LA NAZIONALE FRANCESE VESTE NIKE

Dopo quasi quarant’anni di onorato servizio, la maglia della nazionale francese di calcio non avrà più lo storico marchio Adidas. Il 9 febbraio, con Francia-Brasile, la prima uscita ufficiale dell’era Nike.

Maglia FranciaA me sembra una bella maglietta, anche se mi ricorda un po’ quella dell’Italia.
Laurent Blanc, commissario tecnico della nazionale francese.

È stata presentata ufficialmente ieri sera a Parigi la nuova maglia della nazionale francese a marchio Nike, in stile retrò anni ’50, interamente blu, senza righe, bande e losanghe, e con chiusura a polo, sul modello di quella italiana. In veste di indossatori, hanno sfilato per l’occasione: Yann M’Vila, Alou Diarra, Abou Diaby e Florent Malouda.

Come deciso già nel febbraio 2008, il contratto tra la Federazione francese e la Nike, durerà dall’inizio di quest’anno fino al 2018. E in questi sette anni porterà nelle boccheggianti casse del calcio transalpino circa 43 milioni di euro all’anno a titolo di sponsorizzazione: la cifra più alta della storia, buona per fare arrossire i 20 milioni di euro annui incassati allo stesso titolo da un’altra potenza calcistica come la Germania.

Per l’Adidas, eterna rivale della Nike sul terreno dell’abbigliamento (e non solo) sportivo, questa sconfitta commerciale è piuttosto dura da metabolizzare, e segue quelle altrettanto recenti subite in Brasile e in Olanda. Infatti, l’inizio del connubio calcistico tra Francia e Adidas risaliva al 1972, quando la multinazionale tedesca aveva rimpiazzato il colosso nazionale di Le Coq Sportif come fornitore ufficiale.

La celebre maglietta blu, anzi bleu, già con lo stemma del galletto, ma ancora orfana di sponsor, aveva visto la luce il 19 marzo 1919 a Bruxelles, in occasione della partita amichevole contro il Belgio. Tra i geloni invernali e le saune estive dei calciatori, a quell’epoca si adottavano tessuti penitenziali come la lana e la flanella, e con questi si sarebbe andati avanti fino alla liberazione degli anni ’50, grazie all’arrivo del cotone.

Il fregio dello sponsor sul petto, a fianco dell’immancabile coq, arriverà invece nei primissimi anni ’70; e dal 1972 l’Adidas imporrà immediatamente il proprio inconfondibile stile con le tre righe bianche verticali sulle maniche, sia sulla maglia blu ufficiale, che su quella rossa di riserva. A parte la breve parentesi del 10 giugno 1978 per la partita del Mondiale d’Argentina contro l’Ungheria, quando, causa un disguido, verrà sfoderata una scioccante maglia a strisce bianco-verdi, il primo cambiamento si avrà nel 1980, con Michel Platini e compagni a esibirsi con una scollatura a V adornata di righe gessate bianche verticali.

Ma per il coup de theatre, bisognerà lasciar trascorrere tutto il decennio, e nel 1990 gli stilisti dell’Adidas proporranno le nuove spalle tratteggiate di fiammelle rosse su uno sfondo bianco: una moda che sarà riproposta con alcune varianti (come le losanghe, sempre bianche e rosse, lungo un fianco) per tutti gli anni ’90.

Dal decennio scorso, poi, un discreto e graduale ritorno a una maggiore essenzialità, fino all’ultima partita della nazionale francese in veste Adidas: il 17 novembre 2010 a Wembley contro l’Inghilterra.

10 giugno 1978 Michel Platini

TUTTO IN … SEI MINUTI

Un Borussia da sogno distrugge la terza forza del campionato in soli sei primi di gioco

Borussia DortmundUn Borussia da sogno distrugge la terza forza del campionato in soli sei primi di gioco

In Germania c’è una squadra che sta stupendo il mondo: il Borussia Dortmund di Jürgen Klopp, quarantaquattrenne allenatore nativo di Stoccarda già in passato alla guida del Magonza. Nessuno, infatti, si sarebbe aspettato che il BVB fosse in grado di mantenere un tale ritmo in questa prima metà di campionato: con quindici vittorie su diciotto partite i gialloneri stanno dominando incontrastati la Bundesliga con dodici punti di vantaggio sull’Hannover, secondo. A fare impressione dei Die Schwarzgelben è soprattutto il fatto che essi sono attualmente considerabili una macchina praticamente perfetta: miglior attacco (42 reti segnate) e miglior difesa del campionato (11 subite) sono lì a dimostrarlo.

Ma su cosa si fonda questo straordinario schiacciasassi che sta facendo impazzire il Signal Iduna Park? Stiamo quindi all’attualità ed andiamo ad analizzare l’ultima vittoria, ottenuta giusto lo scorso venerdì nell’anticipo di Leverkusen.

Partendo, ovviamente, proprio dalla disposizione in campo: Borussia che scende sul terreno della BayArena col suo solito 4-2-3-1 in cui, però, mancano due pedine di assoluta importanza: il bomber della squadra, Lucas Barrios (titolare in sedici delle precedenti diciassette partite), deve accomodarsi in panchina non essendo al meglio a livello di salute, mentre il fantasista, Shinji Kagawa, è in Qatar con la nazionale nipponica guidata da Alberto Zaccheroni, impegnato nel corso dell’attuale edizione della Coppa d’Asia. Il posto delle due stelle offensive del BVB viene quindi preso dal polacco Robert Lewandowski (alla seconda presenza da titolare in campionato, cui vanno aggiunti quindici ingressi dalla panca) e dal giovane Mario Götze, giovane stellina proveniente dal vivaio cui tutti, in Germania, pronosticano un futuro da star assoluta.

Ecco quindi che i nostri Die Schwarzgelben scendono in campo con il solito Weidenfeller in porta protetto da una linea a quattro cui fanno da cardini centrale Subotic ed Hummels, giovani difensori tra i più interessanti in circolazione in Europa. Le fasce, invece, sono presidiate da Schmelzer e Piszczek, terzini con licenza d’offendere. La coppia di centrocampisti è poi molto ben composta ed amalgamata, con Sven Bender a fare legna e Nuri Sahin ad impostare e creare gioco. Il tutto alle spalle del trio composto, da destra a sinistra, da Blaszczykowski, Götze e Großkreutz. Unica punta, infine, il già citato Lewandowski.

Di contro il Leverkusen deve rinunciare a Derdiyok, Barnetta e Vidal così che Jupp Heynckes decide di schierare un 4-4-2 con Adler in porta, una linea difensiva composta da Schwaab, Friedrich, Reinartz e Castro ed una linea di centrocampo con Augusto, Lars Bender, Rolfes e Sam. Di punta, quindi, la coppia Helmes- Kießling.

Tattiche diverse e capacità tecniche differenti si traducono in un differente approccio al match: da una parte una squadra, quella ospite, che punta molto sul possesso e sul tentativo di creare la superiorità numerica con gli inserimenti dei suoi trequartista e dall’altra una squadra, quella ospitante molto stretta e chiusa, in particolar modo nella propria metà campo, per cercare di contrastare quanto appena detto.

Bayer che ha quindi controllato discretamente nel primo tempo le avanzate avversarie proprio riuscendo a non regalare eccessivi spazi al Borussia. Il tutto pur trovando difficoltà in fase offensiva in particolar modo per la tendenza dei due giocatori di fascia sinistra (Castro e Sam, solitamente impiegati sull’out opposto) di accentrarsi per poter sfruttare al meglio il loro piede naturale.  In apertura di ripresa gli ospiti riescono subito a spaccare in due la partita, segnando ben tre reti nel giro di soli sei minuti. Ad aprire le danze è Großkreutz, abile a sfruttare un errore di Schwaab: sulla rimessa lunga di Piszczek è infatti possibile notare come Lewandowski e Götze si muovano per impegnare i due centrali difensivi dei Werkself che, così, lasceranno in situazione di uno contro uno proprio l’ala sinistra giallonera ed il terzino destro loro compagno di squadra che dimostrerà di non essere all’altezza delle aspettative bucando goffamente un colpo di testa (toccando in realtà il pallone con il braccio, sarebbe potuto essere rigore) che spiana la strada alla rete del vantaggio ospite.  Non contenta la retroguardia delle Aspirine decide di concedere un altro goal, poco più tardi.

Ed è un’azione, questa, che va osservata molto bene, perché rende davvero perfettamente l’idea di cosa possa diventare l’attacco giallonero in determinate circostanze. Subotic, pressato, alleggerisce su Weidenfeller che dopo aver controllato il pallone alza la testa, prende la mira ed effettua un lancio profondo alla ricerca di Lewandowski. Ancor prima che il pallone arrivi nella zona occupata dalla punta dell’est Europa possiamo notare come le due ali, Großkreutz e Blaszczykowski, attacchino la profondità, così da trovarsi già oltre al proprio compagno che fa da riferimento avanzato quando questo arriverà sul pallone, quasi all’altezza della trequarti avversaria. Qui possiamo quindi solo limitarci a fare la conta degli errori della difesa dei Werkself: innanzitutto Reinartz si fa battere con troppa facilità da Lewandowski sul gioco aereo, favorendo l’inserimento di Großkreutz che, a sua volta, sfrutterà la superficialità di Friedrich, assolutamente negativo nell’occasione, e la mancata diagonale di Schwaab per tagliare alle spalle di tutti e presentarsi a tu per tu con Adler, facilmente infilato nell’uno contro uno. Azione questa, insomma, che dà davvero bene l’idea di uno dei meccanismi di gioco del perfetto ingranaggio di costruito da Klopp: quando Sahin e Kagawa (o Götze, come nel caso in questione) non hanno l’opportunità di inventarsi qualcosa sfruttando tutta la loro tecnica e la loro fantasia ecco che possono diventare le ali, ficcanti quando partono in velocità, l’arma in più del BVB. L’attacco ad un’unica punta può infatti diventare, come per magia, uno splendido quanto temibilissimo tridente.

Tre minuti più tardi, poi, viene posta la definitiva parola fine sul match con un’azione costruita tutta in velocità che può essere tranquillamente usata a simbolo di una squadra oggi realmente fantastica: Piszczek batte una rimessa laterale all’interno della propria metà campo indirizzando la palla all’altezza della trequarti avversaria, dove sarà preda di Götze. Che, pressato, sa di non poter manovrare con il dovuto spazio e decide quindi di stoppare la palla in favore di Lewandowski il quale, a sua volta, la girerà immediatamente in direzione di un Großkreutz che coronerà la sua splendida prestazione allungandosi in scivolata per fare in modo che il pallone possa tornare a chi, di fatto, aveva cominciato l’azione: Mario Götze. Il trequartista campione d’Europa nel 2009 con l’under 17, quindi, s’infilerà con facilità alle spalle di una difesa ancora una volta ballerina, per poter battere facilmente il povero Adler.

Azione tutta in velocità e ricca di tocchi di prima che sintetizza bene il gioco di una squadra, il Borussia Dortmund, che come abbiamo detto in precedenza sta realmente facendo sognare i propri tifosi, abbinando risultati e bel gioco.

ALGERIA: CALCIO E DISORDINI DAL 1988 A OGGI

La Federazione algerina ha sospeso il Campionato per un mese per circoscrivere la protesta che infuria.

“La musica e il calcio non hanno frontiere. Siccome trasmettono un’idea di festa, sono osteggiate da quelli che vogliono toglierci la libertà.” (Cheb Mami, cantante Raï algerino).

La decisione della Federcalcio algerina è di lunedì 10 gennaio: il campionato di calcio sarà sospeso per un mese, e non riprenderà prima del 10 febbraio. È la contromisura per i disordini scoppiati nei primi giorni dell’anno, in seguito ai rincari dei generi alimentari: olio e zucchero in particolare. Eppure le recenti sommosse non sono scoppiate all’interno degli stadi, ma nelle piazze e nelle vie delle più grandi città algerine: Orano, Constantine, Sétif, e soprattutto ad Algeri, dove si sono concentrate nel quartiere di Bab-el-Oued, l’epicentro della drammatica rivolta del cous cous dell’ottobre 1988.

Ma gli stadi di calcio rappresentano uno degli incubi peggiori del governo algerino. Diversamente che nei luoghi di lavoro, nei negozi, nei bar, sui mezzi pubblici e per le strade, dove la popolazione mantiene un atteggiamento estremamente guardingo, e pesa accuratamente le parole che dice, lo stadio è una zona franca. E come accadeva qualche decennio fa anche nei defunti regimi realsocialisti, sulle gradinate la libertà di espressione è garantita. Qui non solo è lecito ingiuriare il tifoso avversario o il proprio giocatore che svirgola il pallone, ma si può anche scaricare la frustrazione della vita quotidiana, magari infarcendo un’imprecazione con un insulto al governo, e ricevendo in cambio gli applausi convinti dei vicini di tribuna. Per questo motivo il regime algerino ha paura della potenzialità eversiva che può dirompere da uno stadio di calcio, e per circoscrivere la protesta ha deciso di mettere sotto chiave il campionato, almeno fino al ritorno della normalizzazione sperata. Dalla rivolta del 1988, che costò 162 morti e migliaia di feriti secondo le fonti ufficiali, ma che fornì anche le basi per l’avvio di un effimero processo di democratizzazione, degenerato quasi sul nascere in una lunga guerra civile strisciante tra la casta burocratico-militare al potere e gli estremisti islamici, il calcio ha giocato un ruolo di primo piano, al di là del significato sportivo intrinseco.

Ma ripercorriamo gli episodi di cronaca più drammaticamente significativi:

14 ottobre 1989 – Durante la partita tra la squadra locale del Mouludia Olimpique di Constantine e l’Entente Sportive di Sétif, un gruppo di ultras del Mouludia, armati di coltelli e spranghe, invade il campo, aggredendo i giocatori ospiti, e ferendone gravemente due, sotto gli occhi di sessantamila spettatori. In seguito a questo episodio e ad altri precedenti quasi altrettanto gravi, la Federcalcio algerina decide di sospendere il campionato per una giornata.

5 ottobre 1994 – Alì Tahanuti, presidente della Jeunesse Sportive di Bordj Menaiel, una squadra di prima divisione, viene assassinato da un commando armato di terroristi islamici. Il movente dell’attentato viene individuato nella calcio-fobia degli integralisti. Anche in quest’occasione le partite di campionato vengono sospese per un turno.

21 gennaio 1995 – Questa volta tocca a Rachid Haraigue, presidente della Federcalcio e uomo vicinissimo alla giunta militare al potere, soccombere sotto i colpi di un altro commando di terroristi. Dalla seconda metà degli anni novanta il calcio ritorna comunque a riempire gli stadi dell’Algeria, sia grazie alla diminuzione d’intensità della guerra civile, che come riflusso al progressivo disinteresse generale nei confronti della politica.

6 ottobre 2001 – La super-amichevole tra Francia e Algeria, organizzata allo Stade de France di Parigi a suggello della rappacificazione tra i due paesi un tempo nemici, viene interrotta pochi minuti prima del termine da un’invasione di campo dei giovanissimi tifosi franco algerini. Intervengono le brigate antisommossa francesi per riportare l’ordine sia nel campo che sugli spalti.

22 giugno 2002 – L’ennesimo commando armato del GIA (Gruppo Islamico Armato) irrompe in un campo di calcio, dove stanno giocando due squadre di ragazzini, provocando 6 vittime tra i giovanissimi calciatori.

26 maggio 2008 – Al termine del campionato, che vede il Meloudia di Orano retrocedere in seconda divisione, i tifosi inferociti mettono a soqquadro alcuni sobborghi della seconda città dell’Algeria. La polizia risponde con centinaia di arresti. Secondo gli organi d’informazione indipendenti, il calcio sta ormai diventando il pretesto per lo sfogo della frustrazione da parte della giovanissima popolazione algerina (il 75% degli algerini ha infatti meno di trent’anni).

18 novembre 2009 – Il rocambolesco spareggio di Khartoum, in Sudan, tra le nazionali dell’Egitto e dell’Algeria, finisce con la vittoria di quest’ultima, e la conseguente conquista della qualificazione ai mondiali 2010 in Sudafrica. Scoppiano incidenti tra le tifoserie contrapposte, che danno origine anche ad una crisi diplomatica. I festeggiamenti per la vittoria nella capitale algerina, diventano l’occasione per una caccia all’uomo nei confronti dei cittadini egiziani. Il bilancio di queste manifestazioni di giubilo si rivela pesantissimo: 14 morti e 250 feriti. È la pietra tombale sul vecchio ideale nasseriano della fratellanza araba.

I CAMPIONI DI DOMANI: LA JUVENIL B DEL BARÇA

Alla scoperta del modello Barça e della Cantera blaugrana

La lente d’ingrandimento della mia rubrica di tattica calcistica oggi si ferma sulla formazione Juvenil B del Barcelona, attualmente allenata da un grande ex terzino sinistro della prima squadra, quel Sergi Barjuán che a suo tempo dei blaugrana fu anche il capitano.

Come è ben noto a tutti in Catalunya hanno creato un preciso modello, il “Modello Barça” appunto, che viene applicato con meticolosità per provare a sviluppare al meglio i talenti appartenenti alle proprie formazioni giovanili. Tra le caratteristiche principali di questo modello vi è il fatto di far giocare tutte le squadre appartenenti alla Cantera con il medesimo modulo della prima squadra di modo da preparare sin da subito ogni piccolo campioncino che così facendo può iniziare prestissimo ad assorbire i dettami tattici cui dovrà sottostare una volta arrivato tra i grandi.  Anche la formazione Juvenil B, in questo senso, non fa eccezione. Così come la prima squadra e tutte le altre squadre appartenenti al floridissimo settore giovanile blaugrana, infatti, la squadra di Sergi si schiera con quel 4-3-3 che negli ultimi anni ha permesso a Messi e compagni di arrivare a dominare il mondo (nel vero senso della parola).  Ovviamente, però, ogni squadra fa storia a sé e se l’impronta tattica di base è la medesima è ovvio che ogni singola formazione, poi, si schiererà secondo le proprie specificità.

Andiamo a vedere più nel concreto, allora, come vengono schierati i ragazzi che stanno attualmente dominando il Gruppo 7 della Liga Nacional  Juvenil.  Il 4-3-3 studiato da Sergi per provare a far rendere al meglio la propria equipe prevede l’impiego di una difesa schierata in linea che resta piuttosto alta in fase di non possesso di palla di modo da favorire l’utilizzo della trappola del fuorigioco che però, a dire il vero, non è utilizzata in maniera aggressiva. A comandare la linea difensiva è il dominicano Carlos Julio Martínez Riva, centrale discretamente abile a livello tecnico e che dimostra già una buona capacità direttiva. Ed è una difesa che funziona a meraviglia, quella del Juvenil B: non a caso ha subito una sola rete in ben dieci match di campionato. Ai limiti dell’imperforabilità, insomma.

A rendere così solida la retroguardia ci pensa anche il costante lavoro di pressing comunque piuttosto leggero che viene svolto a partire dai tre attaccanti, sempre pronti tanto a disturbare il portatore di palla che prova ad impostare il gioco nella propria trequarti quanto a rinculare nella propria metà campo alla bisogna. Altro elemento importante in questo senso, poi, è la posizione assunta dal capitano della squadra, Fernando Quesada Gallardo. Nando, infatti, tende a posizionarsi proprio davanti alla difesa, tra i due centrali. Là dove può tanto dettare i ritmi della squadra (le sue caratteristiche di gioco diciamo che ricalcano un po’ quelle che furono dell’attuale mister della prima squadra, Pep Guardiola, in questo senso) in fase di possesso quanto fungere da frangiflutti in situazione di non possesso. Avendo poi proprio nella spiccata intelligenza tattica il suo pezzo forte ecco come sia appunto Nando, da questo punto di vista, il fulcro della squadra.

La solidità difensiva, infine, è garantita anche dall’accortezza dei due terzini, Adrià Escribano Meroño sulla destra e Brian Oliván Herrero sulla sinistra. I due, infatti, avanzano solo in determinate situazioni, sempre tenendo ben presente il loro ruolo e la loro importanza tattica all’interno della macchina preparata da Sergi Barjuán. Essendo piuttosto dotati, almeno rispetto ai parietà che solitamente si ritrovano ad affrontare in campionato, ecco che il gioco è fatto e con le loro prestazioni contribuiscono a blindare la porta solitamente difesa da Sergi Tienda Gutiérrez.

Parlato del reparto arretrato dobbiamo quindi passare al centrocampo. Detto dell’importanza centrale del ruolo ricoperto da capitan Nando dobbiamo parlare anche di quanto svolto dalle due mezz’ali della formazione, Jordi Quintillà Guasch e David Babunski. I due, infatti, svolgono un ruolo chiave nella cucitura del gioco. Perché se è Nando a dettare i tempi alla squadra posto che è a lui che solitamente viene assegnato il compito di impostare l’azione è altrettanto vero che il lavoro di Quintillà e Babunski risulta ugualmente prezioso proprio nel cercare di tenere la squadra quanto più corta possibile. Perché è risaputo come il “Modello Barça” regga su di un assunto imprescindibile: il possesso palla. E proprio il lavoro dei due rende possibile un possesso palla pressoché continuo: con il loro movimento, infatti, garantiscono sempre un’opzione in più al portatore di palla o, nel caso in cui questo ruolo spettasse a loro, sanno sempre come gestire il possesso della sfera, muovendosi secondo ritmi che hanno ormai interiorizzato e che li porta a facilitare anche il lavoro degli attaccanti.

Punte che, dal canto loro, si muovono secondo logiche prestabilite ma pur sempre nella libertà che viene lasciata loro da mister Sergi e che gli permette, grazie ad un mix di estrosità e talento, di creare quella superiorità numerica spesso fondamentale per la ricerca del goal. Di per sé la disposizione è quella classica: due ali con licenza di saltare l’uomo ed un centravanti rapido ed anch’esso bravo nel dribbling che possa tanto sfruttare il lavoro altrui andando a finalizzare quanto costruito dai propri compagni che, nel caso, crearsi da sé un’occasione da goal. Ed in questo il buon Jean Marie Dongou Tsafack, in effetti, ricorda un po’ quell’Eto’o che fu interprete perfetto di questo ruolo.

Ecco, a grandi linee, com’è impostata la Juvenil B del Barcellona. E chissà che qualcuno di questi ragazzi, in futuro, non finisca per ripetere quanto imparato in questi anni di cantera anche in prima squadra…

IL RITORNO DELLE TWIN TOWERS

La Juventus schiera due torri e perde a Napoli: perché Amauri e Toni non hanno funzionato?

Quasi dieci anni fa il mondo occidentale fu scosso da uno degli eventi più traumatici del nuovo secolo, la caduta delle Torri Gemelle di New York. Quasi dieci anni più tardi queste – metaforicamente parlando, s’intende – tornano ad essere erette nella Torino bianconera. Le recenti cronache di mercato riportano infatti l’acquisto, da parte di Marotta e soci, di Luca Toni. Un acquisto, quello che ha portato il puntero Campione del Mondo 2006 sotto la Mole, che teoricamente sarebbe servito a dare un’alternativa in più a Delneri. Sulla carta, infatti, il centravanti modenese sarebbe dovuto arrivare come alternativa ad Amauri e ci prospettava sarebbe potuto essere utilizzato sempre e solo in coppia con Del Piero o Quagliarella. Il grave infortunio occorso a quest’ultimo ha però scombinato le carte in tavola, spingendo quindi il tecnico di Aquileia ad una scelta che in pochi si sarebbero aspettati ed erano pronti a condividere: schierare le due torri assieme, una a fianco all’altra. Proprio come le Twin Towers.

Com’è andato l’esordio di Toni in bianconero e quindi la prima uscita di questa strana coppia immagino lo sappiate un po’ tutti: una tripletta di Cavani, libero di scorrazzare in una difesa assolutamente allo sbando, ha regalato al Napoli una facile vittoria. La prestazione della coppia d’attacco però forse non è da buttar via: Amauri, che in linea con il resto della stagione ha combinato pochino, ha messo in difficoltà De Sanctis con un bel mancino piazzato dal limite. Toni è stato invece il migliore tra i suoi: ha lavorato una gran quantità di palloni, facendo diverse sponde aeree e mettendosi a sgomitare per tutti i novanta minuti di gioco alla ricerca di quello spazio necessario quando si vuole trovare la rete. Entrambi hanno però terminato il match a bocca asciutta, il tutto per via di un problema di fondo su cui Delneri dovrà lavorare molto nelle prossime settimane.

Giocare con due torri significa, da una parte, acquisire grandissima efficacia nel gioco aereo ma, di contro, costringe a perdere molto in freschezza ed agilità. Questo non può che comportare un cambiamento repentino nell’approccio di tutta la squadra, che deve cambiare il proprio modo di giocare. Se l’utilizzo di una seconda punta agile e veloce come può essere Quagliarella permette di variare molto il gioco e di impostare il match con un certo tipo di movimenti offensivi, l’utilizzo due torri richiede di modificare questi movimenti. Né Amauri né Toni, infatti, sono portati a venire incontro al portatore di palla. Così come nessuno dei due ha la brillantezza di potersi infilare nelle maglie avversarie per essere lanciato in velocità dalle retrovie o per raccogliere la sponda del proprio compagno di reparto. Entrambi garantiscono una grandissima presenza fisica ma, nel contempo, hanno bisogno di essere serviti in ben altro modo. Questo è quello che è mancato alla Juventus di Napoli (oltre ad una difesa degna di questo nome, cosa che però ben poco ha a che vedere con la presenza delle Twin Towers là davanti): il giusto supporto ad una coppia mal assortita, ma che comunque avrebbe potuto mettere in difficoltà gli avversari.

Cosa avrebbero dovuto fare gli otto compagni di Toni ed Amauri per facilitare al massimo il loro compito? Ad essere mancato in maniera particolare è stato il gioco sulle fasce. Gli affondi delle ali quanto le sovrapposizioni dei terzini. Krasić ha dimostrato di non avere più la stessa brillantezza di inizio stagione ed ha faticato tantissimo a crearsi grandi occasioni sulla sua fascia. Non a caso, però, l’unica volta in cui è riuscito a trovare lo spunto giusto ha costretto Dossena a fermarlo fallosamente, guadagnandosi un’ammonizione. Al tempo stesso Pepe sulla fascia opposta ha dimostrato ancora una volta tutti i suoi limiti: ragazzo di buon cuore e con un’abnegazione straordinaria, l’ex esterno friulano non ha però mai avuto una gran propensione al dribbling. Ed arrivare sul fondo senza mai saltare un uomo non è cosa così facile. Da entrambi ci si aspettava un lavoro molto diverso. Nel momento in cui si scende in campo con due torri gli esterni diventano infatti fondamentali: proprio il loro spingersi sul fondo per crossare a centro area in maniera continuativa può a quel punto rivelarsi fondamentale per portare a casa la vittoria. A Napoli però questo non è avvenuto e si sono visti i risultati.

Anche da parte dei terzini è mancato un sostegno adeguato: in un 4-4-2 classico come quello prediletto dal tecnico di Aquileia gli esterni – di centrocampo quanto di difesa – ricoprono un ruolo chiave. Difficilmente ci può essere un gioco fruttuoso sulle fasce senza gli affondi e le sovrapposizioni di questi ultimi. Anni fa in quel di Torino si criticava, anche giustamente, il buon Molinaro, reo di riuscire a fare un cross decente solo ogni tot tentativi. Pochi però erano in grado di riconoscergli il buon lavoro che lo stesso era capace di fare andando a sovrapporsi costantemente a Nedvěd: un lavoro oscuro che il talento ceco avrà sicuramente apprezzato tantissimo. Un lavoro che in quel di Napoli è mancato completamente: Grygera è incappato in una delle serate più buie della sua carriera e, oltre ad aver sbagliato lo sbagliabile in fase difensiva, non si è praticamente mai visto in fase offensiva. Dalla parte opposta Traoré e Grosso, giocatori che fanno proprio della fase offensiva la loro forza, sembra non abbiano mai avuto la forza di sostenere a dovere Pepe. Il risultato finale? Una squadra praticamente nulla sulle fasce: un gioco improponibile quando davanti ci sono due torri.

Non che il gioco sia andato meglio nelle vie centrali. Tralasciando la fase di non possesso, in cui senza Melo si fatica a fare filtro, le cose non sono andate meglio nella fase di costruzione. Se si gioca con due torri non si può infatti pensare di dialogare molto, ma qualche palla lunga più del solito va giocata. Ed in questo caso non si può poi abbandonare a sé stessi i due attaccanti, anzi: a maggior ragione quando si schiera Marchisio (ottimo negli inserimenti, quando vuole) bisogna dar loro il giusto supporto. Aquilani avrebbe dovuto servire con i suoi lanci le due torri, mentre il secondo avrebbe dovuto inserirsi negli spazi aperti dai due approfittando delle loro sponde.

Tatticamente parlando, insomma, le Twin Towers sono una soluzione assolutamente percorribile. Per sostenerle a dovere, però, la squadra deve fornire prestazioni ben differenti rispetto a Napoli. Delneri avrà quindi molto da lavorare nel prossimo periodo. Se il reparto offensivo è povero tecnicamente ha senso “buttarla sul fisico”, ma schierare due torri richiede anche il giusto sostegno.