(PRO)FUMO DI LONDRA 2012

Iniziano i lavori alla piscina che ospiterà il torneo olimpico di pallanuoto, per il quale è già pronto il calendario.

I prossimi Giochi Olimpici, nella pallanuoto, segneranno un gradito ritorno: la Gran Bretagna. Vincitrice di ben quattro ori nelle prime cinque edizioni – ma nel 1904, a Saint Louis, si sfidarono appena tre squadre statunitensi -, la nazionale del Regno Unito da oltre cinquanta anni è sparita dalle competizioni a cinque cerchi. Con l’affidamento a Londra dei trentesimi Giochi, i britannici parteciperanno di diritto e, così, avranno modo di celebrare questo ritorno di fronte ai propri concittadini. Un evento memorabile, per il quale sembra ormai tutto pronto.

Gli stormi di rondini in volo sopra il Big Ben annunceranno l’arrivo della primavera e, soprattutto, l’inizio dei lavori alla piscina che ospiterà i due tornei della pallanuoto, uno dei pochi impianti che devono essere ancora costruiti. Lo scorso gennaio è stata annunciata la firma dei contratti per il via libera alla realizzazione – che inizierà proprio questo mese – dell’avveniristica Water Polo Arena: dalla struttura cuneiforme e con un tetto dalle tonalità argentate in plastica riciclabile, è un impianto che verrà sistemato di fianco allo stadio Olimpico ed all’Aquatics Centre. Lunga 37 metri e larga 21, con una profondità di 2 metri, la Water Polo Arena verrà dotata anche di una vasca più piccola per il riscaldamento e sarà in grado di ospitare 5mila spettatori. Una volta terminati i Giochi di Londra, la piscina verrà smantellata: alcuni elementi, come i cuscinetti in PVC senza ftalati impiegati per il tetto, saranno però riutilizzati, in modo da ridurre gli sprechi.

Intanto, nell’attesa che la Water Polo Arena veda la luce, è già stato preparato il calendario del torneo maschile e di quello femminile: quest’ultimo segnerà il debutto assoluto ai Giochi Olimpici della pallanuoto britannica in rosa. I tempi, innanzitutto: gli uomini scenderanno in acqua a partire dal 29 luglio, il giorno successivo inizieranno anche le donne mentre la conclusione è programmata per l’11 agosto, con la finalissima del torneo maschile. La formula è la stessa di Europei e Mondiali: dodici le nazionali in gara tra gli uomini, otto invece tra le donne. Già stabiliti, infine, anche i costi dei biglietti: prezzi invariati dai gironi eliminatori fino ai quarti di finale (da 20 a 65 sterline), si sale vertiginosamente per semifinali e finali di consolazione (da 30 a 95 sterline). Manco a dirlo, i costi maggiori riguardando i biglietti per le partite che assegneranno le medaglie, seguite poi dalla cerimonia di premiazione: i più economici costano 65 sterline, quelli da prima fila arrivano a quota 185.

Fatta la forma, adesso non resta altro che riempirla con due tornei sostanziosi.

GRAN PREMIO DI SVIZZERA: UN BANDO LUNGO 53 ANNI

bolito per legge dal 1958, il Gran Premio di Svizzera era stato un classico dell’automobilismo fino alla sua ultima edizione del 1954.

Il disastro alla 24 Ore di Le Mans del 11 giugno 1955 era stato il più catastrofico della storia dell’automobilismo. Lo schianto della Mercedes di Pierre Levegh sugli spettatori ai bordi della tribuna centrale del circuito aveva provocato la morte di 82 persone, e il ferimento di oltre un centinaio. L’eco della tragedia aveva frastornato l’opinione pubblica di tutto il mondo, e come conseguenza, le autorità di Germania, Belgio, Spagna e Svizzera misero al bando le gare motoristiche di ogni categoria.

Ma se negli altri paesi quella del bando era stata una misura amministrativa temporanea, volta al miglioramento delle condizioni di sicurezza nei circuiti automobilistici, in Svizzera lo si era sancito per legge, tanto che nel 1958 era stato inserito nel codice della strada un articolo che proibiva (e proibisce tuttora) espressamente lo svolgimento di gare motoristiche sul territorio elvetico.

Come risultato immediato, si era avuto l’annullamento dei Gran Premi di Svizzera di Formula 1 e di motociclismo, che dal 1934 avevano avuto luogo sul circuito cittadino di Bremgarten, alla periferia di Berna. Per via della sua spettacolarità (e pericolosità), dovuta al continuo alternarsi di salite e discese, curve strettissime e lunghi rettilinei su un manto stradale irregolare, e spazi aperti e assolati che improvvisamente si chiudevano sotto l’ombra di file fittissime di alberi a bordo pista, Bremgarten era diventato uno dei circuiti più amati dagli appassionati di automobilismo e dai piloti più spericolati. Era stato teatro di sfide emozionanti tra i grandi campioni degli anni cinquanta, come Juan Manuel Fangio, Nino Farina, Alberto Ascari, Stirling Moss e Luigi Villoresi; e sul suo terreno non era mancato il doloroso strascico di caduti: tra tutti, Achille Varzi e il centauro Omobono Tenni, falciati in prova dalla stretta e scoscesa curva Eymatt a poche ore di distanza l’uno dall’altro il 1° luglio 1948.

Durante i quattro giorni delle kermesse automobilistiche di Bremgarten, tra prove e gare di auto, moto e side-car, era un susseguirsi ininterrotto di emozioni; e ad uno spettacolo ne seguiva immediatamente un prossimo, come ad un festival a tema motoristico. In mancanza della televisione, un pubblico di almeno centomila persone (quasi l’intera popolazione di Berna) accorreva in massa per vedere lo spettacolo dal vivo, facendo realizzare sistematicamente il tutto esaurito ai botteghini.

In questi ultimi 53 anni di bando sul territorio nazionale, il GP di Svizzera si è svolto solo fuori dai confini, per l’esattezza a Digione in Francia nel 1975 (in forma non ufficiale) e nel 1982, ma ogni volta che Bremgarten è stato riaperto straordinariamente per esibizioni di auto d’epoca, la partecipazione di pubblico è sempre stata altissima.

Secondo una parte dell’opinione pubblica elvetica, il perdurante divieto di far svolgere gare automobilistiche e motociclistiche è un anacronismo, in un’epoca in cui la Formula 1 ha raggiunto standard di sicurezza impensabili cinquant’anni fa. E, siccome i più recenti tentativi di abrogazione  per via ordinaria di questa norma contestata sono naufragati di fronte all’intransigenza della camera alta, che agli ormai superati motivi di sicurezza ha opposto quelli ambientali, proprio ieri è stata presentata alla Cancelleria Federale una petizione firmata da oltre settantamila cittadini, dietro l’iniziativa della federazione motoristica sportiva svizzera.

Tra i testimonial di questa petizione, l’ex motociclista rossocrociato Jacques Cornu, uno dei protagonisti della categoria 250 cc negli anni ottanta, che al quotidiano francofono Le Matin ha dichiarato: “C’è stata un’epoca in cui la morte compariva ogni fine settimana, e questo può farci comprendere le ragioni di un simile divieto, che allora aveva una propria logica. Ma nel mondo di oggi è semplicemente un’aberrazione.”

CLAUDIA MORANDINI, DAGLI SCI AI MICROFONI

Da qualche stagione a questa parte, le telecronache di Eurosport delle gare femminili di sci alpino sono state impreziosite dalla partecipazione di Claudia Morandini, che affianca a turno i sempre preparati Gianmario Bonzi ed Andrea Berton. La bionda Claudia, nata a Trento il 25 giugno 1982, ha un passato da sciatrice di alto livello, mentre il suo presente e il futuro sembrano decisamente essere nell’ambito della comunicazione di massa: non solo telecronache, ma anche la conduzione di programmi di vario genere su radio e televisioni, oltre alla presentazione di eventi, sempre con quel sorriso smagliante che è un po’ il leit-motiv della sua vita.  Da atleta, Claudia ha all’attivo una ventina di gare in Coppa del Mondo tra i paletti stretti dello slalom e le porte larghe del gigante, con un sedicesimo posto ad Aare, nel marzo 2003, come miglior risultato, oltre a tre podi in Coppa Europa.

Claudia, com’è stato il salto dalle piste alla cabina di commento?

«È stato abbastanza naturale: mi sono sempre occupata di comunicazione, e quando mi sono proposta, Eurosport ha voluto credere in me. Tra tutti i lavori televisivi che faccio, quello del commento tecnico è indubbiamente il più difficile. Ma io amo le sfide e, soprattutto, mi sembra ogni giorno di tornare in gara.»

Qual è stato il motivo che ti ha spinto, a soli 26 anni, ad appendere gli sci al chiodo?

«Il motivo è drammaticamente semplice: cinque ernie al disco. Ho sofferto moltissimo soprattutto negli ultimi due anni di carriera, tra il 2006 e il 2008, arrivando ad un punto in cui non riuscivo più a dare il massimo. Certo, avrei voluto continuare, soprattutto dopo la prima operazione, e ritornare a gareggiare in Coppa del Mondo, ma per competere ad un livello così alto bisogna sempre essere al top, e io non lo ero più.»

In quegli anni di carriera, c’è un momento particolare che ti va di ricordare?

«Ho davvero tanti ricordi, perché lo sci mi ha permesso di girare il mondo, di instaurare amicizie speciali: non mi viene in mente un momento particolare, forse perché preferisco ricordare tutti i miei dieci anni in nazionale come una delle esperienze più belle e soddisfacenti della mia vita.»

Il tuo giudizio sulla performance azzurra ai Mondiali di Garmisch-Partenkirchen?

«Che dire? Una perfomance davvero inaspettata, soprattutto considerando la prima parte della stagione. I ragazzi e le ragazze hanno dimostrato di riuscire ad entrare nella magica atmosfera mondiale quasi senza sentire la pressione e le attese, riuscendo a dare il massimo in ogni gara, con gli splendidi risultati che tutti sappiamo.»

Cosa ne pensi, da ex atleta, della diatriba in corso tra la FISI e lo staff tecnico, relativa soprattutto al direttore tecnico Claudio Ravetto?

«Mi sento di dire che la rovina dello sport è la politica, e sicuramente Claudio non è un politico: il suo lavoro, come quello di ogni bravo direttore tecnico, deve incentrarsi prevalentemente nel dare serenità e fiducia al gruppo di atleti e allo staff, e credo che in questo lui non abbia mai fallito. Mi auguro che alla fine si ascoltino i nostri sciatori e si decida tenendo conto della loro opinione.»

C’è un’atleta azzurra sulla quale punti particolarmente per il futuro?

«Ci sono delle giovani veramente interessanti, in primis Elena Curtoni e Federica Brignone, come si è visto anche ai Mondiali. Tuttavia, io non dimenticherei le più esperte, quelle leonesse che lottano sempre con gli acciacchi ma, quando sono in forma, rappresentano una garanzia. Mi riferisco in particolare a Manuela Moelgg, Daniela Merighetti e Denise Karbon. Anche le sorelle Fanchini sono dei talenti, hanno un piede d’oro e quindi delle straordinarie doti naturali, ma vengono spesso limitate dai problemi fisici.»

Oltre al commento delle gare, conduci anche delle trasmissioni culturali e sportive su radio e tv: come è nata questa attività?

«Diciamo che come conduttrice me la sono sempre cavata bene, e mi è sempre piaciuto farlo. Credo di avere un carattere molto solare, e soprattutto, davanti ad una telecamera riesco a dare davvero il meglio di me, cercando sempre una certa vena ironica e mettendo a frutto l’esperienza sportiva accumulata sulle piste da sci. Certo, l’aspetto fisico offre un bell’aiuto, ma da solo non basta assolutamente: dietro ad ogni trasmissione, ci sono una preparazione ed un lavoro lunghissimo.»

Ultima domanda: come si vede Claudia Morandini tra dieci anni?

«Mi vedo…realizzata, mamma e felice. Banale? Dai, ho ancora un po’ di tempo per essere egoista. Poi mi piacerebbe fare la mamma».

PASTA DEL CAPITANO

Nel cricket il capitano ha un’importanza maggiore rispetto ad ogni altro sport: è lui che nel corso della partita ha il compito di impostare la strategia di gioco, nonché di scegliere l’ordine dei suoi uomini in battuta e i turni dei lanciatori. E Alessandro Bonora non è da meno. Il batsman azzurro è nato a Bordighera, ma è cresciuto e vive in Sudafrica: è uno dei veterani di questa squadra, avendo fatto il proprio esordio in maglia azzurra nel 2000.

Alessandro, come giudichi il torneo dell’Italia?

«Siamo davvero molto contenti di come è andata. Certo, sarebbe stata una gran cosa per il cricket italiano se fossimo passati in Seconda Divisione. In realtà abbiamo persino avuto la possibilità di farlo, tuttavia fin dall’inizio c’eravamo detti che un’eventuale promozione sarebbe stata un extra, perché il nostro reale obiettivo era quello di rimanere in Terza Divisione, un risultato che in precedenza non era mai stato raggiunto nella storia del cricket italiano. Abbiamo anche accresciuto la nostra posizione nel ranking mondiale (24° posto): mai in passato erano stati raggiunti questi livelli. Per questo siamo veramente entusiasti del risultato e sentiamo di aver fatto un ulteriore passo in avanti nello sviluppo del cricket italiano».

Come giudichi dal punto di vista personale il tuo torneo?

«Sono molto soddisfatto delle mie prestazioni. Devo ammettere che mi ero caricato addosso troppa pressione per la voglia di migliorare le mie performance rispetto allo scorso agosto a Bologna. Sono davvero contento anche perché ho finalmente messo a segno un century (segnare più di 100 punti. 124 not out nello specifico, ndr) con la maglia dell’Italia: il mio primo dopo 12 anni di gioco».

Qual è stato il momento più bello del torneo?

«Sicuramente la vittoria contro gli Stati Uniti che ci ha garantito la salvezza in Terza Divisione. Eravamo molto tesi prima della partita e la pressione era altissima perché, di fatto, si trattava di una finale: chi vinceva era salvo, chi perdeva sarebbe retrocesso. Abbiamo sofferto molto contro Papua Nuova Guinea, Oman e Hong Kong, tre partite che potevamo vincere: per noi è stato molto difficile accettare il fatto di non averne vinta nemmeno una delle tre. L’aver tenuto testa agli Stati Uniti, una delle favorite del torneo nonché la squadra che ci aveva battuto ad agosto nella finale, è stato per noi motivo di grande orgoglio. Quella vittoria ha dimostrato che la nostra squadra ha testa e cuore e che negli ultimi due tre anni siamo riusciti a compiere un salto di qualità notevole».

Qual è stata la squadra più forte che avete affrontato?

«È difficile rispondere: tutte le squadre, come hanno dimostrato i risultati, si equivalevano. Secondo me, nel lancio e nel fielding Papua Nuova Guinea si è rivelata la più forte, ma in battuta abbiamo sofferto molto contro Oman e Hong Kong. Questi ultimi, soprattutto, hanno dimostrato una grande voglia di vincere».

Come hai trovato Hong Kong?

«Per me è stata un’esperienza bellissima e molto interessante. Nelle strade c’era moltissima gente, i grattacieli sembravano non finire mai. Inoltre ho incontrato suoni, colori e cibi che non avrei mai immaginato. I campi da cricket erano magnifici e siamo stati ospitati in maniera assai generosa. Siamo invece stati sorpresi dal clima: nessuno si aspettava che in Asia potesse essere così freddo. La prima sera, quindi, siamo stati costretti a correre ai ripari comprandoci delle giacche».

VIVE LA GRÈVE!

Incredibile in Francia: mancano gli arbitri e le squadre scioperano. Risultato: campionati fermi da un mese.

Probabilmente Nicolas Sarkozy ha avuto – ed avrà – ben altri scioperi di cui preoccuparsi, come quelli generali seguiti alla contestata riforma delle pensioni. Eppure anche nel mondo dello sport transalpino c’è chi ha deciso di incrociare le braccia, come i giocatori dei campionati maschili e femminili di pallanuoto, fermi da oltre un mese. E, soprattutto, senza uno spiraglio che faccia pensare ad un’immediata ripresa.

Tutto nasce da una serie di agitazioni interne al collegio arbitrale della FFN, la Federnuoto francese: da oltre un anno e mezzo i direttori di gara lamentano una serie di problematiche ed alla prima pagina dei loro cahiers de doléances figurano la drastica riduzione degli stipendi e dei rimborsi spesa (60 euro per pernottamento, trasporti e pasti). La FFN prova a risolvere la situazione istituendo una sorta di sotto-commissione degli arbitri, presieduta da una figura di tutto rispetto come Patrick Clémençon. Ma il caos non si placa: alcuni direttori di gara non si presentano agli incontri. Il regolamento prevede che le squadre provvedano a reperire i sostituti, da pescare però dalle categorie inferiori. E allora ecco che le società non ci stanno e decidono di scioperare.

“Un conflitto all’interno del collegio arbitrale della Federazione Francese  non consente che gli incontri dei più importanti campionati maschili e femminili possano avvenire in condizioni normali – scrive in una nota Marc Crousillat, presidente dell’ACWF, l’associazione dei club pallanotistici d’Oltralpe – così per motivi di sicurezza, ma anche di etica sportiva, il comitato della pallanuoto e la maggior parte delle società dei campionati di cui sopra (dieci su dieci in Élite, dieci su undici in N1 e sei in sette N1 femminile) ha preso, a malincuore, la decisione di interrompere il campionato fino a quando una non verrà trovata una soluzione”. Mai successo qualcosa di simile in uno sport che in Francia vanta una tradizione di lunghi anni. Anzi: qui la pallanuoto si pratica da oltre un secolo ed i transalpini, almeno agli albori dei Giochi Olimpici, erano una delle nazionali più agguerrite.

E così tutti i campionati nazionali sono fermi da esattamente un mese: è, infatti, a partire dallo scorso 22 gennaio che le società hanno scelto la linea dura. “In diverse occasioni – prosegue Crouisillat – l’ACWF ha chiesto al presidente della Federazione di organizzare una riunione d’emergenza per trovare una soluzione a questo conflitto che ha paralizzato l’intera disciplina. I nostri tre delegati, che rappresentano la voce di oltre l’80% della pallanuoto francese (11 000 affiliati), non hanno purtroppo ricevuto alcuna risposta positiva finora. La famiglia della pallanuoto sente poco il sostegno di una Federazione di cui ha fatto parte fin da subito e che ha ottenuto la sua prima medaglia d’oro olimpica nel 1924 a Parigi. Sabato 5 febbraio 2011 la Federazione non è stata in grado, per la seconda volta consecutiva, di garantire la presenza di quasi tutti gli arbitri per le partite. In queste condizioni, e per evitare il rischio di incidenti, i presidenti di club hanno preferito interrompere le gare”. Insomma, senza arbitri all’altezza della situazione, non si gioca.

Una possibile svolta potrebbe arrivare sabato, quando il presidente federale Francis Luyce incontrerà i presidenti dei club per trovare una via di uscita. E, intanto, sono stati coinvolti nella diatriba anche il Ministero dello Sport ed il Comitato Nazionale Olimpico francese. La speranza è che, una volta tanto, le sempre evocate tavole rotonde portino ad un risultato concreto. In caso contrario, l’ipotesi del ricorso alle vie legali è tutt’altro che remota. Con il rischio che, ancor prima che un vincitore della causa, ci sia un perdente già stabilito: la pallanuoto.