NEL FESTIVAL DELLE CADUTE TRIONFA PETACCHI

Dopo 7 anni, Alessandro Petacchi ritorna alla vittoria al Tour de France in una volata dove le cadute frenano molti dei protagonisti e degli uomini di classifica.

Alessandro PetacchiDopo il cronoprologo di Rotterdam, il Tour de France inizia a puntare verso la Francia: lo fa con una tappa di 222 km che unisce Amsterdam a Bruxelles, due tra i simboli dell’Europa settentrionale. Nella capitale belga non si arrivava dal 1992: allora vinse un ventiquattrenne Laurent Jalabert allo sprint su un mai domo Claudio Chiappucci. Il gruppo, in partenza dall’Olanda, perde subito due uomini: il portoghese Manuel Cardoso (Footon-Servetto) e lo svizzero Mathias Frank (BMC) non hanno smaltito le conseguenze della caduta di ieri, e non sono in grado di ripartire. Già dopo pochi chilometri parte la fuga che caratterizzerà tutta la tappa, come da tradizione nelle prime frazioni di ogni Tour de France. I coraggiosi sono Maarten Wijnants (Quick Step), longilineo corridore belga; Alan Pérez Lezaun (Euskaltel-Euskadi), ventisettenne navarro mai vincente in carriera; e Lars Boom (Rabobank), il più noto dei tre, già campione del mondo di ciclocross, campione nazionale olandese su strada nel 2008 e capace di aggiudicarsi una tappa alla Vuelta 2009. Il gruppo lascia fare, anche perché, attorno al chilometro 60, viene rallentato da un incidente, quando un cane taglia il plotone nelle prime posizioni facendo finire a terra un drappello di atleti, tra cui il varesino Ivan Basso (Liquigas) che rimedia un’escoriazione al ginocchio. Come vedremo, non sarà l’unica caduta di giornata: tra gli atleti che riscontrano le peggiori conseguenze, l’australiano Adam Hansen (HTC-Columbia), capace comunque di terminare stoicamente la tappa. Davanti c’è accordo, ma il vantaggio, inizialmente schizzato oltre i 7’, viene gradualmente ridotto, grazie alle tirate delle squadre dei velocisti e anche della Saxo Bank di Fabian Cancellara, interessato a tenere la maglia gialla il più a lungo possibile.

Ai meno 25 dal traguardo resiste in testa solo Wijnants, affiancato dal campione nazionale moldavo Alexandr Pliuschin (Team Katusha), che si impegna come un forsennato: ma quando dietro ci sono interi team che vogliono chiudere il gap, c’è poco da fare. A otto chilometri dal traguardo si esaurisce definitivamente la fuga, che ha visto il coraggioso belga Wijnants resistere per oltre 200 km. La Lampre di Petacchi e la HTC-Columbia di Cavendish prendono in mano la situazione, con David Millar (Garmin) che fa risalire posizioni al compagno Tyler Farrar. Mancano 2000 metri, c’è un’insidiosa curva verso destra: Jeremy Hunt (Cervélo) sbaglia traiettoria e cade, coinvolgendo Mirco Lorenzetto (Lampre) e Óscar Freire (Rabobank); anche Mark Cavendish, pur non cadendo direttamente, rimane staccato definitivamente dalla testa del plotone. Ma non è finita qui: agli ottocento metri una mischia incredibile attorno alla quindicesima posizione porta a terra Basso, Cancellara e dozzine di altri corridori che però si rialzano; ai trecento metri, il francese Lloyd Mondory (Ag2r-La Mondiale) cade anche lui, frenando lo sprint di Tyler Farrar. Sprint che forse non gli sarebbe valsa la vittoria, vista la netta superiorità messa in mostra da Alessandro Petacchi (Lampre-Farnese Vini): il velocista ligure dribbla le cadute con intelligenza e fortuna, per trionfare nella città che ha dato i natali ad Eddy Merckx con una volata lunga e potente che non lascia scampo ai rivali, alla faccia dei 36 anni compiuti. Lo spezzino torna al successo alla Grande Boucle, sette anni dopo il poker ottenuto nel lontano 2003. In classifica non cambia nulla, anche perché in questo Tour non si assegnano abbuoni e, ai meno 3 km, è intervenuta la neutralizzazione del tempo a salvare cronometricamente i vari atleti terminati a terra: Fabian Cancellara può indossare dunque la sua diciassettesima maglia gialla. Domani 192 km tra Bruxelles e Spa, segnati da sei côtes nei chilometri finali che potrebbero ingolosire molti corridori e, perché no, far segnare la prima battaglia tra gli uomini di classifica.

Domenica 4 luglio 2010
Tour de France, seconda tappa
Amsterdam – Bruxelles (222 km)

ORDINE D’ARRIVO:

Ciclista Squadra Tempo
1. Alessandro PETACCHI Lampre-Farnese Vini 5h09’38”  (media 43,30 km/h)
2. Mark RENSHAW HTC-Columbia stesso tempo
3. Thor HUSHOVD Cervélo stesso tempo
4. Robbie McEWEN Team Katjuša stesso tempo
5. Mathieu LADAGNOUS Française des Jeux stesso tempo
6. Daniel OSS
Liquigas-Doimo a 2″

CLASSIFICA GENERALE:

Ciclista Squadra Tempo
1. Fabian CANCELLARA Saxo Bank 5h19’38”
2. Tony MARTIN HTC-Columbia a 10″
3. David MILLAR Garmin a 20″


12. Adriano MALORI Lampre-Farnese Vini a 35″

MAGLIA VERDE (punti):

Ciclista Squadra Punti
1. Alessandro PETACCHI Lampre-Farnese Vini 35
2. Mark RENSHAW HTC-Columbia 30
3. Thor HUSHOVD Cervélo 26

MAGLIA BIANCA (giovani):

Ciclista Squadra Tempo
1. Tony MARTIN HTC-Columbia 5h19’48”
2. Geraint THOMAS Team Sky a 13″
3. Edvald BOASSON HAGEN Team Sky a 22″

Marco Regazzoni

BRASILE E ARGENTINA: ANATOMIA DI DUE FALLIMENTI

Una chiave di lettura sull’eliminazione delle due sudamericane favorite per il titolo

Foto: EPA

Un Mondiale pubblicizzato come sudamericano ha perso le due regine ai quarti, con il solo Uruguay a vincere una partita persa. I motivi della disfatta di Brasile e Argentina sono di facile decrittazione. Contro l’Olanda è accaduto quello che sospettavamo: un Brasile senza nessun ricambio valido (tranne Dani Alves) che desse lo spunto decisivo per uscire da un gioco molto lineare è stato messo fuori dall’irruenza di Felipe Melo e dalla costanza dell’Olanda, capace di giocare allo stesso ritmo e con fraseggi molto simili per l’intero incontro (deve stare molto attenta all’Uruguay, capace di difendere forte e cambiare passo meglio del Brasile, anche se mancando Suárez, miglior attaccante del Mondiale insieme a Villa, perde tantissimo). Adesso la squadra deve rifondarsi e vincere in casa. Per questo motivo chi prenderà il posto di Dunga avrà all’inizio i benefici dell’effetto Prandelli (o post-Lippi, Dunga in questo caso), ma poi dovrà sobbarcarsi un lavoro psicologico tremendo. Brasile 2014 deve dare la sesta stella, c’è poco da stare lì a riflettere. Con quale Brasile, ad oggi, si arriverebbe ad un evento così importante? In difesa ci sono dei ricambi validi, primo fra tutti Thiago Silva, anche se Maicon, Lúcio e Juan non nascono ogni quattro anni. Il portiere potrebbe rimanere, anche se il vivaio è prolifico e qualche altro giovanissimo sulle fasce in Brasile nasce sempre. I veri problemi sono centrocampo e attacco.

La volontà di Dunga di giocarsela con chi gli ha fatto vincere Coppa America e Confederations Cup, convocando giocatori inutili (Júlio Baptista, Josué, Gilberto Melo, Grafite) lo ha lippizzato e ha creato lo stesso sconquasso generazionale in cui si trova l’Italia. Una generazione in Brasile è totalmente saltata e dei nati nella prima metà degli anni ’80 c’è il solo Robinho che può arrivare, da grande vecchio, all’appuntamento brasiliano. C’è da puntare quindi sui giovanissimi: qui sorge un altro problema che è invece tipico del paese sudamericano (a differenza dell’Argentina). Una marea di calciatori giovani lasciano prestissimo i loro club di appartenenza, come è sempre successo. Ma invece di arrivare in Italia, Spagna, Germania o Inghilterra, i dollaroni di Russia, Giappone, Grecia e addirittura Ucraina fanno più gola. Della squadra vicecampione mondiale under 20, Dunga non ha convocato nessuno. E, tra quelli che giocavano in quella squadra, Douglas Costa e Alex Texeira sono allo Šachtar Donec’k, Rafael Tolói è vicino ad una delle grandi di Mosca, Renan è allo Xerez in prestito dal Valencia, Diogo all’Olimpiakos, Alan Kardec al Benfica e Souza al Porto. Della squadra titolare della finale contro il Ghana nessun elemento gioca in una grande squadra europea, molti vincitori di quel match (solo ai rigori e in modo immeritato) giocano in squadre di seconda fascia europea, ma almeno sono stati convocati e hanno giocato già il loro primo Mondiale. Con una squadra completamente da rifare, giovani che non hanno nessuna grande esperienza internazionale e senza convocazioni in Nazionale, il Brasile è un cantiere in cui è tutto ancora da decidere.

Per l’Argentina invece, il discorso è molto diverso. Il più grande errore di Maradona è stato credere che Messi fosse lui. Un errore che ha creato le premesse per la figuraccia tattica di ieri. Ieri l’Argentina era una squadra da dopolavoro. Tutti fermi ad aspettare le accelerazioni di Lionel. Come accadeva nel 1986, secondo un calcio di mille anni fa. L’idea di Maradona era fotocopiare il 1986 e riproporlo grazie alla Pulce. Una difesa bloccatissima (Brown, Cuciuffo e Ruggeri erano tre centrali e Olarticoechea non garantiva una grandissima spinta), centrocampo di lotta con un mediano compassato che moderava i ritmi e faceva muovere a cadenza bassissime la squadra (e qui nasce il primo grande problema: Batista nel 1986 poteva giocare al calcio perché bastava fraseggiare a velocità da dopolavoro nella propria metà campo, mentre con il pressing di oggi Verón è improponibile e Maradona sapeva di non poterlo schierare dopo che lo aveva testato nella prima gara con la Nigeria), un attacco con un centravanti goleador e una seconda punta che svariava.

Il nodo e lo snodo è il numero 10. Lì c’era Maradona, che saltava gli uomini e riusciva a non imbottigliarsi mai (anche per la mancanza di pressing). In questo modo apriva spazio per gli altri due attaccanti che trovavano sempre la strada spalancata. Messi invece saltava i primi due e andava ad imbottigliarsi in mezzo a tre avversari che gli negavano tutti gli spazi di passaggio. In questo modo continuava a dribblare, perdendo palla o tirando in porta sbilanciato. Messi non è Maradona perché doveva capire di anticipare il tempo di passaggio, così da coinvolgere gli altri nel gioco e destabilizzare la difesa avversaria. Non è Maradona perché se vicino non gli metti Xavi e Iniesta che portano la palla pulita fino ai 25 metri, Messi non è capace di far muovere la squadra, costretta a stare appresso alle sue briciole. Nel Barcelona può aspettare a sinistra lo svolgimento del gioco e poi accendersi quando la difesa avversaria deve già prendere in carico l’intero fronte del gioco, mentre nell’Argentina, non avendo mediani di costruzione, parte dal centro e va a fare confusione sia a destra che a sinistra, bloccando qualsiasi gioco in fascia. Con un Verón, e non con Cambiasso e Zanetti che non avrebbero portato nessuna variante in questo sistema di gioco, questo gioco si poteva attuare, ma la Brujita era da pensione. Sciocco anche il richiamo a Milito, che sa giocare soprattutto in profondità con una batteria di mezze punte che portavano palla senza darla mai nello spazio. Maradona per me ha fatto il massimo con una squadra facilmente disinnescabile.

PALLANUOTO FEMMINILE: CONTINUA IL PREDOMINIO DELLE STATUNITENSI

Vittoria delle statunitensi in World League, dopo aver superato per la seconda volta l’Australia ai rigori.

Le statunitensi di Adam Krikorian, campionesse del mondo in carica e padrone di casa, si aggiudicano per la quinta volta la World League, battendo l’Australia in finale ai rigori dopo aver pareggiato 7-7 alla fine del tempo regolamentare. Il sette statunitense aveva trovato il vantaggio verso la fine del primo quarto, mantenendolo fino all’inizio del quarto, senza però riuscire a mettere tra sè e le australiane un break importante: il vantaggio massimo era stato di due reti.

Nell’ultima frazione di gioco la riscossa delle australiane: le australiane, sfruttando due superiorità prima con Bronwen Knox (5-5), poi con Glencora Ralph (6-6) ristabilivano la parità per poi portarsi in vantaggio a due minuti dalla fine con Sophie Smith. Era Lauren Wenger, diciotto secondi dopo, a pareggiare i conti per gli Stati Uniti, decretando il pareggio e rinviando il verdetto della gara ai tiri di rigore. Nessun errore per le rigoriste statunitensi, mentre tra i pali la loro Betsey Armstrong, votata miglior portiere del torneo, neutralizzava il quarto rigore delle australiane, tirato da Jemma Dessauvagie, permettendo a Maggie Steffens di mettere in porta il tiro decisivo sulll’ultimo rigore, dietro le spalle di Victoria Brown.

Le statunitensi già nel girone preliminare avevano avuto la meglio delle australiane ai rigori, oltre ad aver superato Grecia (poi sconfitta nuovamente in semifinale) e Russia, mentre nei quarti avevano battuto il Canada 7-4 in una riedizione della finale mondiale di Roma dello scorso anno.

Al terzo posto della World League è arrivata la Grecia, dopo aver battuto nella finale di consolazione le russe per 8-7, stesso risultato con cui l’Australia le aveva superate in semifinale. Nella parte bassa del tabellone la Cina ha battuto l’Ungheria per il quinto posto, mentre l’Olanda ha superato il Canada piazzandosi in settima posizione. Per le magiare inutili le buone prestazioni di Dóra Kisteleki, miglior marcatrice della manifestazione, e di Gabriella Szűcs. Il premio di miglior giocatrice del torneo è andato ala statunitense Brenda Villa, impegnata con il Catania nel campionato italiano.

Sabato 3 luglio 2010
AUSTRALIA – STATI UNITI 7-7 – 4-5 d.t.r.
(1-2; 1-2; 2-1; 3-2)
Coggan Center, La Jolla (California, USA)

AUSTRALIA: Brown, Beadsworth 1, Smith 1, Brightwell, Moran, Knox 3, Webster, Ralph, Dessauvagie, Arancini, Rippon, Zagame, Wakefield.

STATI UNITI: Armstrong, Petri 1, Matthewson, Villa, Wenger 1, Gandy, Steffens, Silver 2, Windes 1, Rulon 1 (rig.), Dries, Craig 1, Seidemann.

NOTE: nessun espulso per limite di falli. Superiorità numeriche Australia 2/9, Stati Uniti 3/9 + 1 rig.

RIGORI:

AUSTRALIA 4 STATI UNITI 5
Webster 1 Gandy 1
Knox 2 Rulon 2
Beadsworth 3 Seidemann 3
Dessauvagie p Silver 4
Brightwell 4 Steffens 5

Damiano Benzoni

WORLD LEAGUE: TUTTO LISCIO IN CINA PER L’ITALVOLLEY

L’Italia si sbarazza della Cina 3-0 3-0 e agguanta un primo posto provvisorio in World League.

Cina - Italia
Foto: Fivb.org

Missione compiuta per i ragazzi di Anastasi. Nella doppia sfida ravvicinata con la Cina, penultima tappa del girone B, gli azzurri vincono entrambi gli incontri per 3-0. Si gioca a Wuhan, una delle più popolose città della Cina interna, capoluogo della provincia dell’Hubei, situata alla confluenza del fiume Azzurro e del fiume Han.

Anastasi schiera pressoché lo stesso sestetto in entrambe le partite. Superati i problemi fisici, nel ruolo di libero, torna Marra al posto di Manià. Il futuro libero di Piacenza ha dimostrato di aver ormai pienamente superato sia gli acciacchi, sia la pressione dell’esordio. A suon di miracolosi interventi difensivi si candida sempre più per un posto da titolare ai mondiali. Vermiglio e Fei formano una diagonale palleggio – opposto di provata esperienza. Vermiglio gioca da vero leader offensivo dando carica ai suoi ogniqualvolta la Cina minaccia di rifarsi sotto. Rispetto al doppio confronto con la Francia i centrali vengono maggiormente chiamati in causa. Sia Birarelli che Mastrangelo rispondono positivamente e si fanno trovare sempre presenti.

In banda, dove forse Anastasi ha ancora i maggiori dubbi, bene Maruotti, anche se talvolta dà l’impressione di dover ancora affinare l’intesa con Vermiglio. Savani, il nostro miglior schiacciatore-ricevitore, per problemi fisici, è stato costretto a lasciare il posto a Parodi nel terzo set del match di venerdì e lasciato a riposo sabato. Parodi, che aveva giocato bene con la Serbia ma non altrettanto con la Francia ha assoluto bisogno di trovare continuità ma resta in prospettiva uno dei migliori giocatori azzurri.

L’Italia è uno schiacciasassi solamente nel primo set del secondo incontro. Pur senza emozionare ma dimostrando assoluta tranquillità, gli azzurri riescono sempre ad avere la meglio nei momenti decisivi. Non va dimenticato che oltre a giocare in trasferta due partite ravvicinate, Vermiglio e compagni dovevano anche fare i conti col fuso orario che, nel doppio confronto con la Cina la Serbia, era costato un punto ai balcanici. Italia si è dimostrata nettamente superiore a muro e nell’impostazione del primo attacco mentre i cinesi si sono confermati maestri nelle palle rigiocate. Il gioco della squadra di casa però alla lunga si è dimostrato prevedibile appoggiandosi troppo su Zhong Weijun e in alternativa su Chen Ping.

Per il momento l’Italia si gode un primo posto provvisorio. Domani la Serbia dovrà vincere se vorrà mantenere il vantaggio di due punti. Il 7 e l’8 luglio, dopo il doppio confronto con la Serbia a Belgrado sapremo se l’Italia potrà volare a Buenos Aires per la final six di questa World League. I giochi sono ancora aperti, sia per quel che riguarda la possibilità di arrivare primi, sia di qualificarci come migliore seconda. Quel che è certo è che quest’Italia, pur non essendo favorita può mettere in difficoltà chiunque.

Venerdì 2 luglio 2010
CINA ITALIA 0 – 3
(20-25; 22-25; 20-25)
Wuhan (CHN)

CINA: Bian Hongmin 7, Liang Chunlong 3, Zhong Weijun 13, Jiao Shuai 1, Chen Ping 17, 12 C Shen Qiong (c) 3, Ren Qi (l), (Yuan Zhi n.e., Zhang Chen 3, Cui Jianjun n.e., Yu Dawei 1, Li Runming).

ITALIA: Mastrangelo 6, Marra (l) , Vermiglio (c) 3, Maruotti 11, Savani 11, Fei 17, Birarelli 10, (Parodi 1, Lasko n.e., Buti n.e., Travica, Černic n.e.).

Sabato 3 luglio 2010
CINA ITALIA 0 – 3
(17-25; 25-27; 21-25)
Wuhan (CIN)

CINA: Bian Hongmin 8, Yuan Zhi 1, Liang Chunlong 6, Zhong Weijun 6, Shen Qiong (c) 6, Li Runming, Ren Qi (l), (Zhang Chen, Jiao Shuai n.e., Chen Ping 11, Yu Dawei n.e., Ding Hui).

ITALIA: Mastrangelo 8. Marra (l), Parodi 11, Vermiglio Valerio (c) 2, Maruotti 11, Fei 21, Birarelli 6 (Lasko n.e., Buti n.e., Travica, Černic n.e., Zaytsev n.e.).

Nicola Sbetti

URUGUAY: FEBBRE A 120′

L’Uruguay passa le forche caudine del Ghana solo ai rigori, dopo che all’ultimo minuto di gioco una mano di Suárez e un rigore sbagliato di Gyan avevano graziato la Celeste.

Esce anche l’ultima africana dalla prima Coppa del Mondo disputata nel continente: al quarto di finale disputato al Soccer City un Ghana mai domo cede il passo solo ai rigori (4-2, dopo che i tempi regolamentari e i supplementari si erano chiusi sull’1-1) all’Uruguay di Oscar Washington Tabárez. Una partita torrida e ruvida che fino all’ultimissimo minuto del supplementare non ha mancato di regalare emozioni.

Il momento decisivo della partita è proprio quel 120′: è l’ultima azione della partita e i ghanesi, dopo aver dominato il secondo tempo supplementare, tentano un’ultima sortita offensiva. Da una punizione sulla destra Muslera respinge il tiro. Appiah cerca di girare il rimpallo a rete, ma la palla rimbalza sulle gambe di Suárez e poi viene colpita di testa verso rete da Adiyiah. La ferma di nuovo Suárez, sulla riga, di mano: cartellino rosso e rigore contro per l’uruguagio, ma partita salvata. Dal dischetto degli undici metri Asamoah Gyan, con il peso di tutta l’Africa sulle spalle, fa tremare la traversa. Al direttore di gara, il portoghese Benquerença, non resta che fischiare e rimandare il verdetto ai rigori. Ma mentre Gyan si riscatta dall’errore commesso tre minuti prima trasformando il primo penalty della serie, il tiro da fermo di Mensah e quello di Adiyiah, entrambi indirizzati alla sinistra di Muslera, vengono neutralizzati dal portiere della Lazio, e il cucchiaio del loco Abreu conclude con l’ennesima emozione della serata un incontro disputato sul filo del rasoio e deciso in maniera drammatica.

Era stato l’Uruguay a dimostrarsi più convincente in avvio di partita, abile a rallentare il ritmo dei ghanesi e ad accelerarlo repentinamente una volta entrati in possesso di palla. Gli africani, per contro, hanno acquistato gradualmente coraggio, salendo in cattedra verso metà del primo tempo e sbloccando il punteggio proprio a ridosso dell’intervallo: l’effetto del tiro di Sulley Muntari dai trenta metri sorprende Muslera e decreta la rete dell’1-0 che affossa un Uruguay rimasto privo del capitano Lugano, infortunatosi una decina di minuti prima.

Nella ripresa il Ghana conferma la sua contraddizione: una squadra capace di ottime accelerazioni, di fraseggi veloci, precisi e cristallini negli spazi ristretti, più volte si fa trovare a controllare il pallone in maniera goffa e impacciata. Contraddizione ben rappresentata anche dal portiere Richard Kingson che, a salvataggi istintivi e rinfrancanti, ha alternato momenti di insicurezza quasi imbarazzanti. Suo l’errore che concede, al decimo della ripresa, il pareggio all’Uruguay: Forlán batte una punizione dalla sinistra, Kingson si sposta di quel metro che basta a farlo trovare fuori posizione.

Resta comunque un Ghana che ha messo il cuore fino all’ultimo e che si è reso protagonista di ottime performance. In quest’occasione hanno brillato l’instancabile lavoro di Samuel Inkoom, le sgroppate di Kevin-Prince Boateng e un Asamoah Gyan, punto di riferimento dell’attacco ghanese che, fino all’ultimo, anche dopo due ore di gioco, non ha smesso di mettere in difficoltà l’ottima difesa della Celeste. Terza squadra africana nella storia a qualificarsi ai quarti, come Camerun (1990) e Senegal (2002) il Ghana è arrivato a pareggiare alla fine del tempo regolamentare, disputando i tempi supplementari. E come Camerun (battuto da un rigore dell’inglese Lineker al 105′) e Senegal (rete del turco Mansız al quarto minuto del primo supplementare), non è riuscito ad accedere alla semifinale.

Per l’Uruguay da sottolineare la prova di Jorge Fucile, determinante nonostante il colpo che gli ha fatto perdere brevemente i sensi alla fine del primo tempo, il lavoro di interdizione di Egidio Arévalo e soprattutto un Diego Forlán, poi ben supportato da Abreu, che ha fatto vedere ottimi spunti offensivi. Il prossimo ostacolo sarà l’Olanda, e sarà durissima affrontarla con i 120 minuti di oggi nelle gambe e nella testa, e soprattutto con diverse assenze di peso. Mancheranno all’appello infatti gli squalificati Fucile e Suárez, novella mano de Dios uruguagia, oltre a Godín e, con ogni probabilità, capitan Diego Lugano, il cui infortunio al ginocchio è parso serio.

Venerdì 2 luglio 2010
URUGUAY – GHANA 1-1 (1-0; 1-1; 1-1) – 4-2 d.c.r.
Soccer City, Johannesburg (RSA)

URUGUAY: Muslera, M.Pereira, Lugano (c) (38′ Scotti), Victorino, Fucile, A.Fernández (46′ Lodeiro), Pérez, Arévalo, Cavani (76′ Abreu), Suárez, Forlán.

GHANA: Kingson, Paintsil, Vorsah, John Mensah (c), Sarpei, Inkoom (74′ Appiah), Asamoah, Annan, K.Boateng, Muntari (88′ Adiyiah), Gyan.

ARBITRO: Olegário Benquerença (POR)

GOL: 47′ pt. Muntari (GHA), 55′ Forlán (URU)

NOTE: ammoniti Fucile, Pérez, Arévalo (URU), Sarpei, Pantsil, John Mensah (GHA). Espulso al 121′ Suárez (URU) per aver bloccato con le mani un tiro sulla linea di porta. Al 122′ Gyan (GHA) calcia un rigore sulla traversa.

RIGORI:

URUGUAY 4 GHANA 2
Forlán 1 Gyan 1
Victorino 2 Appiah 2
Scotti 3 John Mensah 2 (p)
M.Pereira 3 (a) Adiyiah 2 (p)
Abreu 4

Damiano Benzoni