CALCIO: COSA NON VA NELLA JUVE

Nuova rubrica sulle analisi tattiche del campionato: si comincia dall’inattesa fragilità difensiva della Juventus.

Il problema principale di questo avvio di stagione bianconero è stata la scarsa solidità difensiva messa in mostra dalla Juventus.

Strano, per alcuni. Perché Delneri si era presentato a Torino accompagnato da due luoghi comuni, il primo inerente il suo dogmatismo in ottica 4-4-2, suo vero e proprio marchio di fabbrica, il secondo sulla solidità dei reparti difensivi delle squadre da lui allenate.

E se quindi non ha stupito nessuno vedere la Juventus schierata sempre e puntualmente con il classico 4-4-2 molto più stupore è stato creato dall’avvio stentato della difesa, rea di aver incassato un numero notevole di goal nelle prime giornate di campionato oltre che nell’esordio di Europa League.

Ma davvero le difese di Delneri sono sempre state così impenetrabili?

Scartabellando un po’ le varie classifiche degli anni passati è possibile notare come in certi casi sì, tutto ha funzionato a meraviglia, mentre in altri le cose non sono andate in maniera poi tanto positiva.

Nello specifico la sua annata migliore fu proprio la scorsa quando alla guida di una Sampdoria capace di centrare un’insperata qualificazione in Champions’ League fu capace di costruire una fase difensiva che concesse solamente 1,08 goal a partita. Non pochissimi, certo, ma comunque un risultato di tutto rispetto posto che venne ottenuto con giocatori non certo di spessore internazionale. Oltretutto fu comunque proprio quella doriana la terza miglior difesa del campionato (a parimerito con quella romanista), capace di subire solo sette reti in più di quella interista, migliore in assoluto.

Allo stesso modo qualche anno prima, più precisamente nella stagione 2003/2004, il risultato fu molto simile: 1,09 goal subiti per match, quando ancora era alla guida del Chievo e poteva contare su di una rosa qualitativamente ancora inferiore a quella poi a sua disposizione a Genova. Eppure anche in quel caso il risultato fu ottimo: terza miglior difesa del campionato (a parimerito con quella interista).

E se qualche problemino in più lo ebbe al suo primo anno in quel di Bergamo, quando la sua fu solo la quattordicesima miglior difesa della Serie A, riuscì a migliorare sensibilmente le cose l’anno successivo quando subendo otto reti in meno della stagione precedente quella della Dea fu la settima miglior difesa del campionato.

Così come il suo dogmatismo per un 4-4-2 spesso molto rigido (ma non sempre, basti vedere quanto attuato nell’ultimo match contro l’Inter quando schierò Marchisio ala sinistra per poter passare rapidamente ad una sorta di 4-3-3 con l’allargamento di Quagliarella a sinistra, l’avanzamento di Krasić a destra e la “scalata” dei tre centrocampisti a formare, appunto, una più classica mediana a tre), quindi, il fatto che Delneri sia particolarmente abile nel curare la fase difensiva non è poi tanto un luogo comune solo fine a sé stesso quanto più una verità assodata dalla storia.

Perché, allora, questa partenza così stentata da parte della retroguardia juventina?

Posto che non sono un tecnico con tanto di patentino proverò comunque, per amor di discussione, ad individuare le motivazioni principali che hanno portato a subire così tanti goal ad una difesa, quella bianconera, che attualmente è quasi la peggiore del campionato, avendo fatto meglio solo di quella romanista.

1) La prima motivazione è sicuramente temporale: è infatti piuttosto recente l’insediamento di Delneri sulla panchina bianconera e bisogna quindi dargli modo di lavorare al meglio con più calma e tranquillità possibile, così che possa instillare le proprie logiche tattiche ad ogni singolo giocatore del suo match

2) La seconda è invece tattica: il sistema difensivo adottato da Delneri è una zona a copertura di reparto che, in breve, prevede una difesa molto stretta e propensa al fuorigioco aggressivo coperta dallo scalare di almeno uno dei due esterni di centrocampo sul lato “debole”. Per esemplificare: se il portatore di palla avversario attaccherà il lato destro della difesa bianconera il terzino uscirà a contrastarlo e sarà seguito da tutto il reparto, a scalare. Questo, però, comporta che sulla sinistra si crei un varco che dovrà essere coperto dall’ala, appunto.

Giocando con due ali così offensive come Krasić e Pepe questo meccanismo è ancora da oliare. Così come da oliare sono anche i movimenti dei quattro difensori stessi, poco abituati a giocare così tanto stretti e con un fuorigioco così aggressivo (ecco spiegato il goal di Johnson del City, con De Ceglie che non è abbastanza svelto a salire compatto con il proprio reparto finendo col tenere in gioco l’ala Citizens).

3) La terza è sicuramente tecnica: Chiellini è uno dei migliori centrali del mondo e non si discute, Bonucci un difensore che può completare il reparto ottimamente e che non a caso è già entrato, ancor prima di sbarcare a Torino, nell’orbita della nazionale.

I due terzini, però, non sono altrettanto all’altezza del compito, difensivamente parlando. Tanto Motta quanto De Ceglie, infatti, hanno non poche lacune in tal senso e stanno contribuendo notevolmente alla fragilità di tutto il reparto: detto dell’errore di De Ceglie che ha spianato la via al pareggio del City di Mancini citiamo anche l’errore di Motta, che non coprì a dovere il taglio di Pinilla in occasione della prima rete del Palermo lasciando che i siculi potessero bucare Storari ad un battito di ciglia dal via del match.

Le cose ultimamente, comunque, sembra stiano migliorando. Tanto contro il City quanto nel big match di domenica contro l’Inter, infatti, la difesa bianconera ha retto piuttosto bene l’urto dei due reparti avanzati avversi. Il tutto anche grazie, è giusto sottolinearlo, ad un ritrovato Grygera che, dopo il naufragio della scorsa stagione, è stato ripescato dal tecnico friulano negli ultimi tempi proprio per provare a dare più solidità ad un reparto arretrato che necessita di terzini più abili nell’espletare certe funzioni a livello prettamente difensivo.

Qualora i progressi mostrati nel recentissimo passato dovessero venire confermati sarà quindi probabilmente presto possibile tornare ad osservare una Juventus dalla grandissima solidità difensiva.

Francesco Federico Pagani

SUDAFRICA 2010: LA TOP 11 DI PIANETA SPORT

Francesco Federico Pagani stila la Top 11 (allenatore compreso) dei Campionati Mondiali di calcio.

TatticaTerminato il Mondiale proviamo a stilare una classica Top 11 comprendente i migliori giocatori, ruolo per ruolo, della rassegna iridata stessa. Per farlo, quindi, impostiamo uno schema stile 4-2-3-1, esattamente quello che ha portato l’Olanda là dove era impensabile potesse arrivare.

PORTIERE

Iker Casillas (Spagna): il portiere delle Merengue nelle ultime due stagioni non aveva probabilmente dato il meglio di sé, ma ai Mondiali si è fatto trovare assolutamente pronto risultando poi decisivo in finale, dove in un paio di occasioni ha stregato Robben, impedendogli di portare in vantaggio gli Orange.

DIFENSORI

Sergio Ramos (Spagna): pur non essendo il terzino destro migliore al mondo (Maicon e Dani Alves gli sono entrambi superiori) dimostra di non essere poi così lontano dai top player del ruolo disputando un grande Mondiale fatto di buona qualità ma anche, e soprattutto, tanta tanta quantità.

Carles Puyol (Spagna): il capitano della nazionale iberica era Casillas, ma quello che pareva essere il vero leader della nazionale iberica era lui. Grandissimo carisma, tenacia da vendere, efficacia in marcatura come pochi altri al mondo. Il tutto coronato dal goal vittoria in semifinale. Ora lascerà la nazionale spagnola, ma sarà ricordato per sempre dai tifosi delle Furie Rosse. E non solo.

Diego Lugano (Uruguay): pur limitato da alcuni problemi fisici Lugano dimostra ancora una volta di essere uno dei centrali difensivi più sottovalutati dell’intero panorama mondiale. Arcigno in marcatura, grande senso della posizione, paga un po’ solo una velocità non propriamente da sprinter. Ma quando manca lui la solidità difensiva della Celeste ne risente, e non è certo un caso.

Giovanni van Bronckhorst (Olanda): dopo una carriera giocata su più che buoni livelli van Bronckhorst si presenta in Sudafrica come capitano di una nazionale che, sulla carta, non aveva molte chance di arrivare in fondo. Con classe e carisma, però, il terzino sinistro Oranje guiderà i suoi ad una finale insperata, arrivando ad un passo da un traguardo storico.

CENTROCAMPISTI

Bastian Schweinsteiger (Germania): se saprà confermarsi sui livelli toccati questa stagione Bastian diventerà a breve uno dei migliori centrocampisti al mondo, senza alcun dubbio. Una volta riconquistato il centro del campo, dopo che per anni era stato dirottato sulle fasce, il talentuoso giocatore del Bayern Monaco ha dimostrato a tutti di che pasta è fatto, confermandosi poi su altissimi livelli anche al Mondiale.

Xavi Hernández (Spagna): è stato per la Spagna ciò che Pirlo fu quattro anni fa per l’Italia, cioè quel giocatore capace di creare gioco, dettare i tempi, alzare o abbassare i ritmi a proprio piacimento, inventare giocate di alta scuola. Del resto se Schweinsteiger viene su forte lui è ormai qualche anno che è considerabile tra i migliori centrocampisti al mondo!

TREQUARTISTI

Thomas Müller (Germania): sulla destra della nostra immaginaria linea della trequarti non potevamo che piazzare lui, la Scarpa d’Oro e il Miglior Giovane del torneo. Autore di un Mondiale davvero stratosferico Müller è uno dei nomi nuovi di questa Germania che proprio in Sudafrica potrebbe aver aperto un ennesimo ciclo.

Wesley Sneijder (Olanda): personalmente il premio di MVP del torneo l’avrei dato a lui. E’ lui, infatti, a trascinare un’Olanda non certo fenomenale, sulla carta, ad un passo da un’impresa storica che in passato venne fallita da squadre molto più attrezzate della compagine allestita da Van Marwijk. Sneijder che, insomma, chiude alla grandissima, a livello personale, un anno davvero straordinario.

Andrés Iniesta (Spagna): non poteva non trovare spazio in questa squadra l’uomo in grado di risolvere, con una propria giocata, la finalissima. Giocatore straordinario, questo ragazzo, che unisce mobilità e tecnica sopraffina in un connubio strepitoso. Un solo appunto: dovrebbe imparare a calciare un po’ di più, alcune volte il troppo altruismo diventa veramente penalizzante.

PUNTA

Diego Forlán (Uruguay): fino ai quarti di finale non avrei avuto dubbi ed avrei messo titolare, in questa Top 11, David Villa, senza se e senza ma. Poi, però, Del Bosque ha deciso di cambiare un po’ l’assetto della sua Spagna, promovendo titolare Pedro e relegando Villa centralmente, quando è risaputo che dà il meglio di sé potendo partire leggermente spostato sulla sinistra. Il tutto ha quindi influito negativamente sulle prestazioni del neo acquisto del Barcellona, che si è involuto rispetto ai primi match. Di contro, invece, Forlan è stato il vero trascinatore, dentro e fuori del campo, di una squadra che inseguiva una semifinale Mondiale da ormai sessant’anni. Missione compiuta per la Celeste, ma non solo: a lui, come ulteriore soddisfazione personale, è stato assegnato il premio di Pallone d’Oro del Torneo. Meritatissimo.

ALLENATORE

Joachim Löw (Germania): nessuno ha fatto bene quanto lui, quest’anno. Löw ha infatti avuto il coraggio di costruire una squadra molto giovane per poi darle una fortissima impronta di gioco andando quindi a guadagnarsi un’onorevolissima terza piazza che avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa in più se Puyol non avesse castigato i suoi in semifinale. Allenatore sicuramente da tenere d’occhio per il futuro, il tedesco.

Francesco Federico Pagani