L’ESTATE DI LEBRON È ALLE PORTE

Prossimo all’apertura il mercato dei free agent dell’NBA: occhi puntati sul destino di LeBron James.

Migliaia di pagine web, tonnellate di pagine di giornali, ore ed ore di discussioni e dibattiti, tutti riguardanti il mercato NBA dei free agent che mai come quest’anno sarà ricco di nomi prestigiosi in grado di accendere le fantasie dei tifosi. Alla mezzanotte del primo luglio, ora di New York, si scatenerà l’inferno, statene certi.

Il caso più spinoso e allo stesso tempo più intrigante riguarda quello che secondo molti è il miglior giocatore della lega, LeBron James. Secondo le ultime indiscrezioni James sarebbe diretto verso Chicago nella suggestiva veste di Michael Jordan del nuovo millennio, una voce riportata dal New York Times e “spifferata” da un dirigente NBA che ha mantenuto l’anonimato. Un ulteriore indizio può essere la cessione di Kirk Hinrich a Washington, necessaria a liberare ulteriore spazio salariale. La soffiata potrebbe anche essere quella giusta; personalmente non ci metterei la mano sul fuoco: troppi gli interessi in gioco quando si parla di mercato (club, sponsor, agenti dei giocatori, tifosi), che è tutto fuorché una scienza esatta. Nella corsa al Prescelto (The Chosen One, questo il soprannome di James) ha perso posizioni quella che fino a poco tempo fa sembrava essere la grande favorita, ovvero i New York Knicks. È vero che la squadra allenata da Mike D’Antoni negli ultimi anni si è concentrata più a liberarsi dei contratti di giocatori che guadagnavano troppo in proporzione al loro rendimento in campo, e che quindi avrebbe le possibilità economiche per riuscire ad ingaggiare oltre a LeBron anche un altro free agent in grado di cambiare i destini della franchigia, ma la squadra sarebbe da ricostruire e LeBron non può permettersi di sprecare troppo tempo. È giovane, certo, ma il contratto che firmerà in queste settimane sarà quello più importante della sua carriera; nonostante la presenza di Danilo Gallinari, che nell’ultimo anno si è conquistato la stima di compagni, avversari e pubblico, la squadra sarebbe tutta da assemblare attraverso difficili operazioni di mercato. Probabilmente New York è la città più affascinante e intrigante, ma per giocare a basket (ad oggi) ci sono squadre più interessanti. Sembrano più defilati nella corsa a LeBron anche i Los Angeles Clippers e i New Jersey Nets, che pure pensavano di avere qualche possibilità vista l’amicizia che lega il giocatore al rapper Jay-Z, detentore di alcune quote dei Nets, ma anche qui vale il discorso fatto per New York. In vista dell’imminente trasferimento della franchigia a Brooklyn, James sarebbe stato il miglior testimonial.

Doveva essere l’estate di un altro grande free agent, Dwyane Wade, stella dei Miami Heat. Dopo il titolo vinto nel 2006 gli Heat non sono più stati capaci di essere competitivi ai massimi livelli, facendo indispettire Wade, tanto che erano girate delle voci riguardo un suo possibile addio al club della Florida. Ma le rinnovate ambizioni del club e il possibile ritorno in panchina del mito Pat Riley dovrebbero aver convinto Wade a rinnovare il contratto e con un altro big (magari proprio James, che è buon amico di Wade?) Miami potrebbe tornare in corsa per il titolo.

Gli altri nomi in ballo? Chris Bosh, Dirk Nowitzki, Joe Johnson, Amare Stoudemire. Sono fra i migliori giocatori della NBA e, se acquistati da squadre già competitive, potrebbero avere la possibilità di vincere quel titolo NBA che nessuno dei quattro ha mai conquistato. Probabilmente si assisterà ad un effetto-domino: il trasferimento di James (ovviamente nel caso non dovesse rimanere a Cleveland) potrebbe innescare una serie di acquisti collegati tra loro, che alla fine andrebbero a cambiare la geografia del potere del basket NBA.

Andrea Marchesi

DRAFT SCIALBO, WALL A WASHINGTON

Qualità livellata verso il basso in un draft povero di europei: l’attesissimo John Wall approda a Washington.

Poche sorprese e una qualità media non elevatissima: quello del 2010 non è stato un draft che rimarrà nella storia. La prima scelta, quest’anno nelle mani di Washington, non poteva che essere John Wall, playmaker da Kentucky, la squadra di coach John Calipari. Se, com’è probabile, dovesse vincere il titolo di Rookie of The Year, sarebbe il terzo giocatore allenato da Calipari ad aggiudicarsi il titolo, dopo Derrick Rose nel 2008 e Tyreke Evans nel 2009. Attaccante terrificante, velocissimo e spettacolare, Wall dovrà imparare a gestire la squadra anche a ritmi non elevati e costruirsi un tiro affidabile. Ha il tempo e la capacità per farlo: dovesse riuscirci sarà sicuramente uno dei top players della NBA. Washington fino a ieri era la squadra di Gilbert Arenas, adesso diventerà la squadra di John Wall, 20 anni, ma idee ben chiare (“Sono sempre stato un leader, in qualsiasi squadra abbia giocato”). Tradotto: Arenas non serve più, ci sono io. Problema: come si fa a vendere uno che ha giocato una cinquantina di partite negli ultimi tre anni, che estrae una pistola contro un compagno negli spogliatoi e che guadagna una ventina di milioni di dollari a stagione per i prossimi quattro anni? Sarà una vera gatta da pelare per la dirigenza di Washington.

Il giocatore più pronto e completo del draft è probabilmente Evan Turner: buona scelta di Philadelphia, anche se non sembra che Turner possa diventare un giocatore in grado di risollevare le sorti di una franchigia dal grande passato, ma dal futuro incerto. Sorprende un po’ la scelta dei New Jersey Nets, che decidono di puntare sull’ala forte Derrick Favors, invece che sull’ala piccola Wesley Johnson prontamente scelto da Minnesota. Johnson è un giocatore intelligente, bravo in difesa, atletico e con un buon tiro, può mettersi in mostra e aiutare i derelitti Timberwolves, squadra comunque giovane e con margini di crescita interessanti. Desta curiosità DeMarcus Cousins, scelto al numero 5 da Sacramento: diventerà una stella o sarà un bluff? 130 kg di potenza allo stato puro e un repertorio con dei buoni movimenti offensivi fanno molto comodo e chiunque dovrà marcarlo deve prepararsi a serate molto faticose. Dall’altra parte si tratta di un giocatore difensivamente devole e sulla cui tenuta psicologica sono stati espressi diversi dubbi. Attenzione, poi, alla massa di grasso corporeo, percentuale che potrebbe oscillare pericolosamente.

Pessima scelta per Golden State, che porta a casa Ekpe Udoh (veramente inspiegabile a meno che i Warriors non si divertano a collezionare i doppioni dei giocatori già presenti in rosa), mentre i Detroit Pistons si buttano su Greg Monroe: forse non il giocatore che si cercava, ma con una scelta alla 7 probabilmente non si poteva fare di meglio. I Los Angeles Clippers scelgono Al-Farouq Aminu, atleta pazzesco, ma che si deve costruire un tiro affidabile e trovare un’identità a livello NBA (ala piccola o ala forte?). Gli Utah Jazz pescano Gordon Hayward, bravo tiratore simbolo di Butler (il college che ha conteso fino all’ultimo il titolo NCAA alla strafavorita Duke), mentre gli Oklahoma City Thunder acquisiscono tramite uno scambio l’ex Kansas Cole Aldrich, centro bianco di 2 metri e 13 con ottimi fondamentali (anche se fino all’anno scorso era molto più considerato dagli scout NBA). I Thunder continuano ad accumulare giovani: dovessero acquistare un buon free-agent sul mercato potrebbero fare un salto di qualità importante. Toronto, la squadra dove giocano i “nostri” Andrea Bargnani e Marco Belinelli, ha scelto l’ala forte Ed Davis, ovvero il giocatore che sostituirà Chris Bosh, quasi certamente in partenza alla ricerca di nuove motivazioni e di una squadra più competitiva dopo sette anni ai Raptors. Se è vero che le cifre di Bosh sono importanti (24 punti, 11 rimbalzi, 2 assist e 1 stoppata a partita) e che è impensabile che Davis possa replicarle, è anche vero che Bosh era un giocatore che “calamitava” molti palloni: non è escluso quindi che la squadra, con un giocatore meno ingombrante al suo posto, possa risultare più efficace.

Resta poco altro da segnalare, se si eccettuano le due ottime scelte di Memphis, rappresentate dal numero 12 Xavier Henry, guardia completa con un ottimo tiro da tre, e da Greivis Vásquez, play venezuelano dalle prospettive interessanti. I due giocatori andranno a completare una squadra che l’anno scorso si è comportata decisamente bene: Daniel Orton è andato a Orlando e potrebbe già dare una bella mano a Dwight Howard. Molta curiosità circonda invece Jarvis Varnado, scelto al secondo giro da Miami, terrificante stoppatore che nell’ultimo anno di college ha conquistato il record NCAA di 564 stoppate, dimostrando un istinto quasi animalesco per l’interdizione: chiaramente l’NBA è un altro livello, ma Varnado potrebbe non soffrire più di tanto del passaggio.

Pochi gli internazionali presenti. Forse è proprio questa la novità del draft, dopo che negli ultimi anni abbiamo visto tanti europei e più in generale giocatori non americani protagonisti. Il primo internazionale scelto in questo draft è stato il francese Kevin Seraphin, finito a Washington più per le notevoli qualità atletiche che per le sue capacità tecniche (per quanto riguarda i fondamentali dovrà ripartire da zero o quasi), atteggiamento purtroppo sempre più frequente e che contribuisce a rendere il calo di livello del gioco sempre più evidente. Da notare Nemanja Bjelica al numero 35 (buon prospetto cercato nel recente passato anche dalla Benetton Treviso). Gli europei più interessanti si erano già ritirati dal draft, consapevoli che potrebbero essere più considerati al prossimo turno: parliamo soprattutto del bravissimo lituano del Treviso Donatas Motiejūnas e di Jan Vesely, ala del ’90 che ha contribuito attivamente a portare il Partizan Belgrado alle final four di Eurolega.

Andrea Marchesi

I PUMAS ASFALTANO LA FRANCIA: EMISFERO SUD – EMISFERO NORD 4-0

Il rugby dell’emisfero nord fatica: Francia travolta dall’Argentina, mentre Galles e Irlanda cedono il passo a All Blacks e Australia e Samoa si aggiudica la Pacific Nations Cup.

Brutte notizie per l’Europa del rugby: oltre all’Italia travolta dagli Springboks le altre tre europee in gioco nel weekend cedono il passo ad altrettante squadre dell’emisfero sud. Particolarmente preoccupante per lo stato di salute del rugby dell’emisfero boreale la sconfitta della Francia che, dopo la bastonata subita dal Sudafrica, è crollata pesantemente di fronte ai Pumas.

Al José Amalfitani di Buenos Aires l’Argentina ha trionfato 41-13 sui Bleus capitanati da Dusatoir. Il solito ottimo Morgan Parra e la meta di Julien Malzieu, oltre a un tight five di prim’ordine con nomi come Szarzewski, Mas, Papé e Nallet, non sono riusciti ad arginare la nazionale biancoceleste che, guidati da un incontenibile Felipe Contepomi (autore di due mete e 31 punti), hanno dilagato anche grazie alle marcature del numero otto Juan Martín Fernández Lobbe e dell’ala Lucas González Amorosino. Un’Argentina molto fisica che ha messo in difficoltà la Francia riuscendo ad alternare fasi di gioco prolungato e solido rasente ai raggruppamenti ad inaspettate aperture al largo. Per la Francia necessario un esame di coscienza: le due larghissime sconfitte patite dalla nazionale di Lievremont sono preoccupanti a un anno dalla Coppa del Mondo, ma potrebbero anche dare la sveglia a una squadra che ha bisogno di nuove motivazioni e di scrollarsi di dosso una sorta di appagamento da Grande Slam.

Sabato 26 giugno 2010
ARGENTINA – FRANCIA 41-13 (19-6)
Estadio José Amalfitani, Buenos Aires (ARG)

ARGENTINA: Rodríguez – Amorosino, Tiesi, Fernández (77′ Agulla), Carballo – F.Contepomi, Vergallo – J.M.Fernández Lobbe, Campos (55′ Leguizamón), Fessia – Albacete, Carizza – Scelzo (56′ Figallo), Ledesma (65′ Creevy), Roncero (62′ Ayerza).

FRANCIA: Porical – Clerc, Mazars (51′ Mermoz), Fritz, Malzieu – Trinh-Duc, Parra (61′ Yachvili) – Picamoles, Bonnaire (50′ Lamboley), Dusatoir (c) – Nallet (50′ Pierre), Papé – Mas (72′ Poux), Szarzewski (61′ Guirado), Barcella.

ARBITRO: Dickinson (AUS)

MARCATORI
2′ p. Porical FRA 0-3
4′ p. F.Contepomi ARG 3-3
8′ p. F.Contepomi ARG 6-3
18′ p. Parra FRA 6-6
26′ p. F.Contepomi ARG 9-6
36′ amm. Fritz FRA
37′ p. F.Contepomi ARG 12-6
40′ m. J.M.Fernández Lobbe t. F.Contepomi ARG 19-6
Fine Primo Tempo 19-6
48′ mt. F.Contepomi ARG 26-6
53′ m. Malzieu t. Parra FRA 26-13
59′ m. Carballo ARG 31-13
62′ p. F.Contepomi ARG 34-13
68′ mt. F.Contepomi ARG 41-13
FINALE 41-13

Molto meglio l’Irlanda, battuta di misura dall’Australia. Nessuna meta per gli irlandesi, i cui punti sono giunti da cinque calci piazzati dell’erede di Ronan O’Gara, Jonathan Sexton, mentre l’Australia ha varcato la linea di meta in due occassioni con il mediano Luke Burgess e l’apertura Quade Cooper, vincendo una gara molto equilibrata per 22-15. La vittoria è arrivata grazie al maggior possesso di cui han goduto gli Wallabies contro una prima linea ultimamente parecchio sofferente e grazie a un’ottima prestazione della cerniera dei mediani. L’Irlanda ha tenuto il campo egregiamente rimanendo in vantaggio per buona parte del primo tempo, ma ha bisogno di fornire maggiore solidità in mischia per attivare una buona linea di trequarti: Paddy Wallace e O’Driscoll ai centri, gli Ulstermen Bowe e Trimble alle ali, con Kearney estremo e Sexton a fare da metronomo.

Sabato 26 giugno 2010
AUSTRALIA – IRLANDA 22-15 (16-15)
Suncorp Stadium, Sydney (AUS)

AUSTRALIA: O’Connor – Mitchell, Horne (41′ Beale), Giteau, Ashley-Cooper – Cooper, Burgess – Brown, Pocock, Elsom (c) – Chisholm, Mumm – Ma’afu, Faingaa, Daley (54′ Slipper).

IRLANDA: Kearney (53′ Murphy) – Bowe, B.O’Driscoll (c), P.Wallace, Trimble – Sexton, O’Leary – Henry (68′ Ruddock), Jennings, Ronan – M.O’Driscoll (71′ Tuohy), O’Callaghan – Buckley (41′ Court), Cronin (70′ Varley), Healy.

ARBITRO: Lawrence (NZL)

MARCATORI
2′ p. Sexton IRL 0-3
9′ p. Sexton IRL 0-6
12′ p. Cooper AUS 3-6
17′ m. Burgess AUS 8-6
22′ p. Sexton IRL 8-9
29′ p. Sexton IRL 8-12
33′ p. Cooper AUS 11-12
35′ p. Sexton IRL 11-15
39′ m. Cooper AUS 16-15
Fine Primo Tempo 16-15
52′ p. Giteau AUS 19-15
61′ p. Giteau AUS 22-15
FINALE 22-15

Positiva anche la prova del Galles che, dopo esser stato travolto dagli All Blacks settimana scorsa, stavolta ha concesso molto di meno ai neozelandesi pur uscendo dal campo sconfitto 29-10. Parte del merito va a un’ottima prestazione dell’apertura Dan Biggar, il nuovo nome dei Dragoni per la maglia numero 10, anche se la grande abilità dei gallesi è stata quella di rallentare il ritmo di gioco della Nuova Zelanda, impedendole di dilagare come fece la scorsa settimana anche grazie a una difesa migliore. Per gli All Blacks qualche dubbio riguardo la mischia chiusa, apparentemente in fase calante. Per i gallesi in meta il centro Jamie Roberts, mentre per i neozelandesi sono andati in meta Cory Jane e Aaron Cruden, quest’ultimo alla sua prima realizzazione a livello internazionale. Diciassette punti al piede per un Dan Carter che non perdona nessuna infrazione da parte del Galles.

Sabato 26 giugno 2010
NUOVA ZELANDA – GALLES 29-10 (13-3)
Waikato Stadium, Hamilton (NZL)

NUOVA ZELANDA: Muliaina – Jane, Kahui, Stanley (55′ Ranger), Guildford – Carter (71′ Cruden), Cowan (48′ Weepu) – Read (63′ Whitelock), McCaw (c), Kaino – Donnelly (48′ Thomson), Thorn – Tialata (59′ Woodcock), Mealamu (71′ de Malmanche), Woodcock (21′-26′, 56′ Franks).

GALLES: Byrne – Halfpenny, J.Davies, Roberts, Prydie (69′ Harries) – Biggar (64′ S.Jones), Phillips (66′ R.Rees) – R.Jones (c) (26′ McCusker), G.Thomas, J.Thomas – Al.Jones, B.Davies (56′ D.Jones) – Ad.Jones (63′ Mitchell), M.Rees (66′ Bennett), James.

ARBITRO: Kaplan (RSA)

MARCATORI
3′ p. Halfpenny WAL 0-3
13′ p. Carter NZL 3-3
24′ m. Jane t. Carter NZL 10-3
41′ amm. Byrne WAL
42′ p. Carter NZL 13-3
Fine Primo Tempo 13-3
44′ p. Carter NZL 16-3
51′ p. Carter NZL 19-3
55′ p. Carter NZL 22-3
69′ amm. Whitelock NZL
71′ amm. G.Thomas WAL
77′ m. Roberts t. S.Jones WAL 22-10
80′ m. Cruden t. Weepu NZL 29-10
FINALE 29-10

Infine, nel rugby minore, Samoa ha vinto per la prima volta la Pacific Nations Cup, superando Figi, Tonga e Giappone. Una vittoria giunta anche grazie alla mancanza nella competizione dei Junior All Blacks, una squadra di seconde scelte della nazionale neozelandese che però ha sempre spadroneggiato nelle edizioni precedenti. Samoa, dopo aver perso 31-23 contro un sorprendente Giappone settimana scorsa, aveva bisogno di battere i propri avversari diretti, i figiani, con bonus e tredici punti di distacco. Il risultato finale, 31-9, non rende forse l’idea della drammaticità del finale di partita, visto che fino a sette minuti dalla fine i samoani avevano messo a segno solo tre mete, senza quindi raggiungere il bonus, scattato solo al 73′ con la seconda marcatura di Alafoti Faosilivia. Nell’altro incontro della giornata il Giappone ha ottenuto un’altra vittoria, stavolta ai danni di Tonga con il risultato di 26-23. L’ala della nazionale allenata da John Kirwan, Hirotoki Onozawa, deve segnare ancora una meta per entrare nella top ten dei maggiori realizzatori di mete a livello internazionale di sempre: al momento, con quaranta realizzazioni, è appena fuori dalla top ten a pari merito con l’australiano Chris Latham e un’altra marcatura permetterebbe al giapponese di eguagliare due mostri sacri come l’irlandese Brian O’Driscoll e il gallese Gareth Thomas. La classifica è guidata da un altro giapponese, Daisuke Ohata, autore di 69 mete in 58 partite internazionali ufficiali disputate.

Damiano Benzoni

INGHILTERRA: FALLIMENTO EPICO

Danno e beffa per l’Inghilterra di Capello, travolta 4-1 dai tedeschi ed eliminata dal Mondiale.

Fonte: ANSA

La sconfitta era nell’aria, ma che potesse essere così pesante era difficile immaginarlo: dopo le brutte prestazioni profuse in un girone più che abbordabile non ci si poteva aspettare molto da un’Inghilterra spenta, sfilacciata e sconclusionata, oltre che spuntata. I problemi dei Figli di Albione non si sono però notati solo là davanti, dove i postumi dell’infortunio patito da Rooney si sono fatti sentire sulle prestazioni dello stesso: prendere quattro reti in un ottavo di finale è sintomo di mancanza della giusta amalgama, in una squadra con falle notevoli. Non si può poi nemmeno attribuire tutta la colpa a James, portiere che comunque ha messo del suo nella sconfitta. La difesa ha fatto acqua, specialmente in mezzo, così come il centrocampo che si è fatto prendere troppo spesso d’infilata. Barry, poi, ha giocato una partita assolutamente negativa. E nonostante questo è stato tolto solo a dieci minuti dal termine. Capello, insomma, ha le sue belle responsabilità al riguardo e nonostante avesse appena rinnovato sino al 2012 si troverà ora sommerso dalle critiche: non è assolutamente detto che il suo rapporto con la nazionale inglese continuerà oltre questo Mondiale.

I tedeschi invece si confermano ancora una volta una squadra capace di esaltarsi sui grandi palcoscenici. Sono infatti loro a detenere il record di presenze in semifinale (traguardo raggiunto in undici occasioni, come loro nessuno mai) e sono proprio loro a dare sempre quell’impressione di solidità contro cui vanno poi spesso a sfaldarsi altre squadre, quand’anche più quotate come è il caso dell’Inghilterra odierna (che, sulla carta, era squadra superiore a quella tedesca). E se in Italia ci disperiamo pensando a quello che sarà della nostra nazionale in Germania il futuro appare radioso: negli ultimi anni, infatti, i tedeschi hanno raccolto anche grandi risultati a livello giovanile e quei ragazzi, alcuni dei quali già in campo oggi, assicurano un futuro di livello a questa squadra.

La partita, comunque, è stata sicuramente influenzata da una decisione arbitrale più che discutibile: poco dopo il goal dell’1 a 2 realizzato da Upson, capace di riaprire il match svettando in mezzo all’area teutonica, era arrivato il pareggio di Lampard, abile a sfruttare un cattivo posizionamento di Neuer per batterlo con un tiro da fuori. Il pallone, però, ha giocato un brutto scherzo agli inglesi e, soprattutto, ad arbitro ed assistente: dopo aver sbattuto contro la traversa è infatti rimbalzato al di là della linea di porta, per poi però uscirne traendo quindi in inganno la terna, che ha deciso di lasciar correre il gioco. Decisione davvero tremenda che ha sicuramente influenzato il match: perché se da una parte è vero che la Germania ha assolutamente meritato di vincere, è anche altrettanto vero che una vittoria così larga è avvenuta solo grazie ai buchi dovuti allo sbilanciamento inglese, con i ragazzi di Capello troppo intenti a cercare il pareggio e presi d’infilata dai contropiedi tedeschi. Quarantaquattro anni dopo il Mondiale inglese, insomma, la Storia ha presentato il conto. Che per i Figli di Albione è risultato salatissimo.

Domenica 27 giugno 2010
GERMANIA – INGHILTERRA 4-1 (2-1)
Free State, Bloemfontein (RSA)

GERMANIA: Neuer – Lahm (c), Friedrich, Mertesacker, Boateng – Schweinsteiger, Khedira – Müller (72′ Trochowski), Özil (83′ Kießling), Podolski – Klose (72′ Gómez).

INGHILTERRA: James – Johnson (87′ Wright-Phillips), Upson, Terry, A.Cole – Milner (64′ J.Cole), Lampard, Barry, Gerrard (c) – Defoe (71′ Heskey), Rooney.

ARBITRO: Larrionda (URU)

GOL: 20′ Klose (GER), 32′ Podolski (GER), 37′ Upson (ENG), 67′ e 70′ Müller (GER)

NOTE: ammoniti Friedrich (GER) e Johnson (ENG). Al 38′ l’arbitro non ha assegnato una rete valida a Lampard (ENG).

MORNÉ STEYN E IL SUDAFRICA DEMOLISCONO GLI AZZURRI

Morné Steyn mette a tacere i dubbi di settimana scorsa, guidando con mano il Sudafrica a una larga vittoria sugli azzurri.

Nulla ha potuto stavolta l’Italia, demolita da un Sudafrica ben più convincente di quello visto settimana scorsa e sapientemente guidato da Morné Steyn, ormai consacrato come apertura titolare degli Springboks. Vessante il punteggio finale, che vede i sudafricani trionfare 55-11 nella gara di East London: sette mete a una con Steyn, due volte in meta nella prima mezz’ora, autore di 22 dei 27 punti della sua squadra nel primo tempo e di altri sei nella ripresa.

Nonostante l’ampiezza del punteggio, rimane qualche ombra sul gioco sudafricano alla vigilia del Tri Nations: a un grande pack e a un’apertura di valore come Morné Steyn non corrisponde una linea di trequarti che possa creare grossi problemi a Australia e Nuova Zelanda: Januarie non ha dimostrato la solidità necessaria, i centri sono molto macchinosi e la maglia numero 15, se Peter de Villiers si ostina nella sua scelta di non convocare François Steyn, rimane un’incognita irrisolta. A un anno di distanza dalla Coppa del Mondo, riuscire a registrare il gioco dei trequarti è vitale. Convince invece tutta la mischia: Spies è ormai assodato all’otto, Louw si è guadagnato in questo tour l’ipoteca sulla maglia numero 7, la seconda linea è un reparto solido e ricco di opzioni e in Gurthrö Steenkamp i Boks hanno trovato una macchina per demolizioni di prima linea invidiabile. Ad affiancarlo tornerà per il Tri Nations Tendai Mtawarira, conosciuto come The Beast, il pilone nativo dello Zimbabwe che non era stato più chiamato in nazionale dopo una richiesta ministeriale di non convocare atleti che non fossero in possesso del passaporto sudafricano, recentemente ottenuto dal pilone degli Sharks.

L’Italia ha giocato in maniera diligente, è riuscita a spegnere le maul sudafricane sul nascere e ha avuto la possibilità di confezionare una bella meta per un giovane promettente come Michele Sepe. La coperta della nazionale di Mallett sembra ormai troppo corta però: a meno di terremoti nel movimento rugbistico, la nazionale sembra non avere più molto potenziale da realizzare. Se non ci sarà materiale per un rinnovamento generazionale, e se questo rinnovamento non verrà gestito bene, l’Italia potrebbe declinare in fretta nei prossimi anni. Fanno ben sperare individualità come quelle di Sepe, Zanni e di un Simon Picone che riesce a dare il ritmo anche dietro a una mischia che soffre, ma è l’ora di dare spazi importanti anche agli under 25. In questo senso, ha poco significato affidare il ruolo di apertura a un trentaduenne incompleto per il ruolo come Craig Gower, scelta che limita le opzioni di gioco al piede, ormai vitale per sopravvivere a livello internazionale, soprattutto se si tiene all’ala un Mirco Bergamasco poco utile soltanto per piazzare. Monumentale, come sempre, Sergio Parisse, tornato in maniera convincente dal suo lungo infortunio: il capitano però è costretto ormai da tempo a tirare la carretta da solo, sobbarcandosi anche più incombenze del necessario (due tentativi di drop nella partita di East London), mentre è necessario evitare che il suo rendimento cali come è successo ai vari Bergamasco, Castrogiovanni e Bortolami.

Sabato 26 giugno 2010
SUDAFRICA – ITALIA 55-11 (27-6)
Buffalo City Stadium, East London (RSA)

SUDAFRICA: Aplon – J.de Villiers, Fourie, de Jongh (60′ Pienaar), Habana (60′ Oliver) – M.Steyn (61′ James), Januarie – Spies, Louw, Burger (61′ Potgieter) – Bekker, B. Botha (61′ van der Merwe) – du Plessis (61′ BJ Botha), Smit (c) (70′ Ralepelle), Steenkamp.

ITALIA: McLean – Sepe, Canale, Masi, Mi.Bergamasco – Gower (71′ Bocchino), Picone (52′ Tebaldi) – Parisse (c), Derbyshire (60′ Zanni), Vosawai – Bortolami (52′ Geldenhuys), Del Fava – Cittadini (63′ Sbaraglini), Ongaro (52′ Ghiraldini), Perugini (80′ Cittadini).

ARBITRO: Small (ENG)

MARCATORI
4′ p. M.Steyn RSA 3-3
8′ p. Mi.Bergamasco ITA 3-3
11′ mt. M.Steyn RSA 10-3
15′ p. Mi.Bergamasco ITA 10-6
20′ p. M.Steyn RSA 13-6
31′ mt. M.Steyn RSA 20-6
37′ m. Spies t. M.Steyn RSA 27-6
Fine Primo Tempo 27-6
52′ m. du Plessis t. M.Steyn RSA 34-6
57′ m. Habana t. M.Steyn RSA 41-6
60′ m. van der Merwe t. M.Steyn RSA 48-6
65′ m. Sepe ITA 48-11
79′ m. BJ Botha t. Pienaar RSA 55-11
FINALE 55-11

Damiano Benzoni