BEACH SOCCER: AL VIA GLI EUROPEI

Iniziano oggi a Lisbona le Superfinal di Euroleague: tra le sei nazionali in lizza c’è pure l’Italia, terza un anno fa.

Ripetere la grande impresa di cinque anni fa a Marsiglia è forse pura utopia. Ma perché non provarci? Iniziano oggi a Lisbona, allo stadio di Belém, le Superfinal di Euroleague di beach soccer: le migliori formazioni continentali – tra cui l’Italia – si sfidano per succedere alla Russia nell’albo d’oro. La formazione allenata da Mikhail Likhachev sarà in Portogallo per difendere il titolo conquistato un anno fa, ma i padroni di casa lusitani faranno leva sul fattore campo per tornare a vincere (hanno già vinto gli Europei nel 2002, nel 2007 e nel 2008).

L’Italia di Massimiliano Esposito non è stata fortunata: gli azzurri sono stati inseriti nel girone A assieme a Spagna e Svizzera (nell’altro gruppo figurano portoghesi, russi e la sorprendente Romania). Il debutto avverrà oggi alle 17.15  ora locale contro gli elvetici di Dejan Stanković, omonimo del giocatore interista e pilastro del Catania Beach Soccer. L’Italia tornerà poi in campo domani per affrontare la Spagna, una delle favorite per la vittoria finale. Sabato sarà la giornata delle gare conclusive della fase a gironi, poi domenica spazio alle tre finali per assegnare i sei posti. Contemporaneamente, proprio a Lisbona, altre sei nazionali – Azerbaigian, Francia, Inghilterra, Israele, Turchia e Ungheria – si giocheranno l’accesso alla Divisione A, quella appunto delle sei migliori squadre del firmamento europeo.

Di seguito gli azzurri convocati da Massimiliano Esposito.

Portieri: Simone Del Mestre (Lignano Sabbiadoro) e Giuseppe Rasulo (Milano BS). Difensori: Michele Leghissa (Lignano Sabbiadoro) e Giuseppe Platania (Catania BS). Laterali: Salvatore Di Maio (Napoli BS), Francesco Corosiniti (Panarea Catanzaro) e Simone Feudi (Ellecì Terracina). Attaccanti: Pasquale Carotenuto (Roma BS), Gabriel Gori (Viareggio BS) e Paolo Palmacci (Ellecì Terracina).

Simone Pierotti


LA PRIMA GUERRA DELLA PALLANUOTO

Gli innumerevoli conflitti nei Balcani vissuti attraverso uno degli sport più popolari della regione: la pallanuoto.

Quando, nel 1926, si svolsero a Budapest i primi campionati europei riservati agli sport acquatici, la Jugoslavia era un’unica entità nazionale: all’epoca si chiamava Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni ed inglobava anche gli attuali territori di Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia e Montenegro. Di lì a tre anni sarebbe diventato, più semplicemente, Regno di Jugoslavia. La prima medaglia della nazionale di pallanuoto, tuttavia, arriva solamente nel 1950 ed è un bronzo: nel frattempo è nuovamente cambiata la situazione sul piano geopolitico. Pochi mesi dopo la conclusione della seconda Guerra Mondiale, infatti, era stata proclamata la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, anche se la transizione dalla monarchia alla nuova forma di governo era già avvenuta negli anni precedenti.

Una volta conquistato il bronzo a Vienna – strano scherzo del destino, giacché parte dei territori jugoslavi erano stati, un tempo, sotto il dominio dell’impero austro-ungarico -, la nazionale di pallanuoto siede fin da subito al tavolo delle grandi del Vecchio Continente: il settebello slavo salirà sul podio per ben otto edizioni consecutive, portando a casa quattro medaglie d’argento. Quasi sempre la squadra deve cedere il passo alle altre due potenze pallanotistiche d’Oltrecortina, Ungheria ed Unione Sovietica, ma si vede che manca poco per compiere il salto definitivo.

I primi successi. Negli anni Ottanta, quando iniziano i primi fermenti nazionalisti in seguito alla morte del maresciallo Tito, la Jugoslavia raggiunge finalmente l’apice sotto la guida del santone Ratko Rudić (nella foto a destra): ben due ori olimpici (1984 e 1988, entrambi conquistati ai danni degli Stati Uniti) ed il primo trionfo mondiale, nel 1986 a Madrid con una vittoria all’ultimo secondo sull’Italia. Ed è proprio sulla panchina del Settebello che andrà Rudić, lasciando spazio a Nikola Stamenić. Il nuovo allenatore si guadagna subito la stima dei vertici federali, vincendo nel gennaio 1991 i Mondiali a Perth: in finale la Jugoslavia supera di misura (9-8) la nascente Spagna dei vari Estiarte, Rollán e Sans. La forza della nazionale si basa tutta su due blocchi, quello serbo e quello croato, con il montenegrino Mirko Vičević, protagonista in Italia con la calottina del Savona, come unica eccezione.

Ma, proprio quando sembra che la nazionale balcanica non abbia avversari in grado di contrastarla, ecco piovere dal cielo una nuova tegola: la vittoria, avvenuta l’anno precedente, dei partiti anticomunisti di Jože Pučnik in Slovenia e, soprattutto, di Franjo Tuđman in Croazia. Iniziano le prime rivendicazioni di indipendenza, la situazione precipita e nell’estate del 1991 le autorità sportive croata e slovena proibiscono ai loro atleti di partecipare alle varie competizioni con la selezione jugoslava. Di lì a pochi giorni si aprono gli Europei ad Atene e la squadra di Stamenić, fresca vincitrice del Mondiale, deve rinunciare a cinque pezzi pregiati come Mislav Bezmalinović, Perica Bukić (oggi presidente della federpallanuoto croata), Ranko Posinković, Dubravko Šimenc e persino Ante Vasović, padre serbo e madre croata, appiedato dal suo club, lo Jadran Spalato. I sostituti, comunque, si rivelano all’altezza della situazione e la Jugoslavia sale per la prima volta sul tetto d’Europa: pochi mesi dopo Perth, in finale è nuovamente duello con la Spagna, battuta ancora una volta sul filo di lana (11-10). Croazia e Slovenia si separano. È, comunque, il canto del cigno della nazionale della Jugoslavia unita, giacché l’anno successivo nessuna delle selezioni balcaniche figurerà tra le partecipanti ai Giochi olimpici di Barcellona dove, peraltro, arrivano in finale due allenatori croati: da una parte Ratko Rudić sulla panchina dell’Italia, dall’altra Dragan Matutinović su quella della Spagna. Nel frattempo scoppia la guerra nei Balcani e Bosnia, Croazia, Macedonia e Slovenia ottengono l’agognata indipendenza: la vecchia Jugoslavia di Tito si sgretola, dalla bandiera viene rimossa la celebre stella rossa e a rappresentare la vecchia repubblica federale restano solo Serbia, Montenegro e Kosovo. La nuova nazionale, che rimane sotto la guida di Stamenić, soffre il definitivo addio della componente croata ed impiega qualche anno per rimettere al proprio posto i suoi pezzi: nel 1997, agli Europei di Siviglia, deve accontentarsi dell’argento e l’anno successivo finisce terza ai Mondiali di Perth. Inizia il nuovo millennio e, a dieci anni esatti dal primo trionfo continentale, la Jugoslavia torna nuovamente a dettar legge: chiusa la lunga era di Stamenić, è Nenad Manojlović il nuovo selezionatore. A Budapest serbi e montenegrini battono in finale l’Italia del nuovo corso di Sandro Campagna, che ha preso il posto di Rudic: l’argento in terra magiara rimane, tuttora, l’ultimo podio del Settebello agli Europei.

La battaglia di Kranj. Sebbene gli anni Novanta siano stati quelli che hanno deciso in via definitiva le sorti dei Balcani, è nella successiva decade che sport e politica incrociano maggiormente le loro strade. Lo scenario “perfetto” è quello disegnato dagli Europei del 2003: si gioca a Kranj, in Slovenia, ed in finale arrivano la Croazia e la neonata Serbia-Montenegro (che però sulle calottine riporta ancora la sigla YUG). In acqua ed in tribuna non mancano le scintille: una finale è pur sempre una finale e si affrontano due paesi separati un tempo da un odio reciproco. Alcuni tifosi croati forzano gli ingressi ed entrano senza pagare regolarmente il biglietto La Croazia conduce per lungo tempo l’incontro e arriva fino al 7-4, ma dall’altra parte c’è un avversario indomito che riesce a prolungare la sfida ai tempi supplementari, intervallati dalle medicazioni all’arbitro slovacco Kratovchil, colpito alla testa da un bullone: nella prima delle due proroghe il serbo Šapić segna il gol del definitivo 9-8. Sugli spalti si scatena l’inferno, complice un servizio di sicurezza inadeguato per la circostanza (appena quaranta gli agenti impiegati per controllare quasi tremila persone): gli uligani croati, molti dei quali ubriachi, sradicano i seggiolini e li lanciano con veemenza in acqua e verso le panchine. Un altro gruppo si avvicina alla zona delle tv e danneggia impianti e materiali, interrompendo per alcuni minuti il collegamento Rai. A rinfocolare gli animi ci pensano persino le autorità, con i ministri serbi Boris Tadić e Goran Svilanović che si danno alla pazza gioia: quest’ultimo addirittura si tuffa in acqua per festeggiare la squadra. Non è tutto: a Belgrado i tifosi scendono in strada per festeggiare ma, una volta viste le immagini in tv, si dirigono all’ambasciata croata. Vetri infranti, muri imbrattati, la bandiera a scacchi bianchi e rossi bruciata e sostituita con il tricolore serbo-montenegrino. Analoga situazione a Novi Sad, dove la folla inneggia addirittura ai criminali di guerra Mladić e Karadžić. Scoppia il caso diplomatico: Milan Simurdić, ambasciatore serbo in Croazia, viene convocato d’urgenza dal governo di Zagabria mentre il ministro degli Esteri Tonino Picula annulla una visita in Montenegro.

Dall’ex Jugoslavia alla Serbia. Passano tre anni: gli Europei si svolgono ancora nei Balcani, a Belgrado. Vince la Serbia padrona di casa, orfana però dei giocatori montenegrini: pochi mesi prima (21 maggio) un referendum aveva infatti sancito l’indipendenza del Montenegro, comunque riconosciuta dal governo serbo. Tuttavia, prima della scissione, sotto la bandiera delle due nazioni ancora unite la squadra aveva vinto la sua seconda World League, torneo che solitamente serve come banco di prova in vista degli eventi più importanti. E così la nazionale serba, ora allenata da Dejan Udovičić, passa alla storia per aver vinto quattro volte il titolo europeo con altrettante, diverse denominazioni. L’ultimo episodio degli intrecci tra sport e politica nei Balcani risale all’estate 2008, alla vigilia dei Giochi olimpici di Pechino: a Málaga arrivano in finale proprio Serbia e Montenegro, con vittoria, neanche poi sorprendente, di questi ultimi. La saga si è recentemente arricchita di un nuovo capitolo: a Zagabria indosserà la calottina montenegrina l’esperto portiere Denis Šefik, fino al 2008 in forza alla nazionale serba. La sua ultima apparizione risale ai Giochi di Pechino: qui si rese protagonista di un acceso diverbio (poi degenerato in rissa) all’interno del villaggio olimpico con Aleksandar Šapić, che accusò Šefik di essere stato corrotto proprio dai montenegrini in occasione della finale di Málaga. Le due nazionali non figurano nello stesso girone, ma chissà che il destino non decida di porle nuovamente una di fronte all’altra come nella recente finale di World League e, chissà, regalare altre storie da raccontare.

(Articolo pubblicato sul Numero 1 di Pianeta Sport)

CHAMPIONS’: TOTTENHAM QUALIFICATO, SI RIVEDE L’AJAX

Seconda ed ultima giornata di spareggi in Champions’ League: si qualifica il Tottenham, ritornano Ajax e Auxerre, debutto per lo Žilina.

Se la prima giornata delle partite di ritorno degli spareggi di Champions’ League aveva riservato qualche sorpresa, nella seconda tutto è andato secondo copione. Nessuna eliminazione clamorosa, insomma. A Bursaspor e Twente, già qualificate per la fase a gironi, ed Hapoel Tel Aviv e Sporting Braga, che hanno raggiunto l’obiettivo martedì sera, si aggiungono altre due esordienti in Champions’ League: gli slovacchi dello Žilina e, soprattutto, gli inglesi del Tottenham. Un gradito ritorno nella massima competizione continentale è certamente quello dell’Ajax, assente da cinque anni.

I fari erano tutti puntati su Londra, a White Hart Lane: il Tottenham doveva vincere con almeno una rete di scarto (ma entro il 3-2) per qualificarsi ai danni degli svizzeri dello Young Boys, altra squadra che, in caso di arrivo alla fase a gironi, avrebbe festeggiato una storica prima volta. Ma la differenza tecnica si è vista e sono bastati cinque minuti all’undici inglese per far dissipare i dubbi maturati dopo la sconfitta per 3-2 nel match di andata: a rompere gli indugi è Crouch, cui fa seguito il gol di Defoe. Nella ripresa lo stesso Crouch va a segno altre due volte, emulando così il brasiliano Lima dello Sporting Braga. Il Tottenham regala così ai suoi tifosi l’esordio in Champions’ League, anche se in realtà i londinesi avevano già giocato nella più importante competizione europea: era la stagione 1960-61 ed il trofeo si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Esattamente cinquant’anni dopo, il sogno è nuovamente realtà.

E c’è un’altra debuttante che brinda alla qualificazione: è lo Žilina, lo scorso anno vincitore del campionato slovacco, che – curiosità – non annovera tra i propri giocatori membri della nazionale che ha eliminato l’Italia al Mondiale sudafricano. I gialloverdi si aggiudicano anche nel match di ritorno il “derby” contro lo Sparta Praga: il 2-0 di otto giorni prima aveva già di fatto messo in cassaforte il passaggio del turno, poi Ceesay segna il gol che dà agli slovacchi il successo anche di fronte al pubblico amico. Era dal 1997-98 che una slovacca mancava dalla fase a gruppi della Champions’: l’ultimo onore era toccato al Košice. Dal derby tra due paesi un tempo uniti sotto la stessa bandiera alla sfida fratricida tra squadre scandinave: tra FC Copenhagen e Rosenborg sono i danesi a gioire, grazie alla vittoria per 1-0 firmata dal gol di Ottesen. Il Copenhagen passa in virtù del maggior numero di reti segnate in trasferta (all’andata vinse 2-1 il Rosenborg).

La Champions’ League riabbraccia poi altre due squadre che mancavano da molti anni: il nome più prestigioso è senza dubbio quello dell’Ajax. I lancieri partivano dall’1-1 strappato a Kyiv ed era sufficiente un pareggio a reti bianche per archiviare la pratica: i tifosi accorsi all’Amsterdam ArenA vogliono però certezze e così l’uruguayano Suárez, tra i protagonisti dell’ultimo Mondiale, li accontenta. Nella ripresa raddoppia El Hamdaoui ad un quarto d’ora dal termine, poi l’ex milanista Ševčenko prova a riaprire l’incontro segnando dal dischetto, ma ormai è troppo tardi. Infine, va fuori lo Zenit San Pietroburgo allenato da Luciano Spalletti: la formazione russa esce al cospetto dell’Auxerre che, con un gol per tempo (di Hengbart il primo, chiude i conti Jeleń), ribalta l’1-0 dell’andata e riconquista la Champions’.

Oggi alle 18 appuntamento a Montecarlo con i sorteggi della fase a gironi.

RISULTATI SPAREGGI CHAMPIONS’ LEAGUE

Mercoledì 25 agosto 2010

FC Copenhagen (DEN) – Rosenborg (NOR) 1-0 (and. 1-2)

33′ Ottesen (C)

Žilina (SVK) – Sparta Praga (CZE) 0-0 (and. 2-0)

18′ Ceesay (Ž)

Tottenham (ENG) – Young Boys (SUI) 4-0 (and. 2-3)

5′ Crouch (T), 32′ Defoe (T), 61′ e 78′ rig. Crouch (T)

Auxerre (FRA) – Zenit San Pietroburgo (RUS) 2-0 (and. 0-1)

9′ Hengbart (A), 53′ Jeleń (A)

Ajax (NED) – Dynamo Kyiv (UKR) 2-1 (and. 1-1)

43′ Suárez (A), 75′ El Hamdaoui (A), 84′ rig. Ševčenko (D)

QUALIFICATE ALLA FASE A GIRONI:

FC Copenhagen, Žilina, Tottenham, Auxerre e Ajax.

Simone Pierotti

CHAMPIONS’: SAMP E SIVIGLIA ELIMINATE

Primi verdetti negli spareggi di Champions’ League: la Sampdoria non ce la fa, fuori anche Siviglia e Anderlecht.

La Sampdoria sbattuta fuori quando la qualificazione alla fase a gironi sembrava cosa fatta. La clamorosa eliminazione del Siviglia per mano dello Sporting Braga. L’esordio dell’Hapoel Tel Aviv, terza squadra israeliana a raggiungere la fase a gironi. Il ritorno, dopo oltre cinque anni di assenza, del Basilea e del Partizan Belgrado. Sono questi i primi verdetti degli spareggi di Champions’ League per accedere alla fase a gruppi.

La vera sorpresa della serata è la rocambolesca qualificazione del Werder Brema ai danni della Sampdoria. Costretti a rimontare il 3-1 del match di andata, i blucerchiati potrebbero ritenere la pratica già archiviata dopo neppure un quarto d’ora: in cinque minuti uno scatenato Pazzini segna una doppietta (il primo gol di testa, il secondo con una pregevole girata al volo) che basterebbe per passare il turno. A cinque minuti dal novantesimo, poi, Cassano segna di tacco: sembra il preludio al trionfo sampdoriano, ma al terzo minuto di recupero lo svedese Rosenberg batte Curci con un diagonale di chirurgica precisione e prolunga la sfida ai supplementari, dove Pizarro trova il gol che risveglia i genovesi dal sogno Champions’. Inattesa anche l’eliminazione del Siviglia, che appena un anno fa giunse agli ottavi, per mano dello Sporting Braga: dopo la sconfitta di misura in terra portoghese, gli andalusi soccombono anche al Ramón Sánchez Pizjuán al termine di un pirotecnico 4-3. Ospiti in vantaggio alla mezzora del primo tempo con Matheus, poi nella ripresa segna Lima: in ventiquattro minuti il Siviglia riesce a pareggiare i conti grazie a Luís Fabiano (che quella di ieri sera sia stata davvero l’ultima apparizione in maglia biancorossa?) e a Jesús Navas, poi ne bastano cinque al brasiliano Lima per timbrare il cartellino altre due volte e siglare così la tripletta personale. Inutile, nel primo minuto di recupero, il gol di Kanouté.

In Israele, frattanto, potrebbero ribattezzare “zona Zahavi” la nostra zona Cesarini: l’attaccante dell’Hapoel Tel Aviv continua a segnare gol decisivi proprio sui titoli di coda. Successe lo scorso maggio a Gerusalemme, quando la sua rete regalò lo scudetto all’Hapoel Tel Aviv. È successo ieri sera al “Bloomfield Stadium” nel ritorno degli spareggi contro i Red Bull Salisburgo: in chiusura di primo tempo un autogol del brasiliano Douglas rimette in gioco gli austriaci (che devono comunque segnare almeno un’altra rete per qualificarsi) poi al 92’ l’eroe Zahavi scioglie ogni dubbio e mette al sicuro la qualificazione alla fase a gironi: è la prima volta per l’Hapoel Tel Aviv. Per la quarta volta in cinque anni, e per il secondo anno consecutivo, il Salisburgo non riesce a centrare l’obiettivo della fase a gironi: anche un anno fa fu una squadra israeliana, il Maccabi Haifa, a sbattere fuori gli austriaci ad un passo dal traguardo.

Dopo settantacinque minuti di sofferenza, il Basilea riesce ad avere la meglio in casa dello Sheriff Tiraspol, che sognava di diventare la prima squadra moldava ad arrivare alla fase a gruppi: Streller regala il vantaggio, poi la doppietta di Frei suggella il trionfo elvetico. Il Basilea ritorna così in Champions’ League dopo un anno di purgatorio: potrebbe ritrovare sulla sua strada un reduce della storica apparizione del 2001-02, l’australo-serbo Ivan Ergić, ora in forza al Bursaspor. Infine, servono i rigori per decretare la vincitrice tra Anderlecht e Partizan Belgrado: al Constant Vanden Stock finisce come all’andata (2-2). Serbi che vanno sul doppio vantaggio grazie ai due gol del brasiliano Cléo, poi i biancomalva riequilibrano le sorti dell’incontro con Lukaku e Gillet. Si va ai rigori, dove è decisivo l’errore di Boussoufa. Dopo sei anni, è nuovamente Champions’ per il Partizan.

RISULTATI SPAREGGI CHAMPIONS’ LEAGUE

Martedì 24 agosto 2010

Hapoel Tel Aviv (ISR) – Salisburgo (AUT) 1-1 (and. 3-2)

42’ ag Douglas (S), 92’ Zahavi (H)

Sheriff Tiraspol (MDA) – Basilea (SUI) 0-3 (and. 0-1)

75’ Streller, 80’ e 87’ Frei

Anderlecht (BEL) – Partizan Belgrado (SER) 4-5 dcr (and. 2-2)

15’ e 53’ Cléo (P), 64’ Lukaku (A), 71’ Gillet (A)

Siviglia (ESP) – Sporting Braga (POR) 3-4 (and. 0-1)

31’ Matheus (B), 58’ Lima (B), 60’ Luís Fabiano (S), 84’ Jesús Navas (S), 85’ e 90’ Lima (B), 91’ Kanouté (S)

Sampdoria (ITA) – Werder Brema (GER) 3-2 dts (and. 1-3)

8’ e 13’ Pazzini (S), 85’ Cassano (S), 93’ Rosenberg (W), 100’ Pizarro (W)

QUALIFICATE ALLA FASE A GIRONI:

Hapoel Tel Aviv, Basilea, Partizan Belgrado, Sporting Braga e Werder Brema.

Simone Pierotti

IERI & OGGI: E IL LIBANO SOTTO ASSEDIO SCONFISSE LA FRANCIA

Nel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori e colonizzati. Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

Libano-FranciaNel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori (europei) e colonizzati (africani, americani o asiatici). Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

È il 23 agosto del 2006 ed in Giappone si gioca la penultima giornata del girone A dei Mondiali di basket maschile. A Sendai si affrontano due squadre che, in comune, hanno forse la lingua parlata. Da una parte c’è la Francia terza classificata agli Europei di un anno prima che, pur priva della stella Tony Parker, può schierare un parterre de roi di assoluto rispetto: Gomis e Florent Piétrus hanno vinto il campionato spagnolo con l’Unicaja Málaga, mentre sono ben quattro i giocatori – Diaw, Petro, Mickaël Piétrus e Turiaf – impegnati nella NBA. Dall’altra c’è il Libano, alla seconda partecipazione mondiale della sua storia, guidato in panchina da un allenatore giramondo, lo statunitense Paul Coughter. I suoi uomini giocano tutti in patria. Per la nazionale mediorientale non è una partita qualsiasi. Perché una vittoria potrebbe far avvicinare la squadra allo storico traguardo degli ottavi di finale. Perché, nel lungo arco temporale compreso tra i due conflitti mondiali, il Libano era un protettorato francese. E, soprattutto, perché il loro paese è in guerra da oltre un mese con Israele: a dir la verità da nove giorni è entrato in vigore il cessate il fuoco, ma è solo con la fine del blocco navale imposto dagli israeliani che, a settembre, calerà definitivamente il sipario su un’altra pagina di sangue in Medio Oriente. La preparazione ai Mondiali è stata un vero incubo per i giocatori, che si allenavano sapendo che gli F16 israeliani sorvolavano sulle loro case. E poi l’odissea per raggiungere Turchia e Slovenia, per disputare due tornei di preparazione, tra aeroporti bombardati ed autostrade danneggiate che, di fatto, avevano isolato il paese. I giocatori non volevano saperne di andare al Mondiale: troppo importante la vita dei loro familiari. Ma, alla fine, la spedizione libanese parte alla volta della terra del Sol Levante: dopo la vittoria all’esordio contro il Venezuela, i mediorientali hanno perso contro Serbia-Montenegro ed Argentina. E adesso ci sono loro, i colonizzatori.

Il parquet di Sendai sovverte inizialmente il pronostico che vede la Francia favorita: la stella Fadi El Khatib trascina il Libano con le sue giocate, sul fronte francese l’assenza dell’infortunato Jeanneau si traduce in una fase offensiva molto compassata e stagnante. Dopo il sostanziale equilibrio delle battute iniziali, il Libano prende il largo grazie ad un paio di tiri liberi di Roy Samaha: le due squadre chiudono così il primo quarto sul 21-14. Anche nel successivo la Francia non fa molto per arginare le folate libanesi: una schiacchiata di Mickaël Piétrus riduce il distacco a due sole lunghezze, ma un lay-up di El Khatib e le bordate di Rony Fahed, complesa una tripla, riportano avanti la nazionale mediorientale che va al riposo con il massimo vantaggio (43-30).

La Francia, tuttavia, si risveglia brutalmente nella seconda metà dell’incontro: gli uomini di Claude Bergeaud assestano un parziale di 9-0 e poi, grazie al canestro del madridista Gelabale, ancora una volta si portano a due punti di ritardo dal Libano. Dilapidato il prezioso vantaggio, i mediorientali rialzano la testa ed è il solito El Khatib a mantenerli in vita con i suoi punti. Ma è soprattutto Florent Piétrus il protagonista dell’ultimo quarto: il giocatore dell’Unicaja regala spettacolo con rimbalzi e schiacchiate. Regala soprattutto punti preziosi alla Francia che consentono di risalire la china: mediorientali e transalpini giocano a rincorrersi, con i primi che viaggiano a una media di quattro punti di vantaggio. Fino a quando Boris Diaw, pure lui uscito dal guscio dell’anonimato nella seconda parte, non fissa il risultato sul 68-68. La gioia per aver agganciato, dopo un lungo inseguimento, il Libano dura tuttavia il breve spazio di una dozzina di secondi: Rony Fahed mette dentro una tripla e dà nuovamente il vantaggio alla sua squadra. Manca un minuto e mezzo alla fine. E la Francia deve recuperare tre punti. Florent Piétrus non fallisce dalla lunetta e così pure Foirest: adesso sono i libanesi a dover inseguire (72-71) quando mancano quaranta secondi. Ti aspetti una giocata decisiva di El Khatabi – a fine gara sarà il miglior marcatore con 29 punti personali – e invece è Joseph “Joe” Vogel, centro di origini statunitensi, a scrivere la storia del basket: riceve palla, si gira, segna subendo fallo e poi realizza il tiro libero aggiuntivo. 74-72. L’appuntamento con la storia è lì a ventiquattro secondi, ma c’è ancora da soffrire: Diaw va in lunetta, può riequilibrare nuovamente le sorti dell’incontro a sei secondi dalla conclusione. Mette dentro il primo: 74-73. Prosegue con il secondo. Il tiro è corto, la palla tocca il ferro e torna in campo: all’ultimo secondo finisce tra i palmi di Foirest che tenta il tiro della disperazione. Palla fuori bersaglio. Fischio finale. Vince il Libano delle famiglie sotto assedio, vince il Libano senza giocatori nella NBA, vince il Libano umile contro una Francia presuntuosa. “Siamo stati davvero deludenti e non abbiamo preso abbastanza sul serio la partita – ammette a fine partita Bergeaud – questo è un momento storico per noi perché non abbiamo rispettato i nostri avversari”. Con il sorriso fanciullesco di chi ha appena compiuto un’impresa, Khalaf commenta una vittoria inattesa: “Questa vittoria, comunque, non significa nulla se domani non facciamo risultato contro la Nigeria. Per me, quella partita è più importante del successo di oggi”.

Ma il miracolo non si ripeterà: il Libano esce sconfitto 95-72 contro la formazione africana, fallendo così la qualificazione al turno successivo. La Francia avanza e chiuderà al quinto posto la sua avventura in terra nipponica. Ma sulle maglie dei transalpini rimarrà per sempre incancellabile la macchia della sconfitta contro i libanesi. I quali tornano comunque a casa con una storia da poter raccontare ai propri figli, nel frattempo tornati alla normale vita di tutti i giorni dopo il cessate il fuoco del 14 agosto. Eccola, la vittoria più bella, da aggiungere al 74-73 di Sendai.

Simone Pierotti