Con il secondo turno dei gironi, siamo arrivati all’impasse. Questo benedetto 4-2-3-1 è il ritrovato magico per coprire in modo razionale il campo e avere efficacia d’attacco (vedi Brasile) oppure un modulo che non crea profondità, non mette la punta nemmeno una volta fronte alla porta e non da la possibilità alle ali di giocare in velocità con il terzino della sua catena di fascia (vedi Italia)? La risposta forse è nelle parole di Mondonico il quale, commentando la prima partita dell’Italia, ha affermato che per giocare bene con quel modulo ci vogliono tre fenomeni dietro la punta centrale, mentre per noi è molto più adatto il 4-4-2.
Robinho-Pepe, Kakà-Marchisio, Elano-Iaquinta sono tre paragoni impossibili che spiegano tanto dei peccati di supponenza lippiana. E non è solo una questione di tecnica di base, velocità, resistenza, intuizione, i tre brasiliani giocano meglio perché giocano dove vogliono e sanno, senza confusioni e forzature. Non si può preparare una squadra in un mese cambiando il ruolo a 3-4 calciatori. La voglia lippiana di dire sempre altro rispetto al lavoro degli allenatori del campionato lo sta facendo naufragare (a cui si deve aggiungere un fatto gravissimo, evidenziato da pochi commentatori: Lippi struttura la Nazionale su tre blocchi di squadre che nella seconda parte del campionato hanno giocato il peggior calcio possibile, Juve, Fiorentina e Udinese, mentre le squadre migliori del campionato e del girone di ritorno soprattutto, Inter, Roma e Sampdoria, sono quasi per niente rappresentate).
Insieme a questa angosciante querelle sul 4-2-3-1, il secondo turno di gironi ha portato in auge alcune vecchie-nuove novità che hanno fatto la fortuna di Uruguay e Messico. Il Maestro Tabarez ha riscoperto il numero 10 (Forlan dietro gli attaccanti Cavani-Suarez, messi in campo da un Tabarez che nell’ultima partita vinta dall’Uruguay ai mondiali aveva schierato Francescoli dietro Sergio Martinez e Ruben Sosa, riproponendo un terzetto per la vittoria contro il Sudafrica), mentre Aguirre ha lasciato spazio all’unico centrocampista metodista ancora non estinto (con Marquez che contro la Francia ha controllato Ribery e ha chiuso gli spazi non coperti da Osorio quando saliva ed è stato il primo a giocare la palla, aiutato nella costruzione della manovra dal regista della squadra, Torrado, spostato leggermente sulla destra ad irretire Abou Diaby).
Le squadre si sono sbloccate perché la seconda di girone è una sorta di ritorno di coppa. Aspettiamo adesso il terzo turno con partite che assomigliano in alcuni casi a supplementari, in altri a gare di fine stagione. Ci sarà quindi molta confusione e gioco brutto da una parte e mollezza cosciente dall’altra.
Una delle poche squadre che esce fuori dallo spartito ormai noiosissimo del 4-2-3-1 e del 4-4-2 ultra difensivo è il Cile, che Bielsa, uno che non ha mai seguito la corrente, schiera con il 3-3-1-3. L’assetto di Bielsa è molto particolare e dice molte cose nuove sotto diversi punti di vista, ma quello che bisogna evidenziare di più del gioco cileno è la sua capacità di dominare le fasce sia in fase difensiva che in quella offensiva. Lo schieramento cileno permette di avere 3 uomini per ogni fascia, attivando un meccanismo di movimenti di attacco e difesa molto interessanti. Quando si attacca sull’ala, un solo difensore centrale, Ponce, rimane bloccato al centro, mentre il difensore della fascia debole stringe, il laterale della stessa catena di fascia debole scala in difesa. A completare il tutto, Carmona accorcia sulla fascia forte, nel caso si perda la palla. In questo modo l’equilibrio regge e sulla fascia di attacco ci sono tre uomini, il laterale di difesa, quello di centrocampo e l’ala d’attacco. Una superiorità così evidente permette di giocare con la palla in fascia e velocizza le sovrapposizioni, ma fa muovere perfettamente i 3 anche senza palla, così la mezzapunta può facilmente trovare un uomo in corsa che spesso non si deve più occupare nemmeno dell’1 contro 1. È un vero gioiello la squadra di Bielsa e grazie agli uomini che ha, il tecnico riesce a giocare con diverse soluzioni di attacco e difesa (con la Svizzera in inferiorità numerica, fuori Arturo Vidal, perfetto nella doppia fase che descrivevamo prima e dentro Mark Gonzalez, utile quasi esclusivamente in fase d’attacco e pronto a chiudere verso il centro nell’azione del suo gol). Adesso il Cile aspetta la prova più difficile, la partita con un squadra che, nonostante il 4-2-3-1 inibente per il gioco sulle ali, ha calciatori così bravi e veloci che riescono a sfondare spesso sulle fasce. Se il Cile riesce a superare anche l’ostacolo Spagna, diventa la più grande sorpresa del Mondiale e un esempio di calcio da seguire.
Jvan Sica