione: una squadra capace di ottime accelerazioni, di fraseggi veloci, precisi e cristallini negli spazi ristretti, più volte si fa trovare a controllare il pallone in maniera goffa e impacciata. Contraddizione ben rappresentata anche dal portiere Richard Kingson che, a salvataggi istintivi e rinfrancanti, ha alternato momenti di insicurezza quasi imbarazzanti. Suo l’errore che concede, al decimo della ripresa, il pareggio all’Uruguay: Forlán batte una punizione dalla sinistra, Kingson si sposta di quel metro che basta a farlo trovare fuori posizione.

Resta comunque un Ghana che ha messo il cuore fino all’ultimo e che si è reso protagonista di ottime performance. In quest’occasione hanno brillato l’instancabile lavoro di Samuel Inkoom, le sgroppate di Kevin-Prince Boateng e un Asamoah Gyan, punto di riferimento dell’attacco ghanese che, fino all’ultimo, anche dopo due ore di gioco, non ha smesso di mettere in difficoltà l’ottima difesa della Celeste. Terza squadra africana nella storia a qualificarsi ai quarti, come Camerun (1990) e Senegal (2002) il Ghana è arrivato a pareggiare alla fine del tempo regolamentare, disputando i tempi supplementari. E come Camerun (battuto da un rigore dell’inglese Lineker al 105′) e Senegal (rete del turco Mansız al quarto minuto del primo supplementare), non è riuscito ad accedere alla semifinale.

Per l’Uruguay da sottolineare la prova di Jorge Fucile, determinante nonostante il colpo che gli ha fatto perdere brevemente i sensi alla fine del primo tempo, il lavoro di interdizione di Egidio Arévalo e soprattutto un Diego Forlán, poi ben supportato da Abreu, che ha fatto vedere ottimi spunti offensivi. Il prossimo ostacolo sarà l’Olanda, e sarà durissima affrontarla con i 120 minuti di oggi nelle gambe e nella testa, e soprattutto con diverse assenze di peso. Mancheranno all’appello infatti gli squalificati Fucile e Suárez, novella mano de Dios uruguagia, oltre a Godín e, con ogni probabilità, capitan Diego Lugano, il cui infortunio al ginocchio è parso serio.

Venerdì 2 luglio 2010
URUGUAY – GHANA 1-1 (1-0; 1-1; 1-1) – 4-2 d.c.r.
Soccer City, Johannesburg (RSA)

URUGUAY: Muslera, M.Pereira, Lugano (c) (38′ Scotti), Victorino, Fucile, A.Fernández (46′ Lodeiro), Pérez, Arévalo, Cavani (76′ Abreu), Suárez, Forlán.

GHANA: Kingson, Paintsil, Vorsah, John Mensah (c), Sarpei, Inkoom (74′ Appiah), Asamoah, Annan, K.Boateng, Muntari (88′ Adiyiah), Gyan.

ARBITRO: Olegário Benquerença (POR)

GOL: 47′ pt. Muntari (GHA), 55′ Forlán (URU)

NOTE: ammoniti Fucile, Pérez, Arévalo (URU), Sarpei, Pantsil, John Mensah (GHA). Espulso al 121′ Suárez (URU) per aver bloccato con le mani un tiro sulla linea di porta. Al 122′ Gyan (GHA) calcia un rigore sulla traversa.

RIGORI:

URUGUAY 4 GHANA 2
Forlán 1 Gyan 1
Victorino 2 Appiah 2
Scotti 3 John Mensah 2 (p)
M.Pereira 3 (a) Adiyiah 2 (p)
Abreu 4

Damiano Benzoni

IL PROGETTO PELLEGRINI PER LONDRA 2012

Federica Pellegrini si è messa in testa un’idea pazzesca: vincere in tutte le distanze dello stile libero, dai 100 agli 800, in vista di Londra 2012.

Federica Pellegrini
Deepbluemedia.eu/G.Perottino

Con la vittoria dei 100 sl con un tempo ottimo (55’’80) alla manifestazione dell’Harbour Club di Milano, nasce il grande dilemma e la grande sfida di Federica Pellegrini che ci accompagnerà fino a Londra 2012. Tutto parte dalla voglia di andare oltre che è tipica della veronese ed era una caratteristica anche di Castagnetti, mai felice fino in fondo dei risultati dei suoi atleti. Per seguire le tracce e il modello di Castagnetti, Federica è ripartita dal progetto “Londra 2012”, in cui vuole stupire il mondo e diventare la più grande nuotatrice di tutti i tempi (in effetti come obiettivo non è niente male). I termini del progetto sono molto semplici quanto incredibile: vincere tutte le gare dello stile libero dai 100 agli 800, scusate se è poco.

Stefano Morini ha preso l’eredità di Castagnetti, ritrovandosi questa pazza idea tra capo e collo, più per la volontà di Federica che per un reale obiettivo tecnico. A lui sarebbe piaciuto confermare i 200 sl e dominare i 400 sl, specialità preferita. Ma un po’ per il progetto Castagnetti, un po’ per riamare la prima fiamma (Federica adora i 100 sl, specialità dell’adolescenza), se altre prove come quella di Milano andranno a buon fine, l’avventura continuerà.

Premesso tutto ciò, sarebbe giusto anche valutare se il progettone Pellegrini può andare in porto. E qui passiamo dal sogno alla realtà. Sui 200 sl ha acquisito un vantaggio competitivo sulle avversarie, anche perché al di là della Balmy e dell’australiana Evans Blair non ci sono grandi avversarie. I 400 sl nuotati in 04’04’’30 sono irraggiungibili anche per la prediletta di casa Adlington. C’e da capire se Federica può rendere allo stesso modo nelle altre due distanze.

Gli 800 sl sono per tutti gli esperti una possibile distanza dove sfruttare la seconda parte delle sue gare. Se  gira rilassata nella prima parte di gara e non è lontana dalle altre, può piazzare l’allungo decisivo nei secondi  400, potendo chiudere anche al di sotto dell’8’21’’25 primato stagionale dell’Adlington. In questo caso il problema sono proprio le avversarie. Rebecca la nasona può abbassare di più di un secondo questo tempo e per Londra si allenerà al massimo. Alla britannica bisogna aggiungere la costanza di Lotte Friis, campionessa mondiale con uno spaventoso 8’15’’92 (costumoni-ini, ma che avete combinato?). Almeno 4 secondi di quel tempo è merito dei costumi, ma la Friis di Roma fa paura.

Se gli 800 sl possono adattarsi alla Fede nazionale, i 100 sl sono ancora più complicati. Federica (che l’anno scorso con i costumoni ha nuotato 53”55) soffre sempre la prima vasca (a Milano una piccola inversione di tendenza con un 27’’77) ed è difficile recuperare sugli squali americani e olandesi (quest’anno Kromowidjojo è prima nel ranking FINA con 53’’44 e la Vollmer la tallona da lontano con 54’’30). Per me Federica non ha ancora questi tempi, per colpa di un’impostazione che predilige le grandi distanze e per una meccanica di nuoto forse troppo poco frenetica per lo scatto necessario della seconda vasca. Insomma Morini deve costruire una nuova Pellegrini, che sappia incamerare i ritmi delle distanze lunghe e vincere queste gare in scioltezza, per poi imporre nuova freschezza nelle distanze brevi. Facile a dirsi…

Jvan Sica

L’OLANDA E MELO SORPRENDONO DUNGA

Olanda
EPA/Robert Ghement

Come già successo altre sei volte (nel 2006, 1986, 1982, 1978, 1974 e 1954), i quarti di finale si confermano come un’autentica macumba per il Brasile. E questa volta, a salire sull’altare in veste di gran sacerdote del rito sacrificale, è stata chiamata l’Olanda del selezionatore Bert van Marwijk.

Che non era l’Olanda di Cruijff, Neeskens e Rep, ma nemmeno quella di van Basten, Gullit e Rijkaard, lo si era già visto nelle fasi di qualificazione. E anche quella che si è vista questo pomeriggio a Porth Elizabeth si è confermata come una squadra senza individualità di particolare spessore, fatta eccezione per l’ala destra mancina (scusate l’ossimoro) Arjen Robben, che senza concedere troppo allo spettacolo, espone un collettivo solido, con un gioco fatto di schemi elementari, ma pericolosissimo in contropiede e negli spazi larghi.

Il Brasile, senza la punta Elano, ancora indisponibile dopo le legnate dei ruvidi difensori della Costa d’Avorio, era partito in grande spolvero, andando in gol dopo appena 10 minuti al termine di una rapida azione conclusa da un tocco di destro di Robinho. E la squadra verdeoro ha dominato per tutto il primo tempo, nonostante il fardello di un evanescente Kakà: più un turista che un protagonista a questi mondiali sudafricani.

Anche il secondo tempo era sembrato cominciare con la stessa musica; ma la samba dei brasiliani è stata interrotta improvvisamente da un tiro cross di Sneijder, deviato di testa nella propria rete da Felipe Melo. Questo gol inaspettato ha frastornato il Brasile e disunito la coralità delle sue azioni. Di contro l’Olanda ha ripreso coraggio, e sugli sviluppi di un calcio d’angolo da destra, ancora Sneijder ha trovato il colpo di testa del 2-1.

Per i brasiliani arrivano momenti di confusione totale. La squadra si sbilancia all’attacco e subisce i rapidi contropiedi olandesi, finché Felipe Melo, colto più da un raptus che dalla frustrazione, pesta con i tacchetti le caviglie di Robben disteso a terra. Il cartellino rosso è inevitabile, e il Brasile in dieci contro undici parte all’assedio della porta di Stekelenburg più con la forza della disperazione che con le magie del futebol bailado.

Già, il futebol bailado: il suo ricordo è sempre più lontano.

Venerdì 2 luglio 2010
OLANDA – BRASILE 2-1 (0-1)
Nelson Mandela Bay, Port Elizabeth (RSA)

OLANDA: Stekelenburg, van der Wiel, Heitinga, Ooijer, van Bronckhorst , van Bommel, de Jong, Robben, Sneijder, Kuyt, van Persie (85′ Huntelaar).

BRASILE: Júlio César, Maicon, Lúcio , Juan, Bastos (62′ Gilberto), Dani Alves, Felipe Melo, G.Silva, Kaká, Luís Fabiano (77′ Nilmar), Robinho.

ARBITRO: Yuichi Nishimura (JPN)

GOL: 10′ Robinho (BRA), 53′ aut. Felipe Melo (BRA), 68′ Sneijder (NED)

NOTE: ammoniti van der Wiel, Heitinga, de Jong, Ooijer (NED), Bastos (BRA). Espulso al 73′ Felipe Melo (BRA) per gioco violento.

Giuseppe Ottomano