L’ANNO DI GAYASHAN

Se il buongiorno si vede dal mattino, non ci sono dubbi: il 2011 è l’anno di Gayashan Ranga De Silva Munasinghe, lanciatore della nazionale italiana di cricket, nato a Colombo il 7 ottobre 1986 e residente a Roma. Ha fatto parte della spedizione azzurra, contribuendo con 13 wicket, alla salvezza nella World Cricket League di terza divisione di Hong Kong e distinguendosi come uno dei migliori lanciatori del torneo. Un mese dopo era nuovamente in viaggio verso l’Asia, destinazione Dubai, dove ha preso parte alla ICC Global Cricket Academy, che per dieci giorni ha riunito numerosi talenti del cricket internazionale seguiti dai migliori allenatori. Dopo questa prestigiosa esperienza è tornato in Italia giusto in tempo per giocare e vincere la Supercoppa italiana. Se questi sono i presupposti, chissà quali altri successi potrà ottenere nel proseguimento della stagione l’atleta di origine cingalese.

Come e quando hai cominciato a giocare a cricket?

«Ho iniziato a giocare a cricket quando avevo dieci anni, in Sri Lanka: sono partito dalla categoria Under 13 rappresentando la mia scuola, il Carey College di Colombo. Crescendo, ho continuato il mio percorso nell’Under 15 e nell’Under 17. Dopodiché sono venuto qui in Italia dove ho raggiunto la mia famiglia che lavorava a Roma. In Italia ho dapprima vestito la maglia della Lazio, poi quella del Capannelle e dall’anno scorso faccio parte del Latina Lanka. In Inghilterra, poi, gioco anche per il Cowdrey Cricket Club nel Kent».

Sei il miglior lanciatore del campionato italiano, a chi ti ispiri e chi sono stati i tuoi maestri?


«Il mio modello è  il lanciatore australiano Glen McGrath, uno dei migliori lanciatori di tutti i tempi. Invece i miei maestri più importanti sono stati Pieris Sir, che mi ha insegnato a giocare a cricket quando ero piccolo e andavo ancora a scuola, Kariyawasam, mio primo mentore in Italia, e infine Philip Hudson, che ho recentemente incontrato a Dubai».


Il tuo 2011 è stato davvero intenso: come sono state le esperienze di Hong Kong  e Dubai?

«Sì, questo inizio di 2011 si è rivelato per me davvero fortunato: è iniziato bene a Hong Kong dove, anche se abbiamo perso tre partite che potevamo vincere, siamo stati contenti per essere rimasti in terza divisione e per aver battuto la Danimarca e gli Stati Uniti. A Dubai ho vissuto un’esperienza meravigliosa: avevamo a nostra disposizione i migliori allenatori, molti dei quali con una fantastica carriera da giocatore alle spalle. Inoltre i campi erano straordinari e il clima si è rivelato clemente. Grazie all’Accademia ho passato dieci giorni incredibili in cui ho fatto numerose amicizie e ho imparato moltissimo, specialmente per quel che riguarda i metodi di allenamento».


Con la tua squadra, il Latina Lanka, hai appena vinto la Supercoppa italiana: che impressione ti ha fatto giocare un’incontro semi-ufficiale 8 a side indoor?

«Vincere la Supercoppa italiana è stata un’ulteriore soddisfazione. Il cricket indoor era una cosa nuova non solo per l’Italia ma anche per noi. Comunque siamo contenti di avere qui da noi un altro tipo di cricket in cui possiamo migliorare: poiché questa tipologia dura poco, credo che si potrà riproporre un torneo anche l’anno prossimo».


Stai seguendo il Mondiale di cricket? Chi è il tuo favorito?


«Sì, sto seguendo i Mondiali: vorrei che vincesse lo Sri Lanka. perché è lì che sono nato ed ho imparato a giocare a cricket. Secondo me, visto che si gioca in Asia, assieme al mio paese natale le favorite sono l’India e il Pakistan. Però l’Inghilterra, il Sud Africa e l’Australia non sono da sottovalutare».

IL PALLONE GLAMOUR

“Finale London”, il pallone Adidas della prossima finale di Champions. Dai vecchi anonimi palloni di cuoio alle griffe ipertecnologiche.

Finale London 2011“Il tizio che ha disegnato questo pallone non ha mai giocato a calcio.” Robinho, centravanti brasiliano, a proposito del pallone Jabulani, adottato negli ultimi mondiali in Sudafrica.

Il pomeriggio del 3 marzo l’Adidas ha scoperto il sipario sulla sua nuova creazione in materia pallonara, presentando il Finale London, sorretto per l’occasione da tre calciatori del campionato inglese: l’algerino Samir Nasri dell’Arsenal, l’ivoriano Salomon Kalou del Chelsea e l’inglese di origine dominicana Jermain Defoe in forza al Tottenham.

Il nuovo pallone è decisamente grazioso, sul consueto modello dello starball Adidas, ed è colorato da stelle rosse su sfondo bianco, a ricordare la Croce di San Giorgio, l’emblema della bandiera inglese. E a leggere gli entusiastici commenti degli addetti ai lavori della UEFA, “il pannello a stella e il design esagonale assicurano le traiettorie più reali, mentre il pallone mantiene il materiale da brivido delle precedenti edizioni garantendo potenza, effetto e controllo”.

Il monopolio dei palloni Adidas sulle competizioni calcistiche internazionali è pressoché assoluto fin dal Mundial messicano del 1970, quando, dopo avere rimpiazzato il rossiccio monocromatico pallone inglese Challenge della Slazenger, fece il suo esordio il Telstar, composto da 12 pentagoni di cuoio nero e venti esagoni di cuoio bianco: tutto al fine di agevolare la visione televisiva, ancora orfana del colore. Non a caso, Telstar era anche il nome del primo satellite televisivo geostazionario, lanciato in orbita dalla NASA nel 1962, che aveva reso possibili le trasmissioni in diretta tra l’America e l’Europa. E sempre il Telstar nel 1972 farà il proprio ingresso nelle coppe europee, accaparrandosi di fatto il dominio dei tre tornei gestiti dalla UEFA.

Nel 1978, l’anno dei mondiali di Argentina, l’Adidas darà un ritocco al design, e le figure geometriche saranno modificate quel tanto necessario a comporre 12 cerchi identici. Era nato il Tango, sempre tassativamente bianco e nero e sempre rigorosamente in cuoio. Per arrivare al sintetico si dovrà aspettare il secondo Mundial messicano del 1986, con l’esordio di Azteca, anche se quasi identico ai suoi predecessori nel look.

Per la qualità del gioco il passaggio al sintetico è una novità epocale, dal momento che le cuciture non sigillate delle forme di cuoio avevano il difetto non irrilevante di assorbire l’acqua come una spugna; e sotto la pioggia il peso della palla aumentava di un quarto almeno. Da quel momento, l’arrembaggio delle nuove tecnologie diventerà irrefrenabile, e saranno introdotte di seguito: la schiuma poliuretanica di ispirazione aerospaziale, quella sintattica composta da microsfere riempite di gas, la stampa sottovetro, i test con la gamba robotica, e la saldatura termica che manderà definitivamente in pensione le ormai decrepite cuciture. E se non fosse stato per l’oscurantismo della FIFA, da sempre restia alle innovazioni, saremmo già arrivati al pallone con microchip incorporato, già realizzato e testato per dirimere le controversie arbitrali, e consegnare agli archivi i famigerati “gol fantasma”, eterne fonti di infinite polemiche.

Il monopolio di fatto dell’Adidas nelle coppe europee sarà sancito da un contratto con la UEFA a partire dal 2001, quando è stato creato lo Starball, che ogni anno prende il nome della città ospitante la finale, e diventa il pallone unico della squadra vincente per la stagione successiva di Champions. E la settimana scorsa la sua presentazione, giunta al decimo compleanno, si è confermata un evento mondiale: pubblicitario, mondano, e anche un po’ sportivo, allo stesso tempo.

Finale Madrid 2010Tango 1978Telstar 1970

 

 

 

 

 

Finale London 2011 - Copertina

LA PALLANUOTO PIANGE FRANCESCO E NICOLÒ

Premessa: questa rubrica nasce con l’intento di parlare di tutto quanto ruota attorno alla pallanuoto. Di tutto quello che accade nella immaginaria Waterpolis, città-stato dello sport di squadra presente da più tempo ai Giochi Olimpici. Oggi, eccezionalmente – ma ce lo saremmo risparmiati volentieri – Waterpolis tratta di cronaca nera per parlare di pallanuoto: difficile fare diversamente dopo il tragico incidente  in cui hanno perso la vita due pallanotisti poco più che ventenni. Si chiamavano Francesco Damonte e Nicolò Morena e giocavano nella Pallanuoto Bergamo, in Serie A2.

L’incidente si è verificato nella notte tra sabato 5 e domenica 6 marzo, poco prima della 5, sull’autostrada A4 nel tratto tra Ospitaletto e Rovato: tutto nasce da uno scontro tra una Fiat Panda, guidata da un 56enne di Peschiera Borromeo, ed un autoarticolato con un camionista sloveno alla guida. Il tir tampona l’utilitaria e si ferma in prima corsia, l’altro mezzo finisce fuori strada ma il conducente riporta solo delle lievi ferite. Nel frattempo sopraggiunge una Fiat Stilo: al volante c’è un ragazzo di 24 anni di Strezzano, insieme a due suoi amici. Sono Francesco Damonte e Nicolò Morena: entrambi liguri, entrambi di proprietà della Rari Nantes Savona, giocano in prestito alla Pallanuoto Bergamo. Poche ore prima hanno vinto una partita di campionato a Vigevano.

La Fiat Stilo va a sbattere contro il tir e si ribalta, finendo in terza corsia: il ragazzo alla guida riesce a venirne fuori e a salvarsi, Damonte e Morena muoiono purtroppo sul colpo. Non è finita: transitano anche due Alfa Romeo che urtano i detriti dei precedenti schianti e, successivamente, arriva un’Audi A4 che colpisce la Stilo. Il conducente, un 24enne di Palosco, se la cava solo con qualche lieve ferita, mentre il passeggero al suo fianco, un uomo di 38 anni, ne esce con una prognosi di 40 giorni.

La notizia ha commosso il mondo della pallanuoto, soprattutto il presidente della società bergamasca Dario Pagani (“Due veri sportivi, seri e brillanti: si allenavano tutta la settimana, studiavano con ottimo profitto all’università, qualche volta andavano a ballare”) e Claudio Mistrangelo, che li aveva allenati a Savona (“Erano due ragazzi davvero in gamba, due vere promesse della pallanuoto”). I funerali si sono svolti nelle rispettive città, a Mallare in Valbormida quello di Morena e ad Arenzano quello di Bamonte: la famiglia di Morena ha invitato i presenti a non fare offerte, ma a devolvere il denaro all’Associazione Vittime della Strada. Intanto sia il conducente della Stilo che quello dell’Audi A4 sono risultati positivi al test etilometrico, con il secondo positivo anche al drug-test.

(Nota: non c’è molto da aggiungere, se non che fa piangere il cuore sapere che due giovani ragazzi, ancor prima che pallanotisti, sono morti poco più che ventenni. E fa male sapere che sono  le vittime dell’ennesimo, tragico incidente stradale del sabato sera, forse il modo più assurdo per lasciare questo mondo. Da parte della redazione le più sentite condoglianze ai familiari coinvolti).

CHRISTCHURCH INAGIBILE PER LA COPPA DEL MONDO?

Una nazione in silenzio, per due minuti: il primo marzo alle 12:51, una settimana precisa dopo il terremoto devastante che ha colpito la città di Christchurch il 22 febbraio, la Nuova Zelanda ha osservato due minuti di silenzio per le vittime. Oltre centocinquanta i decessi confermati – compresa Taneysha Prattley, una bambina di sole cinque settimane -, circa duecento i dispersi, quasi duemila i feriti a causa della scossa di magnitudo 6,3: un sisma già annunciato l’anno precedente da un evento di intensità maggiore (7,1 sulla scala Richter) che aveva colpito la regione senza però causare vittime. “Il 22 febbraio potrebbe essere il giorno più buio della storia della Nuova Zelanda” ha dichiarato John Key, primo ministro della nazione della Grande Nuvola Bianca.

Per Christchurch (Ōtautahi in lingua Māori), la seconda più grande città della Nuova Zelanda, si è trattato di un colpo durissimo anche dal punto di vista economico. Secondo la Protezione Civile neozelandese saranno oltre duemila le case che dovranno essere demolite in seguito a cedimenti strutturali, mentre il centro della città potrebbe essere riaperto solo a partire dal mese di dicembre: oltre 45% degli edifici cittadini sono correntemente inagibili. I danni sono stati stimati attorno ai sedici milioni di dollari neozelandesi (circa otto milioni e mezzo di euro) e il governo sta cercando di varare un disaster recovery plan per permettere all’economia della città di riavviarsi dopo un’esperienza così traumatica.

Uno dei grossi dubbi del futuro di Christchurch riguarda la Coppa del Mondo di rugby che si terrà in Nuova Zelanda a partire da settembre. Il Lancaster Park (ora noto come AMI Stadium per motivi di sponsorizzazione) avrebbe dovuto ospitare cinque incontri della fase a gironi (tra cui Australia – Italia dell’11 settembre) e due quarti di finale. La città di Christchurch è rimasta fino all’ultimo in lizza con Auckland per aggiudicarsi l’onore di ospitare le quattro gare finali (semifinali, finale per il terzo posto e finale), che andranno invece in scena all’Eden Park di Auckland. Una grossa opportunità per gli affari locali che però ora rischia di sfumare proprio a causa del sisma.

Murray McCully, ministro alla Coppa del Mondo del governo neozelandese, ha sottolineato la necessità di garantire la completa agibilità dell’impianto sportivo come condizione imprescindibile perché le sette gare possano disputarsi a Christchurch. Intervistato dal New Zealand Herald, McCully ha dichiarato: “Stiamo aspettando le relazioni da parte degli ingegneri. Stiamo lavorando con la convinzione che, se possiamo farlo accadere, lo faremo accadere. Abbiamo bisogno di sapere se lo stadio può essere approntato in tempo per ospitare le partite: solo dopo potremo affrontare le problematiche associate alla possibilità di ospitare persone a Christchurch e predisporre infrastrutture adeguate. Niente di tutto questo, però, può funzionare senza uno stadio”. L’ultima parola spetta all’International Rugby Union che, secondo quanto dichiarato da McCully, sta lavorando a stretto contatto con il governo neozelandese per affrontare le problematiche legate al terremoto. Aperto il 15 ottobre 1881, il Lancaster Stadium era recentemente stato allargato proprio in vista della Coppa del Mondo, arrivando a ospitare quasi quarantamila spettatori. Ora presenta danni strutturali alla Hadlee Stand e alla Deans Stand, oltre a seri problemi di liquefazione del terreno sia nel terreno circostante lo stadio sia sulla superficie di gioco. I danni subiti dallo stadio potrebbero richiedere mesi per essere sistemati. Il conto alla rovescia per l’inizio del torneo però concede solo altri 180 giorni.

E mentre i Crusaders, la squadra che rappresenta Christchurch e la provincia di Canterbury nel Super rugby, stanno cercando una nuova sede provvisoria (è stato scartato il Trafalgar Park della vicina Nelson, che non assicura una capienza adeguata) e hanno preso in considerazione la possibilità di disputare un incontro nello stadio londinese di Twickenham, in quello che sarebbe un potenziale colpo a livello di marketing, il primo ministro John Key ha insistito sull’importanza di garantire, se possibile, che le partite della Coppa del Mondo non vengano spostate in altre sedi: “Se potessimo ospitare la Coppa del Mondo a Christchurch, come intendiamo fare, questa sarebbe la cosa migliore: è forse un’ipotesi troppo azzardata, ma che aiuterebbe una città molto importante. Sarebbe una dimostrazione che Christchurch si è rialzata in piedi”. Il primo ministro ha anche vagliato la proposta di ospitare tifosi e squadre su navi da crociera, in modo da garantire un ritorno d’immagine, turistico ed economico alla città devastata dal sisma.

Martin Snedden, direttore del comitato organizzatore della Coppa del Mondo, ha escluso categoricamente la possibilità di spostare le sette partite in questione in territorio australiano: “Si è speculato che questa tragedia metta a repentaglio tutta la manifestazione o che alcune partite verranno spostate in Australia. Tutto ciò non è vero: la Coppa del Mondo 2011 prenderà luogo regolarmente e tutti gli incontri si giocheranno in Nuova Zelanda”. Snedden ha anche posto l’accento sulla necessità di non creare ulteriore disagio ai cittadini di Christchurch e non mettere la popolazione sotto ulteriore pressione”. Hamish Riach, capo dell’esecutivo della Canterbury Rugby Union ha dichiarato a Television New Zealand: “Al momento non sembra possibile che la nostra union possa ospitare alcunché. Abbiamo avuto per cinque anni l’obbiettivo di ospitare la Coppa del Mondo, un evento così promettente per la città e per tutta la regione, e di sicuro speriamo che quelle partite vengano giocate da noi. È troppo presto per dirlo, però: tutti stanno vivendo l’immediatezza di questo evento traumatico e i nostri pensieri sono concentrati su altri argomenti al momento”.

IL FUTURO NERAZZURRO SI FA SEMPRE PIU’ ROSEO

Difesa ferrea, centrocampo eclettico, attacco devastante. La ricetta della vittoria nerazzurra al Torneo di Viareggio

InterAlla fine ce l’hanno fatta. Pea ed i suoi ragazzi hanno saputo regalare all’Inter la sesta imposizione viareggina della propria storia, al termine di un Torneo giocato su livelli realmente molto alti. Difesa ferrea, centrocampo eclettico, attacco devastante. Ecco la ricetta della vittoria nerazzurra.

E quando al termine di una competizione ti ritrovi ad avere in rosa il miglior giocatore nonché capocannoniere (per quanto a parimerito con Giuseppe De Luca, trascinatore del Varese dei miracoli di Devis Mangia) ed il miglior portiere della stessa qualcosa – e di piuttosto importante – significa. Al solito sui premi individuali si potrebbe stare a discutere molto. In questa occasione forse meno rispetto a quello riguardante gli estremi difensori, con Bardi che è stato assolutamente maiuscolo, trascinante e decisivo, più rispetto a quello riguardante il migliore giocatore in assoluto, laddove diversi sono stati i ragazzi sicuramente meritevoli.

Inter che torna quindi a vincere un Torneo di Viareggio e lo fa con grandissima autorità. Prendiamo quindi la formazione scesa in campo nella finalissima disputata contro l’ottima Fiorentina di Renato Buso ed analizziamola, per scoprire un pochino meglio i segreti del meccanismo costruito ed oliato da Fulvio Pea. Beneamata schieratasi quindi con il solito 4-3-3 in cui spiccava però subito una presenza per così dire anomala: il giovane Marco Davide Faraoni, terzino destro sino alla scorsa stagione stella delle giovanili laziali, è infatti schierato ibridamente come ala offensiva in fase di possesso e quarto di centrocampo, all’occorrenza, in fase di non possesso. E proprio questa sarà una delle chiavi di volta della partita.

Ma andiamo con ordine. In porta confermatissimo, al solito, uno dei giovani portieri italiani che stanno attualmente meglio cavalcando la cresta dell’onda, quel Francesco Bardi prelevato solo la scorsa estate dal Livorno (guarda a caso la società la cui casa è proprio lo stadio in cui si è disputata la finalissima di quest’ultima Coppa Carnevale) cui ho personalmente già visto parare, nelle poche volte che ho avuto il piacere di vederlo giocare, ben quattro rigori. Il primo risale ad ormai un anno e mezzo fa circa quando il nostro, impegnato con l’under 17 dei classe ’92 al Mondiale nigeriano di categoria, venne chiamato in causa da Pasquale Salerno per sostituire il titolarissimo Mattia Perin, indisponibile in vista della gara da disputarsi contro gli Stati Uniti. Sceso in campo apparentemente senza grandi patemi il giovane Bardi disputerà una partita molto autoritaria, andando a contribuire fattivamente al passaggio del turno Azzurro in particolar modo con il rigore neutralizzato al cospetto di Jack McInerney, stella della formazione a stelle e strisce (ed attualmente in forza ai Philadelphia Union, squadra affiliata all’MLS). Il secondo l’ha invece neutralizzato nel corso dei quarti di finale di questo Viareggio al cospetto di uno dei migliori rigoristi al mondo della sua leva, quel Diego Polenta che, guarda caso, il Mondiale under 17 di cui sopra lo disputò, e da capitano, con la maglia Celeste dell’Uruguay. Il terzo ed il quarto, infine, li ha parati nel corso della semifinale contro l’Atalanta, quando proprio grazie a questi due interventi ha trascinato i suoi in finale. Grandi qualità per questo ragazzo, che proprio nell’opporsi ai calci piazzati dagli undici metri sembra avere una marcia in più.

A difesa dell’ultimo baluardo Nerazzurro, quindi, una linea a quattro ben assortita e, soprattutto, molto compatta. Non deve stupire, infatti, il fatto che questa squadra abbia subito, nel corso dell’intero Torneo, una sola rete. Parliamo del resto di giocatori di qualità che essendo tatticamente molto ben preparati hanno saputo ergere una vera e propria linea Maginot a difesa del fortino. Perno del reparto è stato indubbiamente il figlio d’arte Simone Benedetti: acquistato in comproprietà nel corso dell’ultima estate dal Torino il centrale scuola Granata ha mostrato doti caratteriali, d’eleganza e d’efficacia in marcatura che ne fanno un prospetto realmente interessante, fors’anche in ottica prima squadra. Sempre sicuro in ogni intervento, grande senso dell’anticipo, Simone ha mostrato una tranquillità fuori dal comune ed un carisma notevole. Proprio grazie a questo è stato quindi in grado di guidare al meglio la quasi perfetta retroguardia Nerazzurra.

Molto bene, comunque, hanno fatto anche entrambi i terzini: Felice Natalino e Cristiano Biraghi. Sempre attentissimi in fase difensiva, infatti, non hanno disdegnato nemmeno ad accompagnare i propri compagni in fase di propulsione, mantenendo comunque sempre e costantemente l’attenzione altissima e indirizzata rispetto ai propri compiti difensivi. Proprio il loro apporto è stato quindi fondamentale alla realizzazione di una solidità difensiva quasi perfetta. A livello personale, poi, da sottolineare come alla solita grandissima classe, dovuta ad una tecnica fuori dal comune (quantomeno per un difensore), il lamentino Natalino ha saputo abbinare anche una concentrazione assoluta, aspetto in cui in passato ha più volte difettato. La via intrapresa, insomma, è quella giusta. Un plauso va poi riservato anche al suo alter ego, Biraghi, che è stato perfetto praticamente in ogni chiusura. A completare il reparto difensivo è stato quindi il ceko Marek Kysela, diciottenne centrale difensivo nativo di Rokycany che grazie ai miglioramenti compiuti da dopo il suo sbarco a Milano si è dimostrato essere lo scudiero perfetto per Benedetti.

Il centrocampo, poi, è stato schierato fondamentalmente a tre, con una configurazione che ricorda un po’, per tornare su di un tema toccato in precedenza, quello che approntò Salerno proprio in quei Mondiali giovanili nigeriani del 2009. Esattamente come allora, infatti, Pea sceglie di mettere un regista dai piedi buoni come centrale e due mezz’ali con caratteristiche ben precise. Vediamole. Il mediano davanti alla difesa con compiti di impostazioni è, guarda caso, lo stesso: Lorenzo Crisetig, diciassettenne talento ormai da anni tra i più stimati tra gli addetti ai lavori, considerato, per così dire, il nuovo Pirlo di questa ultima covata Azzurra. Tecnica sopraffina, intelligenza tattica inusuale in un ragazzo così giovane e capacità di dettare i tempi propria dei grandi registi. Davvero un po’ tutto ciò che serve a chi si disimpegna in questo ruolo per ben comportarsi, facendo girare attorno a sé tutta la propria squadra. Le due mezz’ali, invece, sono state Romanò e Jirasek, rispettivamente a destra e a sinistra.

Perché quel paragone con l’under 17 del 2009? Semplice: da una parte un Romanò che per certi versi mi ha ricordato molto il De Vitis di quella nazionale. Mezz’ala tuttofare capace davvero di coprire una porzione di campo enorme garantendo quantità ma anche discreta qualità. Ad un’ottima capacità in fase di possesso, laddove ha aiutato molto i compagni a mantenere il giusto equilibrio di squadra (del resto per subire una sola rete deve esserci una fase difensiva globale impostata al meglio, il merito non può certo essere esclusivamente della retroguardia), ha difatti abbinato una buona continuità in fase propositiva e conclusiva. In più di un’occasione è stato lesto nel farsi trovare a ridosso dell’area di rigore, pronto a dare un’opzione in più al portatore di palla quanto a rifinire per un compagno (come nel caso della prima rete segnata da Dell’Agnello nella finale con la Fiorentina). Sulla sinistra, invece, ha agito Jirasek che ha ricordato un po’, tatticamente, il gioco di quel Fossati grande protagonista con la maglia dell’under 17 Azzurra due anni or sono. La qualità globale dell’ex Sparta Praga non è certo paragonabile a quella della stellina attualmente in forza alla Primavera Rossonera, ma nei movimenti in campo il buon Milan mi ha ricordato proprio il lavoro svolto da Marco Ezio allora.

Davanti, poi, un tridente atipico. Sulla destra, come detto, ha difatti giocato, sempre limitandoci alla finalissima, Marco Davide Faraoni, di professione terzino. Dotato di una buona propulsione offensiva, però, è stato sfruttato da Pea, come precedentemente già successo anche in precedenza, proprio da ala d’attacco. Ed è stata questa una delle chiavi di volta del match: il suo apporto in fase di non possesso è stato infatti superiore a quello che sarebbe potuto derivare dall’utilizzo, ad esempio, di un giocatore come Thiam. In alcuni casi, addirittura, il centrocampo interista si è potuto schierare a quattro, proprio con l’arretramento dell’ex Lazio sulla linea dei centrocampisti e con lo slittamento sulla fascia opposta di Jirasek. Schema camaleontico, potremmo dire, in quanto poi in fase di possesso il buon Marco ha fatto realmente l’ala, producendo per altro anche diversi spunti interessanti con i quali ha confermato le proprie capacità propulsive.

Tridente, quello Nerazzurro, completato da capitan Alibec e bomber Dell’Agnello. Il primo ha agito largo sulla sinistra, mettendo in mostra un atletismo importante ed una tecnica più che discreta. Per buona parte del primo tempo proprio l’abbinamento di queste due importanti caratteristiche l’hanno portato ad essere una vera e propria spina nel fianco della difesa Viola e non è un caso se proprio dalla sua parte è nata l’azione dell’1 a 0. Il secondo, invece, ha stazionato, al solito, al centro dell’attacco, come unico vero e proprio punto di riferimento della propria squadra. Centravanti forte fisicamente, Dell’Agnello, ma dalle caratteristiche tutto sommato atipiche. In diverse occasioni lo si è potuto infatti notare svariare lungo un po’ tutto il fronte dell’attacco, per tenere quanto più possibile impegnata la retroguardia avversaria. In molte movenze, poi, ricorda quel Marco Borriello che, per altro, par essere il giocatore cui si ispira. Non un vero e proprio centravanti boa, insomma. Ma comunque punta che, e lo ha dimostrato ampiamente, sa rendersi molto pericolosa in fase realizzativa.

Davvero una bella squadra, in definitiva, quest’Inter di Pea. E chissà che in un prossimo futuro qualcuno di questi ragazzi non possa tornare utile anche per la prima squadra…