“Il tizio che ha disegnato questo pallone non ha mai giocato a calcio.” Robinho, centravanti brasiliano, a proposito del pallone Jabulani, adottato negli ultimi mondiali in Sudafrica.
Il pomeriggio del 3 marzo l’Adidas ha scoperto il sipario sulla sua nuova creazione in materia pallonara, presentando il Finale London, sorretto per l’occasione da tre calciatori del campionato inglese: l’algerino Samir Nasri dell’Arsenal, l’ivoriano Salomon Kalou del Chelsea e l’inglese di origine dominicana Jermain Defoe in forza al Tottenham.
Il nuovo pallone è decisamente grazioso, sul consueto modello dello starball Adidas, ed è colorato da stelle rosse su sfondo bianco, a ricordare la Croce di San Giorgio, l’emblema della bandiera inglese. E a leggere gli entusiastici commenti degli addetti ai lavori della UEFA, “il pannello a stella e il design esagonale assicurano le traiettorie più reali, mentre il pallone mantiene il materiale da brivido delle precedenti edizioni garantendo potenza, effetto e controllo”.
Il monopolio dei palloni Adidas sulle competizioni calcistiche internazionali è pressoché assoluto fin dal Mundial messicano del 1970, quando, dopo avere rimpiazzato il rossiccio monocromatico pallone inglese Challenge della Slazenger, fece il suo esordio il Telstar, composto da 12 pentagoni di cuoio nero e venti esagoni di cuoio bianco: tutto al fine di agevolare la visione televisiva, ancora orfana del colore. Non a caso, Telstar era anche il nome del primo satellite televisivo geostazionario, lanciato in orbita dalla NASA nel 1962, che aveva reso possibili le trasmissioni in diretta tra l’America e l’Europa. E sempre il Telstar nel 1972 farà il proprio ingresso nelle coppe europee, accaparrandosi di fatto il dominio dei tre tornei gestiti dalla UEFA.
Nel 1978, l’anno dei mondiali di Argentina, l’Adidas darà un ritocco al design, e le figure geometriche saranno modificate quel tanto necessario a comporre 12 cerchi identici. Era nato il Tango, sempre tassativamente bianco e nero e sempre rigorosamente in cuoio. Per arrivare al sintetico si dovrà aspettare il secondo Mundial messicano del 1986, con l’esordio di Azteca, anche se quasi identico ai suoi predecessori nel look.
Per la qualità del gioco il passaggio al sintetico è una novità epocale, dal momento che le cuciture non sigillate delle forme di cuoio avevano il difetto non irrilevante di assorbire l’acqua come una spugna; e sotto la pioggia il peso della palla aumentava di un quarto almeno. Da quel momento, l’arrembaggio delle nuove tecnologie diventerà irrefrenabile, e saranno introdotte di seguito: la schiuma poliuretanica di ispirazione aerospaziale, quella sintattica composta da microsfere riempite di gas, la stampa sottovetro, i test con la gamba robotica, e la saldatura termica che manderà definitivamente in pensione le ormai decrepite cuciture. E se non fosse stato per l’oscurantismo della FIFA, da sempre restia alle innovazioni, saremmo già arrivati al pallone con microchip incorporato, già realizzato e testato per dirimere le controversie arbitrali, e consegnare agli archivi i famigerati “gol fantasma”, eterne fonti di infinite polemiche.
Il monopolio di fatto dell’Adidas nelle coppe europee sarà sancito da un contratto con la UEFA a partire dal 2001, quando è stato creato lo Starball, che ogni anno prende il nome della città ospitante la finale, e diventa il pallone unico della squadra vincente per la stagione successiva di Champions. E la settimana scorsa la sua presentazione, giunta al decimo compleanno, si è confermata un evento mondiale: pubblicitario, mondano, e anche un po’ sportivo, allo stesso tempo.