WORLD LEAGUE – SCONFITTA INDOLORE CON LA SERBIA: GLI AZZURRI VOLANO A CÓRDOBA

Dolce sconfitta a Belgrado: l’Italvolley è qualificata per la final six della World League.

Cinquanta punti dovevano essere e cinquanta punti sono stati. L’Italia riparte da dove si era fermata ieri pomeriggio: stessi giocatori in campo, stessa grinta, stessa concentrazione. In nemmeno un ora di gioco la pratica è stata chiusa grazie a due set vinti per 25 a 21; un numero sufficiente di punti per concludere in testa il girone B della World League.

Nel primo set ottima partenza per gli azzurri che, al secondo tempo tecnico di sospensione, si trovano davanti 16 a 12. La Serbia però rimonta fino al 21 a 20 costringendo Anastasi a cambiare il palleggiatore; Travica si fa trovare pronto e gli azzurri chiudono il set con Fei. Nel secondo set l’Italia si tiene sempre a distanza di sicurezza garantendosi così il primo posto nel girone. Nel terzo set, Anastasi lascia giustamente spazio a chi ha giocato di meno nel torneo. Fuori Mastrangelo, Parodi, Černic, Vermiglio e Fei, dentro Sala, Maruotti, Zaytsev, Travica e Lasko. Oltre a Marra solo Birarelli gioca tutti e cinque i set. Acquisita la qualificazione la furia agonistica degli azzurri si placa e i serbi ritrovano coraggio. Trascinati da Starović e Podraščanin i padroni di casa portano a casa sia il terzo che il quarto set. Nel tie break emerge tutta la differenza di motivazioni. La Serbia, che è tuttora in gioco per qualificarsi come migliore seconda, affonda, per 15 a 6,un’Italia con la testa già negli spogliatori.

Per gli azzurri si tratta di una sconfitta dolcissima. La squadra di Anastasi ha giocato un girone di qualificazione superbo. Tenendo sempre ben in evidenza l’obiettivo della qualificazione il mister ha fatto ruotare, anche a causa di qualche infortunio di troppo, tutti i giocatori a disposizione. Era dal 2004 che l’Italia non disputava una finale di World League, trofeo che manca da ben dieci anni dal palmares degli azzurri. Con ogni probabilità l’Italia nella final six di Córdoba troverà, oltre ai padroni di casa qualificati di diritto, anche Cuba, Russia, Brasile e una fra Serbia e Bulgaria.

Giovedì 8 luglio 2010
SERBIA ITALIA 3–2
(21-25; 21-25; 25-23; 25-20; 15-6)
Belgrado (SRB)

SERBIA: Kovačević 15, Janić (c) 7, Petković 3, Stanković 10, Starović 24, Podraščanin 14, Rosić (L). (Terzić 3, Nikić n.e., Mitić, Atanasijević n.e., Petrović).

ITALIA: Mastrangelo 2, Marra (L), Parodi 9, Vermiglio (c) 2, Fei 13, Birarelli 5, Černic 5, (Lasko 15, Maruotti 7, Travica 3, Sala 4, Zaytsev 4).

CLASSIFICA: Italia 28, Serbia 26, Francia* 8, Cina* 4.
* due partite in meno

Nicola Sbetti

AL VIA IL TRI NATIONS, CONVOCAZIONI A CONFRONTO – PRIMA PARTE: LA MISCHIA

A confronto, reparto per reparto, le mischie delle nazionali del Tri Nations 2010, che inizierà domani con Nuova Zelanda – Sudafrica

Sabato inizia il Tri Nations, il torneo che vede affrontarsi le tre squadre più forti dell’emisfero australe, in attesa vi si unisca anche la nazionale argentina: Nuova Zelanda, Sudafrica e Australia. Grande attesa per gli Springboks che si presentano al torneo non solo da campioni in carica, ma anche da campioni del Mondo a un anno dalla Rugby World Cup neozelandese e forti di un’esaltante vittoria ai danni della Francia fresca di Grande Slam nel Sei Nazioni. Il Sudafrica è anche l’unica squadra che ha convocato giocatori impegnati in altri campionati, chiamando ben quattro europei: BJ Botha, van der Linde e Jean de Villiers sono impegnati con tre franchigie irlandesi nella Celtic League, mentre Butch James gioca la Guinness Premiership con il Bath.

Sebbene siano i probabili favoriti per la vittoria, i sudafricani non potranno abbassare la guardia: gli All Blacks di Wayne Smith sono coscienti di dover dimostrare qualcosa prima di potersi fregiare di essere la squadra più forte del mondo. Smith stesso ha dichiarato di potersi dire favorito nella competizione, mentre gli australiani hanno detto di essere motivati dal fatto di essere considerati solo outsider nella competizione di quest’anno. Il calcio d’inizio sarà domani pomeriggio, all’Eden Park di Auckland, con la sfida inaugurale tra Nuova Zelanda e Sudafrica

Andiamo a confrontare i valori delle squadre convocate, reparto per reparto:

PRIMA LINEA

SUDAFRICA NUOVA ZELANDA AUSTRALIA
Chiliboy Ralepelle (Bulls) Corey Flynn (Crusaders) Saia Faingaa (Reds)
John Smit (Sharks) – CAP. Keven Mealamu (Blues) Stephen Moore (Brumbies)
BJ Botha (Ulster – NIR) John Afoa (Blues) Ben Daley (Reds)
Jannie du Plessis (Sharks) Ben Franks (Crusaders) Salesi Ma’afu (Brumbies)
Tendai Mtawarira (Sharks) Owen Franks (Crusaders) Benn Robinson (Waratahs)
Gurthrö Steenkamp (Bulls) Tony Woodcock (Blues) James Slipper (Reds)
CJ van der Linde (Leinser – IRL)

Davanti, dove si gioca la battaglia più dura, i favoriti sembrano essere gli Springboks: capitan John Smit può riprendere il suo posto a tallonatore, dopo esser stato utilizzato fuori posizione nelle gare di novembre, e Gurthrö Steenkamp sta dimostrandosi il pilone più forte dell’anno, dopo aver sottomesso l’azzurro Castrogiovanni in un recente test match. Come se non bastasse per ridare sicurezza alla prima linea sudafricana, a rinforzare il reparto è tornato Tendai Mtawarira, the Beast, escluso dalla nazionale su richiesta del Ministero sudafricano dello sport per il fatto di essere un cittadino dello Zimbabwe. Una situazione che Mtawarira ha risolto acquisendo a fine giugno la cittadinanza sudafricana. Ottimi anche i ricambi, con il tallonatore Ralepelle e i piloni BJ Botha, du Plessis e van der Linde. Sbagliatissimo comunque dare per spacciati gli All Blacks, anzi: i neozelandesi hanno un pack di altissimo livello e con Mealamu e Flynn sono probabilmente i meglio attrezzati nel ruolo del tallonatore. L’intero blocco di prima linea fa capo a due sole franchigie, i Blues e i Crusaders e ad affiancare i più esperti Afoa e Woodcock ci sono i fratelli Ben e Owen Franks, promesse dei Crociati di Christchurch. Di fronte a queste corazzate impallidisce invece la prima linea australiana: solo Moore e Robinson possono vantare una buona esperienza internazionale, e il reparto è storicamente il tallone d’Achille degli Wallabies.

SECONDA LINEA

SUDAFRICA NUOVA ZELANDA AUSTRALIA
Andries Bekker (Stormers) Anthony Boric (Blues) Mark Chisholm (Brumbies)
Bakkies Botha (Bulls) Tom Donnelly (Highlanders) Dean Mumm (Waratahs)
Victor Matfield (Bulls) Brad Thorn (Crusaders) Nathan Sharpe (Western Force)
Danie Russouw (Bulls) Sam Whitelock (Crusaders) Rob Simmons (Reds)

In seconda linea e in rimessa laterale nessuno può battere gli Springboks: il reparto è ben diretto dal vicecapitano Victor Matfield, affiancato generalmente da Bakkies Botha. Un sodalizio di valore assoluto che rappresenta uno dei reparti più rodati e efficaci al mondo. I rimpiazzi, inoltre, sono più che riserve: Andries Bekker ha ben figurato nei test di giugno, e Danie Russouw ha la versatilità per essere utilizzato anche in terza linea. Non possono vantare lo stesso valore nè gli All Blacks nè gli australiani, che pure hanno uomini del calibro di Brad Thorn e Nathan Sharpe a fornire esperienza al reparto. Per i neozelandesi Boric e Donnelly battaglieranno per affiancare Thorn, e occhi aperti per il giovane Whitelock, mentre gli australiani hanno altri due uomini di discreta esperienza come Chisholm e Mumm e un esordiente assoluto, Rob Simmons dei Reds.

TERZA LINEA

SUDAFRICA NUOVA ZELANDA AUSTRALIA
Schalk Burger (Stormers) Jerome Kaino (Blues) Rocky Elsom (Brumbies) – CAP
François Louw (Stormers) Richie McCaw (Crusaders) – CAP Scott Higginbotham (Reds)
Dewald Potgieter (Bulls) Victor Vito (Hurricanes) Matt Hodgson (Western Force)
Ryan Kankowski (Sharks) Liam Messam (Chiefs) Ben McCalman (Western Force)
Pierre Spies (Bulls) Kieran Read (Crusaders) David Pocock (Western Force)
Richard Brown (Western Force)

Schalk Burger – Richie McCaw – Rocky Elsom. Questa la trimurti delle terze linee dell’emisfero sud: un maestro della pressione come il sudafricano Burger, un buon portatore di palla come il capitano australiano Elsom e la perfetta sintesi tra i due, il capitano degli All Blacks McCaw, placcatore instancabile, guardia sempre sul filo del fuorigioco (e spesso un poco oltre) e ottimo ball-carrier, il tutto a un ritmo di lavoro quasi ineguagliabile. La qualità non si ferma però qua: gli Springboks nei test di giugno hanno scoperto François Louw, solo quattro caps finora, che sembra però destinato a non mollare facilmente la maglia numero 7 verde-oro. Tra i flanker Burger e Louw, all’otto, Pierre Spies e titolare quasi inamovibile: potersi però permettere di tenere come seconda scelta un giocatore con l’atleticità e la visione di gioco di Ryan Kankowski non è certo da tutte le nazionali. La Nuova Zelanda invece può puntare su un Jerome Kaino ormai assodato e su Kieran Read all’otto, valida opzione anche per le rimesse laterali, mentre Vito e Messam avranno possibilità di fare esperienza nel torneo. L’Australia si trova a rinnovare: Elsom è l’unico del reparto ad aver giocato più di venti partite in nazionale, con la coppia Pocock e Brown di Western Force ad affiancarlo. Due gli esordienti assoluti nel ruolo: Higginbotham dei Reds e McCalman dei Force, mentre Hodgson, quarto convocato dei Force nel reparto, ha giocato solo due partite con la maglia dell’Australia.

Nel pomeriggio la seconda parte, con i trequarti delle tre squadre a confronto.

Damiano Benzoni

LA NUOVA ITALBASKET AGLI ORDINI DI PIANIGIANI

Primo raduno dell’Italbasket: sotto la guida del vincente Pianigiani, la nazionale dovrà dimostrare qualcosa fin da subito

La novità più interessante dell’Italia che si è radunata pochi giorni fa per preparare le qualificazioni all’Europeo del 2011, è sicuramente la nomina di Simone Pianigiani, allenatore della Montepaschi Siena, squadra che da quattro anni domina il campionato italiano. Pianigiani è riconosciuto anche in Europa come uno degli allenatori più bravi e preparati e col suo arrivo vengono a mancare gli alibi ai giocatori: adesso anche Bargnani e Belinelli (criticati un anno fa, anche se venne contestata soprattutto la confusionaria gestione dell’ex CT Recalcati) dovranno uscire allo scoperto, dimostrando di essere giocatori che fanno la differenza in Nazionale. A parte Danilo Gallinari (che ha ottenuto un’estate libera da impegni, dopo che nelle ultime tre estati non ha potuto giocare con la nazionale a causa di infortuni), ci sono tutti i migliori giocatori italiani, poche storie. Con la nomina di quello che personalmente considero il secondo miglior allenatore italiano (il migliore resta Ettore Messina), si vedrà se effettivamente i fallimenti degli ultimi anni erano esclusivamente colpa dell’ex CT Recalcati. Come detto, sono finiti gli alibi.

Questi i convocati:

PLAYMAKER
Jacopo Giachetti (07.12.1983 – Lottomatica Roma)
Giuseppe Poeta (12.09.1985 – BancaTercas Teramo)
Antonio Maestranzi (01.07.1984 – Sigma Montegranaro)

Alla ricerca di un leader: nel ruolo chiave, non sembra che ci sia un titolare sicuro del posto, ma potrebbe nascere un play a tre teste, per cercare di sfruttare i pregi dei giocatori, arginandone i difetti. Giachetti ha cominciato la stagione a Roma da separato in casa e l’ha finita come una specie di salvatore della patria alla quale tutti si aggrappavano: la verità sta nel mezzo. Poeta è stato criticato per un’annata sottotono: le cifre confermano questa impressione, ma in questa stagione ha cercato di ragionare di più frenando i suoi istinti. Una trasformazione importante, sebbene faticosa, che quest’estate potrebbe regalargli un contratto in una squadra prestigiosa. Maestranzi invece si è meritato il posto in nazionale grazie alle ottime prestazioni con la casacca di Montegranaro: una bella soddisfazione per Tony, nato a Chicago, tiratore bestiale che fino all’anno scorso giocava in Lega A2.

GUARDIE
Marco Belinelli (26.03.1986 – Toronto Raptors)
Luca Vitali (09.05.1986 – Lottomatica Roma)
Daniele Cavaliero (10.01.1984 – Sigma Montegranaro)
Marco Mordente (07.01.1979 – Armani Jeans Milano)

Tante soluzioni, ma il giocatore più importante rimane Marco Belinelli: è uno che per la nazionale è sempre stato disponibile e anche quest’anno dovrà essere un trascinatore. Luca Vitali giocava insieme a Belinelli nelle giovanili della Virtus Bologna, prima che questi andasse a giocare in NBA, e fatica sempre ad esplodere definitivamente; essendo alto 2 metri può creare tanti problemi ai giocatori che lo devono marcare, deve solo trovare la continuità. Dalla panchina l’energia e la follia di Cavaliero, e la difesa, l’esperienza, la grinta di Marco Mordente.

ALI
Stefano Mancinelli (17.03.1983 – Armani Jeans Milano)
Angelo Gigli (04.06.1983 – Lottomatica Roma)
Luigi Datome (27.11.1987 – Lottomatica Roma)
Pietro Aradori (09.12.1988 – Angelico Biella)
Marco Carraretto (27.10.1977 – Montepaschi Siena)

Tanti giocatori interscambiabili in questo settore, caratteristica che piace un po’ a tutti gli allenatori e che certo Pianigiani non disprezza. Il ruolo di ala forte se lo giocheranno Mancinelli e Gigli (ma non è escluso anche un assetto più pesante con Bargnani ad occupare il ruolo), mentre Aradori sarà l’ala piccola titolare: è stato di gran lunga il migliore italiano dell’ultimo campionato ed è uno dei primi acquisti di Siena. Delle qualificazioni europee giocate a grande livello potrebbero consacrarlo definitivamente. Si spera anche di poter contare su Gigi Datome, giovane che spesso è stato frenato dagli infortuni. Da segnalare anche la presenza di Carraretto, uno dei pochi italiani di Siena, giocatore quindi che Pianigiani conosce molto bene.

CENTRI
Andrea Bargnani (26.10.1985 – Toronto Raptors)
Andrea Crosariol (11.10.1984 – Lottomatica Roma)
Marco Cusin (28.02.1985 – Vanoli Cremona)
Luca Lechthaler (23.02.1986 – Sigma Montegranaro)

Forse, Bargnani a parte, è il reparto in cui la nazionale è più carente. Sia Cusin che Lechthaler sono ragazzi che hanno fatto bene nel campionato italiano, ma sarà da vedere quale sarà il loro impatto a livelli più importanti. Crosariol rimane un mistero: fisicamente è imponente, ma è ancora molto ingenuo e spesso è costretto in panchina a causa dei tanti falli che commette. Temo che Bargnani sarà chiamato a fare gli straordinari…

Andrea Marchesi

SUMO-GATE: PIÙ SONO PESANTI, PIÙ RUMORE FANNO CADENDO

Scommesse clandestine e collusione con la mafia: la tradizione del sumo, in piena crisi di identità, viene travolta dall’ennesimo scandalo.

Per un giapponese il sumo non è solo uno sport. Il sumo è la storia del Giappone, a partire da riti celebrati contro una natura che sovente mostra il suo volto più feroce (terremoti con relativi tsunami e tifoni, ad esempio), simboleggiata da spiriti maligni in lotta contro monaci che si facevano montagne (la classica immagine della grande onda che si infrange contro il Fuji). Successivamente è divenuto uno spettacolo per gli imperatori, poi lo sport dei samurai, infine è nato il sumo moderno. Il lottatore (rikishi), nella sua vita di continuo allenamento e meditazione, è la perfetta sintesi tra un monaco guerriero e un samurai, additato dai giapponesi quale esempio di rettitudine e incarnazione del codice samuraico (bushidō) e della millenaria tradizione shintoista. Un esempio della sacralità e del rigore del sumo è dato dagli oggetti che l’arbitro tiene in mano: il ventaglio, simbolo legato all’antica nobilità imperiale, e il coltello che anticamente gli sarebbe servito per il seppuku (il suicidio del samurai, in occidente erroneamente chiamato harakiri), qualora avesse arbitrato male.

Con queste premesse, è più facile comprendere l’ondata di sdegno che si è sollevata tra gli estimatori del sumo. Dopo le vicende negative che hanno coinvolto la federazione di sumo negli ultimi anni, in questi giorni assistiamo al ritiro del campione Asashōryū per comportamento disdicevole a seguito dell’ennesima rissa, e al coinvolgimento di 65 lottatori su 800 che compongono la federazione in un giro di scommesse clandestine, gestite dalla mafia locale, la Yakuza. È doveroso precisare che le scommesse erano esclusivamente su incontri di baseball e altri sport. Non risulta che siano stati combinati incontri di sumo, quindi tutta la vicenda gravita intorno all’onorabilità dei rikishi. Un duro colpo per lo sport tradizionale che, già da diverso tempo, deve fare i conti con una fase di declino: sempre meno sono i giovani di un Giappone moderno disposti a dedicare la propria vita al sumo. Il rigidissimo stile di vita del rikishi infatti è frutto di una visione antica del mondo e impone una vita di clausura, oltre a comportare scarsa longevità per gli atleti, che pagano in termini di problemi cardiaci e circolatori l’alimentazione necessaria per raggiungere il necessario physique du rôle. Essere un rikishi significa dedicarsi anima e corpo alla tradizione giapponese, in un cammino che non offre alternative al sumo, una volta intrapreso. Significa essere uno dei simboli più puri della millenaria tradizione nipponica.

Crisi all’interno della quale si colloca anche la figura di Asashōryū Akinori, personaggio controverso che ha scosso diverse volte l’establishment del sumo. Nato nella capitale mongola Ulan Bator, Asashōryū è stato il più precoce sumotori della storia, diventando il 68° Yokotsuna (il grado più alto nella gerarchia del sumo, raggiunto nella storia solo da 75 lottatori), primo di nazionalità mongola, a soli ventidue anni. Dolgorsürengiin Dagvadorj, questo il suo vero nome (l’altro, Asashōryū, significa “Drago blu del mattino”), non particolarmente amato dal pubblico per il fatto di non aver mai richiesto la cittadinanza giapponese, ha infranto più volte i rigidi codici del sumo: sonore proteste con gli arbitri, schiaffi agli avversari fuori dal dohyō (il ring del sumo), sospetti di combine, esultanze eccessive, episodi di danneggiamenti nei confronti del suo Oyakata (maestro e allenatore). Oltre alle squalifiche: nel 2003 per aver strattonato un avversario per i capelli durante un incontro, nel 2007 per aver saltato, con un falso certificato medico, un torneo promozionale (primo Yokotsuna a subire una squalifica).

Nel veder messa in dubbio l’onorabilità dei rikishi l’opinione pubblica ha risposto negativamente, inviando messaggi di sfiducia e biasimo alla federazione e ai media. Messaggi che hanno indotto gli sponsor a ritirarsi e, successivamente, la televisione pubblica NHK ad annullare le dirette del torneo di Nagoya, trasmesse ininterrottamente dal 1957, anno in cui la televisione sbarcò in Giappone. È molto probabile che gli incontri, in calendario dall’11 al 25 luglio, saranno disertati dal pubblico in segno di protesta verso chi sta infangando la tradizione. Il Giappone non è nuovo a casi di corruzione, scandali e connivenze con la Yakuza: tutti eventi mal visti dall’opinione pubblica che di prassi pretende la testa di chi si macchia di tali reati, in particolare quando il buon nome del Giappone e delle sue tradizione viene infangato. A gran voce si chiede rifondare la federazione ed epurare chiunque sia coinvolto in vario titolo negli scandali o colluso con la Yakuza, per salvare la sacralità di uno sport che di fatto è una vera cerimonia religiosa, in cui anche il dohyō è strutturato come un tempio shintoista. In un paese in cui l’onore è ancora un valore e il sentimento nazionalistico è vivo e forte, è inaccettabile che sia infangato uno dei simboli del paese. Chi ha sbagliato, sicuramente, pagherà e a poco serviranno le doverose e inevitabili scuse dei lottatori coinvolti.

Marco D’Urso

ADDIO HERBERT ERHARDT

Campione del Mondo senza giocare nemmeno un match e in seguito capitano della Germania Ovest: si è spento Erhardt.

Mentre la Germania demoliva l’Argentina 4-0, un pezzo della sua storia se ne andava, a soli tre giorni dal suo ottantesimo compleanno: Herbert Erhardt. Nato il sei luglio 1930 a Fürth, dove poi si sarebbe spento, iniziò la sua carriera nella squadra locale a diciott’anni. Difensore centrale, duro negli interventi e punto di riferimento dei compagni sul campo, fece la sua prima apparizione con la maglia della Germania Ovest nel 1953, guadagnando poi la convocazione per la Coppa del Mondo dell’anno successivo, che i tedeschi vinsero. Sebbene l’allenatore Sepp Herberger avesse considerato l’idea di utilizzarlo nella controversa finale con l’Ungheria, Erhardt non scese mai in campo durante quel Mondiale, stabilendosi come punto fermo della nazionale solo successivamente, nell’inedito ruolo di stopper. Nel 1962 si trasferì al Bayern Monaco, dove terminò la sua carriera due anni più tardi, e si ritirò dalla nazionale, dopo 50 partite, sedici delle quali disputate con la fascia di capitano al braccio.

Damiano Benzoni