SPORT E SOCIETÀ: LA PUBLIC COMPANY CONTRO LA CRISI DEL CALCIO ITALIANO

E’ nato ieri ufficialmente il Venezia United, la public company che si affiancherà all’attuale dirigenza della squadra lagunare.

Venezia UnitedMantova, Gallipoli, Rimini, Salernitana, Foggia, Cavese, Olbia, Catanzaro..  l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Tutte queste squadre rischiano di non prendere parte ai campionati professionistici della prossima stagione. Insomma quei presidenti che non sono Moratti o Abramovic e non hanno saputo gestire oculatamente le proprie società, rischiano di veder sparire le loro squadre dal calcio che conta. L’anno scorso la triste sorte del fallimento toccò, fra le altre, alle blasonate Venezia, Pisa, Avellino e Treviso; quest’anno il copione rischia di ripetersi.

Le responsabilità non sono però esclusivamente legate all’attuale crisi economica ma vanno fatte risalire agli anni Novanta quando il lassismo del governo del calcio italiano ha permesso a società ultra indebitate e  in stato fallimentare di trasformarsi in modelli vincenti. Basterebbe citare la Fiorentina di Checchi Gori, la Lazio di Cragnotti e il Parma di Tanzi. L’attuale redistribuzione dei diritti televisivi inoltre tende a penalizzare molto le piccole società delle serie minori.

Ieri la Pro Vercelli si è garantita la salvezza economica utilizzando il più antico dei metodi: una colletta che ha recuperato 140 mila euro fondamentali per iscrivere il club al campionato. Qualcosa di più strutturato è invece nato a Venezia sulla scia delle esperienze pioneristiche di Modena, Roma e Pisa.

Dopo due fallimenti in meno di cinque anni e un numero non meglio precisato di personaggi dalle dubbie virtù morali alla guida della società, i tifosi hanno detto basta. Ieri, all’assemblea costitutiva tenutasi al Palaplip di Mestre, è nato il “Venezia United”, la public company che si affiancherà all’attuale dirigenza nella gestione della squadra.

Fondamentale, oltre all’entusiasmo dei tifosi e di tutta la comunità cittadina a partire dal neopresidente Franco Vianello Moro, è stato l’appoggio di Supporter Direct, la rete che in tutt’Europa aiuta a promuovere l’azionariato popolare, i trust di tifosi e una partecipazione attiva e consapevole di essi all’interno del proprio club sportivo. Solamente in Gran Bretagna la Supporter Direct collabora con più di 160 organizzazione di tifosi e può vantare l’Uefa fra i suoi finanziatori.

In Italia Modena è stata la prima città a creare una cooperativa di tifosi, seguita da Roma. Anche Pisa e ora Venezia stanno cercando di realizzare l’azionariato popolare sul modello europeo.

In Inghilterra questo sistema è diventato uno strumento per sfidare le deformazioni del calcio moderno. Nel 2005 alcuni tifosi dei Red Davils con l’avvento della presidenza Glazer che scaricava i costi dei propri debiti hanno fondato la propria squadra: lo United of Manchester imitando l’Afc Wimbledon che era nato nel 2002 dopo che il neo presidente aveva spostato la squadra, con il permesso della FA, a Milton Keynes città distante ben 100 Km da Wimbledon. L’azionariato popolare però è adottato anche dalle grandi squadre come l’Arsenal che consente ai propri tifosi di detenere il 15% del capitale societario.

Nella penisola iberica l’azionariato popolare è una realtà ancora più solida e vincente. Il Barcellona, per esempio, ha più di 140.000 soci-azionisti che ogni 4 anni votano a suffragio universale il presidente e il comitato direttivo e possono usufruire di sconti e corsie preferenziali.

In Italia l’azionariato popolare è ancora a livello embrionale ma la nascita del Venezia United, di Insieme per il Pisa o di MyRoma rappresenta sicuramente un passo in avanti. Il problema più grande è però culturale: se i presidenti delle società accetteranno di sottoporsi al controllo dei propri tifosi anche tramite periodiche elezioni allora il modello dell’azionariato popolare potrebbe essere davvero vincente sia in termini economici che culturali. In caso contrario queste public company rischierebbero di trasformarsi in semplici raccoglitori di denaro utili per  collette come quelle di Vercelli.

Link Utili:

Supporter direct: http://supporters-direct.org/home.asp
United of Manchester: http://www.fc-utd.co.uk/
Afc Wimbledon: http://www.afcwimbledon.co.uk/
Azionariato popolare Italia: http://www.azionariatopopolareitalia.it/
Venezia: http://www.veneziaunited.com/
Modena: www.coopmodenasportclub.it
Pisa: http://www.insiemeperilpisa.it/
Roma: http://myroma.it/ e http://www.azionariatopopolareasroma.com/


Nicola Sbetti

BRASILE-OLANDA: IL LIBRO DEI RICORDI MONDIALI

La storia delle tre sfide mondiali tra Brasile e Olanda con un bilancio in equilibrio prima del quarto di finale di domani sera.

La rete di Cruijff nel 1974Il menu dei quarti di finale di Sudafrica 2010 propone una miscela di grandi classiche e prime assolute; se la seconda categoria annovera Uruguay-Ghana e Spagna-Paraguay, Argentina-Germania e Brasile-Olanda rappresentano ormai delle vere e proprie classiche dei Campionati Mondiali.

Verdeoro e tulipani si sono incontrati tre volte nelle fasi finali della Coppa del Mondo e sempre in occasioni decisive, dentro o fuori. Per il primo incrocio dobbiamo fare un salto indietro di 36 anni, alla edizione del 1974 dove impazza il calcio totale dell’Olanda di Cruijff e Neeskens, con i difensori che partecipano alla manovra offensiva e un continuo movimento di tutta la squadra: forse la maggiore innovazione degli ultimi 50 anni non sufficientemente premiata dai risultati – gli olandesi arrivarono per ben due volte alla finale sempre puniti dai padroni di casa. Dall’altra parte il Brasile si presenta in Germania per i primi Mondiali del dopo Pelé e, in assenza di un cambio generazionale valido, si affida ancora agli eroi del 1970 come Jairzinho e Rivelino in una delle peggiori versioni dei verdeoro che si ricordi.

Le due squadre si incontrano nell’ultima giornata della seconda fase, un girone a quattro squadre che promuove la prima classificata alla finalissima. Olanda e Brasile sono a pari punti ma la differenza reti premierebbe in caso di pareggio i tulipani. Gli olandesi prendono l’iniziativa in un match sul filo del nervosismo ma la difesa verdeoro regge per tutto il primo tempo. Sono le giocate di Johan Cruijff a decidere la partita: al 50′ il profeta del goal mette una punizione sul piede di Neeskens che trafigge Leao e un quarto d’ora dopo mette il sigillo personale raccogliendo al volo un centro di Rensebrink. L’Olanda vola verso il suo destino in una finale dove soccomberà al muro tedesco, il Brasile si deve accontentare della finalina dove cede il terzo posto alla Polonia di Lato e Deyna.

3 luglio 1974
OLANDA – BRASILE 2-0 (0-0)
Westfalenstadion, Dortmund (FRG)

OLANDA: Jongbloed, Suurbier, Haan, Rijsbergen, Krol, Jansen, Neeskens (85′ Israel), van Hanegem, Rep, Cruijff (c), Rensenbrink (67′ de Jong).

BRASILE: Leão, Zé Maria, Luís Pereira, M.Marinho (c), F.Marinho, César Carpegiani, Rivelino, Dirceu, Valdomiro, Jairzinho, Paulo César Lima (61′ Mirandinha).

ARBITRO: Tschenscher (FRG)

GOL: 50′ Neeskens (NED), 65′ Cruijff (NED)

I cammini delle due nazionali si incrociano nuovamente 20 anni dopo: è al tramonto la seconda generazione di olandesi protagonisti, quella che nel 1988 ha vinto i Campionati Europei. Del trio milanista, vera spina dorsale degli Orange di fine anni Ottanta, resta solo Frank Rijkaard; Gullitt ha lasciato la Nazionale e Van Basten è alle prese con le mille operazioni che porteranno al ritiro troppo precoce del cigno di Utrecht. Dirk Advocaat si affida agli estri del solito indecifrabile Dennis Bergkamp. Sulla panchina brasiliana siede Carlos Alberto Parreira che dopo le ultime delusioni (eliminazione negli ottavi a Italia 90) ha introdotto un modulo all’europea nel complesso verdeoro dove compaiono interditori solidi come Carlos Dunga che recuperano palloni per innescare i micidiali Romario e Bebeto.

Parreira e Advocaat si ritrovano di fronte il 9 luglio a Dallas nei quarti di finale: il Brasile vi è arrivato dopo un tranquillo girone e un ottavo contro i padroni di casa passato alla storia per la gomitata di Leonardo a Ramos mentre l’Olanda ha faticato perdendo contro il Belgio la partita inaugurale e superando negli ottavi una scialba Irlanda. Il primo tempo è di una noia mortale ma nei secondi 45 minuti si accendono le polveri e ne esce uno dei migliori periodi della storia recente dei Mondiali. Il risultato è sbloccato al 53′ da una combinazione Bebeto – Romario che trafigge De Goey; lo svantaggio costringe i tulipani a scoprirsi e dieci minuti dopo è Bebeto a presentarsi in contropiede da solo davanti al portiere e a mettere a segno la rete che sembra della sicurezza. L’Olanda non ci sta e riesce a riacciuffare la partita: un minuto dopo segna Bergkamp e al 76′ Winter completa un uno-due che potrebbe indirizzare la partita ai supplementari. A non crederci è Branco, il difensore del Brescia e del Genoa che sostituisce lo squalificato Leonardo, che con una delle sue micidiali punizioni chiude le ostilità a nove minuti dal fischio finale: il Brasile avanza e conquisterà la Coppa del Mondo nella finale di Pasadena contro l’Italia di Sacchi, l’Olanda fa i bagagli.

9 luglio 1994
BRASILE – OLANDA 3-2 (0-0)
Cotton Bowl, Dallas (USA)

BRASILE: Taffarel, Jorginho, Marcio Santos, Aldair, Branco (89′ Cafu), Mazinho (81′ Rai), Zinho, Mauro Silva, Dunga (c), Bebeto, Romario.

OLANDA: De Goey, R.Koeman (c), Valckx, Wouters, Witschge, Rijkaard (84′ R.De Boer), Jonk, Winter, Overmars,  Bergkamp, Van Vossen (53′ Roy).

ARBITRO: Badilla (COS)

GOL: 52′ Romario (BRA), 61′ Bebeto (BRA), 64′ Bergkamp (NED), 76′ Winter (NED), 81′ Branco

Da Dallas a Marsiglia il passo, misurato in edizioni del Campionato Mondiale, è breve: quattro anni dopo Olanda e Brasile si incontrano in semifinale. Gli europei, guidati da Guus Hiddink, hanno chiuso a chiave la retroguardia con l’innesto di Stam e con una diga davanti alla difesa come Edgar Davids e agli umori spesso ondivaghi di Bergkamp hanno affiancato il ventiduenne Patrick Kluivert. Passano agli ottavi con due pareggi (Belgio e Messico) e una goleada contro la Corea del Sud, negli ottavi superano la Jugoslavia nei minuti di recupero e nei quarti superano l’Argentina con un goal di Bergkamp all’89’. Il Brasile si presenta come il Brasile del primo Ronaldo dopo che il fenomeno aveva fatto panchina, diciassettenne, a USA 94, mentre Zagallo assembla una squadra con due esterni sensazionali come Cafu e Roberto Carlos e una mediana ancorata intorno a Dunga. I verdeoro superano la prima fase a punteggio pieno, distruggono il Cile negli ottavi e faticano ad avere la meglio sulla Danimarca di Brian Laudrup e Jorgensen nei quarti.

La sera del 7 luglio 1998, al Velodrome di Marsiglia, la semifinale segue il normale copione dei precedenti scontri tra Brasile e Olanda con un primo tempo scialbo con de squadre troppo bloccate dalla posta in gioco e dalle alchimie tattiche e un secondo tempo che si accende quando una delle due contendenti da il la alle segnature. E questo avviene 20″ dopo il fischio d’inizio della ripresa quando Rivaldo trova l’imbucata per uno scatto di Ronaldo che brucia in velocità Frank De Boer e infila il pallone tra le gambe di Van der Saar. Ci vogliono 42 minuti prima che l’Olanda, che si prende i suoi buoni rischi in difesa, riesca ad impattare le sorti dell’incontro e mantenere viva la fiamma della speranza  con un colpo di testa di Kluivert. Sono ancora Ronaldo e Kluivert a cercare di sbloccare il risultato durante i supplementari ma si va ai calci di rigore dove Taffarel para i tiri dal dischetto di Cocu e De Boer e porta il Brasile alla finale di Parigi contro la Francia mentre la delusa Olanda verrà sconfitta nella finale per il terzo posto dalla soprendente Croazia.

7 luglio 1998
BRASILE – OLANDA 1-1 (0-0) 4-2 d.c.r.
Velodrome, Marsiglia (FRA)

BRASILE: Taffarel, Ze Carlos, Aldair, Júnior Baiano, Roberto Carlos, César Sampaio, Dunga (c), Leonardo (85′ Emerson), Rivaldo, Bebeto (70′ Denílson), Ronaldo.

OLANDA: Van Der Sar, Reiziger (57′ Winter), Stam, F.De Boer (c), R.De Boer, Jonk (111′ Seedorf), Davids, Cocu, Bergkamp, Kluivert, Zenden (75′ Van Hooijdonk).

ARBITRO: Al-Bujsaim (UAE)

GOL: 46′ Ronaldo (BRA), 85′ Kluivert (NED)

RIGORI: 1:0 Ronaldo, 1:1 F.De Boer, 2:1 Rivaldo, 2:2 Bergkamp, 3:2 Emerson, 3:2 Cocu (parato Taffarel), 4:2 Dunga, 4:2 R.De Boer (parato Taffarel)

Massimo Brignolo

-2: LE STRADE DEL TOUR DE FRANCE

Quasi 3600 km per arrivare al tradizionale traguardo parigino: andiamo alla scoperta del percorso del Tour 2010

Tour de FranceAncora pochi giorni e la novantasettesima edizione del Tour de France sarà realtà. Il serpentone giallo partirà da Rotterdam il 3 luglio, per giungere ai Campi Elisi il 25 dello stesso mese, dopo 3596 km di salite, discese, pianure, volate, scatti e fughe. Rispetto agli anni scorsi, questa Grande Boucle sembra più dura: i chilometri a cronometro individuale sono pressoché identici a quelli dell’edizione 2009, ma viene meno la tradizionale cronosquadre e i colli alpini e pirenaici assumono un’importanza ancora maggiore.

Si partirà da Rotterdam con un cronoprologo di 8.9 km. All’apertura farà seguito una tappa disegnata su misura per i velocisti con traguardo a Bruxelles, mentre già dal terzo giorno si inizierà a fare sul serio. L’arrivo sul circuito automobilistico di Spa è infatti adatto a fughe e colpi di mano, data la presenza di sei Gran Premi della Montagna, pur di bassa categoria, concentrati nei chilometri finali del percorso. Il quarto giorno è per uomini duri: si va ad Arenberg, la culla della Parigi-Roubaix, dopo 213 km nei quali il pavé sarà il protagonista assoluto. Segnate questa tappa con un cerchio rosso, perché, soprattutto se ci sarà maltempo, la battaglia è assicurata.

Seguono quindi tre frazioni tranquille, indispensabili per caricare le batterie in vista delle prime salite. Infatti, sabato 10 luglio si arriva alla stazione sciistica di Rousses, 1168 metri di quota nel Giura francese, situata subito dopo la Côte de Lamoura, salita di seconda categoria e sesta ascesa di giornata: attenzione anche alla Vouglans e alla Croix de la Serra. Il giorno successivo il classico traguardo di Morzine, nel cuore delle Alpi, preannuncia una seconda battaglia tra gli scalatori. Dopo il meritato giorno di  riposo, i corridori dovranno vedersela con la tappa forse più impegnativa: 204 km da Morzine a Saint-Jean-de-Maurienne, con ascese storiche come la Colombière, il Saisies e soprattutto la Madeleine, situata ad una trentina di chilometri dall’arrivo.

Seguono quindi tre tappe adatte alle fughe, con colli più o meno impegnativi disseminati qua e là per il percorso, finché domenica 18 luglio, quattordicesimo giorno di corsa, saranno ancora una volta gli scalatori ad essere chiamati in causa, col traguardo in salita di Ax 3 Domaines situato 30 km dopo il Port de Paillhères, salita hors categorie che scollina oltre i duemila metri. Il giorno successivo, dopo il transito sul Portet d’Aspet in memoria del compianto Fabio Casartelli, il gruppo affronterà il Port de Balès, altro GPM fuori categoria, prima di lanciarsi in picchiata su Bagnères-de-Luchon. Martedì 20 si scaleranno in successione Peyresourde, Aspin, Tourmalet ed Aubisque: nomi che fanno venire i brividi, ma l’ultimo scollinamento è situato a 60 km dal traguardo di Pau. Tuttavia, il Tourmalet verrà affrontato una seconda volta il giorno successivo, come sede d’arrivo della diciassettesima tappa, dopo il secondo ed ultimo giorno di riposo. La pianura verso Bordeaux farà da antipasto per l’ultimo, grande sussulto di questo spettacolare Tour, ovvero i 52 km piatti come un biliardo da fare a cronometro, tra la città girondina e Pauillac, per assestare definitivamente la classifica. Tradizionale conclusione sui Campi Elisi, domenica 25 luglio, con la premiazione del vincitore: sentiremo forse l’Inno di Mameli, dodici anni dopo il trionfo di Pantani?

Tour de France 2010

Marco Regazzoni

WIMBLEDON: ABDICA FEDERER, MANCA SOLO LUI NEL BALLO DELLE SEMIFINALI

Il ceco Berdych supera Roger Federer che mancherà nella finale di Wimbledon dopo 7 anni.

Roger Federer
Foto: AELTC/Pro Sport

Per la prima volta dal 2003 la finale del torneo di Wimbledon non vedrà schierato Roger Federer: lo svizzero si è arreso oggi al ceco Berdych che si è imposto per 6-4 3-6 6-1 6-4 raggiungendo, dopo il Roland Garros, la seconda semifinale consecutiva in un torneo dello Slam. A fine partita Federer ha dichiarato di aver sofferto alle gambe ed alla schiena ma rimane un dato di fatto che la stagione dello svizzero non è convincente: spesso in difficoltà, anche se gli ultimi due turni a Wimbledon sembravano proporre un Federer ritrovato, nell’ultimo periodo lo svizzero ha sempre pagato dazio ai giocatori potenti a partire dalla sconfitta con Del Potro agli US Open del 2009 proseguendo con Gulbis a Roma e Soderling a Parigi.

Da parte sua il ceco Berdych troverà in una semifinale molto aperta Novak Djokovic che si è sbarazzato con sufficiente facilità del cinese di Taipei, Yen-Hsun Lu, che dopo aver sorpreso ieri eliminando Roddick, è riuscito oggi a raccogliere solo 7 giochi per un 6-3 6-2 6-2 che non lascia scampo.

Nella parte bassa del tabellone, Rafael Nadal ha avuto ragione, con pazienza, della furia dello svedese Soderling che ha conquistato il primo set ma è andato affievolendosi mentre il numero uno al mondo sembrava non soffrire al ginocchio come avvenuto nei giorni scorsi ed entrato decisamente in partita all’inizio del secondo parziale non ha più concesso nulla a Soderling per un punteggio finale di 3-6 6-3 7-6 6-1.

A chiudere il poker dei semifinalisti che rispetto al seeding vede solo l’assenza di Federer, l’idolo locale Andy Murray, chiamato a salvare l’onore britannico dopo l’uscita dai mondiali di calcio, si è sbarazzato abbastanza facilmente in chiusura di giornata del francese Tsonga nonostante abbia rischiato di trovarsi sotto di due set. Dopo lo scambio di tie-break iniziali, Murray ha approfittato dell’evidente calo del francese per qualificarsi per la semifinale contro Nadal (6-7 7-6 6-2 6-2).


Massimo Brignolo

L’ESTATE DI LEBRON È ALLE PORTE

Prossimo all’apertura il mercato dei free agent dell’NBA: occhi puntati sul destino di LeBron James.

Migliaia di pagine web, tonnellate di pagine di giornali, ore ed ore di discussioni e dibattiti, tutti riguardanti il mercato NBA dei free agent che mai come quest’anno sarà ricco di nomi prestigiosi in grado di accendere le fantasie dei tifosi. Alla mezzanotte del primo luglio, ora di New York, si scatenerà l’inferno, statene certi.

Il caso più spinoso e allo stesso tempo più intrigante riguarda quello che secondo molti è il miglior giocatore della lega, LeBron James. Secondo le ultime indiscrezioni James sarebbe diretto verso Chicago nella suggestiva veste di Michael Jordan del nuovo millennio, una voce riportata dal New York Times e “spifferata” da un dirigente NBA che ha mantenuto l’anonimato. Un ulteriore indizio può essere la cessione di Kirk Hinrich a Washington, necessaria a liberare ulteriore spazio salariale. La soffiata potrebbe anche essere quella giusta; personalmente non ci metterei la mano sul fuoco: troppi gli interessi in gioco quando si parla di mercato (club, sponsor, agenti dei giocatori, tifosi), che è tutto fuorché una scienza esatta. Nella corsa al Prescelto (The Chosen One, questo il soprannome di James) ha perso posizioni quella che fino a poco tempo fa sembrava essere la grande favorita, ovvero i New York Knicks. È vero che la squadra allenata da Mike D’Antoni negli ultimi anni si è concentrata più a liberarsi dei contratti di giocatori che guadagnavano troppo in proporzione al loro rendimento in campo, e che quindi avrebbe le possibilità economiche per riuscire ad ingaggiare oltre a LeBron anche un altro free agent in grado di cambiare i destini della franchigia, ma la squadra sarebbe da ricostruire e LeBron non può permettersi di sprecare troppo tempo. È giovane, certo, ma il contratto che firmerà in queste settimane sarà quello più importante della sua carriera; nonostante la presenza di Danilo Gallinari, che nell’ultimo anno si è conquistato la stima di compagni, avversari e pubblico, la squadra sarebbe tutta da assemblare attraverso difficili operazioni di mercato. Probabilmente New York è la città più affascinante e intrigante, ma per giocare a basket (ad oggi) ci sono squadre più interessanti. Sembrano più defilati nella corsa a LeBron anche i Los Angeles Clippers e i New Jersey Nets, che pure pensavano di avere qualche possibilità vista l’amicizia che lega il giocatore al rapper Jay-Z, detentore di alcune quote dei Nets, ma anche qui vale il discorso fatto per New York. In vista dell’imminente trasferimento della franchigia a Brooklyn, James sarebbe stato il miglior testimonial.

Doveva essere l’estate di un altro grande free agent, Dwyane Wade, stella dei Miami Heat. Dopo il titolo vinto nel 2006 gli Heat non sono più stati capaci di essere competitivi ai massimi livelli, facendo indispettire Wade, tanto che erano girate delle voci riguardo un suo possibile addio al club della Florida. Ma le rinnovate ambizioni del club e il possibile ritorno in panchina del mito Pat Riley dovrebbero aver convinto Wade a rinnovare il contratto e con un altro big (magari proprio James, che è buon amico di Wade?) Miami potrebbe tornare in corsa per il titolo.

Gli altri nomi in ballo? Chris Bosh, Dirk Nowitzki, Joe Johnson, Amare Stoudemire. Sono fra i migliori giocatori della NBA e, se acquistati da squadre già competitive, potrebbero avere la possibilità di vincere quel titolo NBA che nessuno dei quattro ha mai conquistato. Probabilmente si assisterà ad un effetto-domino: il trasferimento di James (ovviamente nel caso non dovesse rimanere a Cleveland) potrebbe innescare una serie di acquisti collegati tra loro, che alla fine andrebbero a cambiare la geografia del potere del basket NBA.

Andrea Marchesi