FRANCESCA E IL CRICKET IN ROSA

Strano a dirsi, ma in Italia esiste anche il cricket femminile: a svelarlo è Francesca Jayarajah.

Nessuno meglio di Francesca Jayarajah potrebbe parlare del cricket femminile in Italia. Francesca è il capitano del Capannelle Cricket Club, la storica società di Roma fondata dal padre Alfonso e dove gioca il fratello Leandro, che dal 2009 ha vinto entrambe le edizioni del campionato italiano femminile.

Come e quando hai cominciato a giocare a cricket?

«Ho passato la maggior parte delle domeniche della mia infanzia a bordo dei campi da cricket, giocando all’aria aperta mentre mio padre disputava le partite e mia madre si occupava della gestione del nostro club. Assieme agli altri bambini che frequentavano il campo e, naturalmente, con mio fratello ci divertivamo ad improvvisare delle piccole partite di cricket cercando di emulare i “grandi”. Tuttavia, solo dal 2009, ho praticato seriamente questa disciplina, allenandomi con costanza assieme alle mie compagne, in vista del campionato nazionale.»

Storicamente in Inghilterra il cricket è stato visto come un gioco prettamente maschile: in base alla tua esperienza come giudichi, invece, la situazione del cricket femminile qui in Italia?

«Più che di discriminazioni o di limitazioni, in Italia soffriamo di una scarsa diffusione di questo sport, pertanto le difficoltà maggiori che incontriamo sono proprio la mancanza di giocatrici e di occasioni di gioco. L’evoluzione del settore femminile nel nostro paese è stata a singhiozzo: sebbene ci siano stati club che hanno tentato fin dai primi anni novanta di avvicinare le donne al cricket, solo nel 2001 è stato organizzato il primo campionato femminile italiano. Si è trattato però di un esperimento momentaneo al quale hanno partecipato solo due squadre siciliane. Otto anni più tardi, forti anche della maggiore attenzione per il settore femminile a livello europeo e mondiale, è stata di nuovo tentata l’esperienza, con maggiore successo. Quest’anno sarà infatti disputato per il terzo anno consecutivo il campionato nazionale femminile sia a livello Under 13 che seniores.»

Oltre al campionato, che si gioca nell’arco di un weekend, quali sono le altre opportunità per le ragazze di giocare a cricket in Italia?

«Le ragazze fino ai 15 anni hanno la possibilità di giocare durante tutta la stagione disputando il campionato Under 15 open, aperto cioè ad entrambi i sessi, che si disputa su più giornate. L’attività delle ragazze sopra i 15 anni e delle adulte è invece principalmente incentrata su sessioni di allenamento di livello tecnico sempre maggiore o partite di allenamento con alcuni dei giocatori della squadra maschile. Purtroppo, infatti, l’enorme distanza che separa le attuali squadre femminili, nonché gli impegni lavorativi, rendono molto ardua l’organizzazione di partite amichevoli.»

Sei la capitana del Capannelle, la squadra che da due anni vince il campionato: il rapporto con le tue compagne?

«Quando abbiamo iniziato questa avventura insieme, la maggior parte di loro aveva una conoscenza molto basilare del cricket: avevano visto i loro mariti o fidanzati giocare oppure avevano avuto qualche timida esperienza di gioco a livello scolastico. L’approccio con le varie tecniche di gioco, il materiale nonché le dinamiche di squadre è stato senza dubbio un’esperienza completamente nuova e assai stimolante. Ciò che mi ha piacevolmente stupito di più è stata la loro voglia di mettersi in gioco, imparare e migliorarsi. Ci siamo allenante con una costanza e una serietà da far invidia ai nostri colleghi maschi e devo dire che il gruppo è davvero cresciuto a vista d’occhio. Il rapporto con loro è ottimo: cerchiamo di stimolarci a vicenda per migliorare e durante gli allenamenti non mancano le chiacchiere, le risate e le battute.»

Cosa consigli a una ragazza che si volesse avvicinare a questo sport?

«Deve semplicemente superare la timidezza iniziale, poiché non appena si partecipa al gioco, se ne è immediatamente coinvolti. Il cricket è infatti una continua sfida contro l’avversario ma anche contro se stessi, una sfida volta a raggiungere prestazioni sempre più elevate. Per giocare, inoltre, non basta forza e velocità bensì sono fondamentali anche concentrazione, precisione, riflessi pronti e capacità di strategia, tutte qualità nelle quali le donne possono eccellere.»

QUESTO COLLEGIALE NON S’HA DA FARE?

Polemiche per il raduno della nazionale femminile in Australia dal 13 al 23 febbraio, tra mancate comunicazioni ed esclusioni eccellenti.

Nove giorni di allenamenti in Australia, con almeno quattro sedute in palestra ed amichevoli contro la nazionale delle Stingers, giunta seconda all’ultima World League di La Jolla: sulla carta, un programma validissimo. Eppure il collegiale che il Setterosa sta sostenendo da domenica – e sosterrà, fino al 23 febbraio prossimo – a Perth ha creato non pochi malumori ancor prima che iniziasse.

Anzitutto, le dirette interessate – e cioè le squadre del campionato di serie A1 – non erano state preventivamente avvisate da chi di dovere. Nel senso che la notizia era nell’aria, ma alle rispettive sedi non era arrivata nessuna comunicazione ufficiale da Roma. E poi alcune società non avrebbero gradito la collocazione del collegiale in un periodo durante il quale si giocano le coppe europee, con conseguenze facilmente immaginabili per chi ambisce a fare più strada possibile. Si è così arrivati alla decisione, previo parere favorevole delle società stesse, di far slittare al 2 marzo la quinta giornata di ritorno, prevista, appunto, il 23 febbraio.

Oltre a modalità e tempi di comunicazione ed al periodo scelto, anche le convocazioni del ct Fabio Conti, subentrato lo scorso novembre al posto di Roberto Fiori, non hanno convinto  del tutto qualcuno: in particolare ha suscitato perplessità l’esclusione di Arianna Garibotti, 21 anni, una delle reduci del quarto posto agli Europei di Zagabria e, certamente, una delle speranze del futuro Setterosa. Assieme a lei, rispetto all’avventura continentale, non sono state confermate neppure Rosaria Aiello (21 anni pure lei), Federica Radicchi (22) e Federica Rocco mentre sono presenti alcune novità come Sara Dario e Martina Savioli del Plebiscito Padova, le fiorentine Allegra Lapi e Medea Verde, Eleonora Settonce della Rari Nantes Bologna, Francesca Pomeri dell’Imperia e Giulia Rambaldi del Rapallo. Ma Conti ha difeso le sue scelte, facendo appello al principio della sperimentazione di nuovi elementi, ed ha rivendicato la propria innocenza sulla mancata comunicazione alle società e sulla scelta del periodo. Ha, infine, dichiarato di aver preferito un collegiale più lungo a tanti miniraduni da due-tre giorni che avrebbero solamente complicato i programmi delle squadre.

Ma i dubbi maggiori riguardano l’aspetto economico della vicenda: anche alla luce delle spese che la Federnuoto dovrà sostenere per il nuovo allenatore di Federica Pellegrini, osserva qualcuno, era impossibile reperire un avversario in Europa e, dunque, a buon mercato? Pur non mettendo in discussione il valore tecnico delle Stingers, era proprio il caso di andare fino in Australia per effettuare un collegiale?

CHRISTOF INNERHOFER, ALFIERE D’ITALIA

Christof InnerhoferL’Italia festeggia quest’anno i suoi 150 anni di unità nazionale, un traguardo importante che rischia di non essere celebrato a dovere. Tutti i presupposti sembrano indicare l’ineluttabilità di un compleanno triste: il paese infatti vivacchia da quasi un anno sul filo di una crisi istituzionale, il Primo Ministro è sotto processo, il Ministro della Cultura, responsabile delle commemorazioni, ha rischiato di essere sfiduciato. All’interno del governo un partito che non riconosce l’idea stessa di Italia acquisisce di giorno in giorno un potere crescente e, dopo le esternazioni del presidente della Confindustria e del Ministro dell’Istruzione, la data del 17 marzo, che nel 1861 con la proclamazione del regno d’Italia suggellò l’unità nazionale, rischia di essere declassata da “festa nazionale” a semplice “solennità civile”. Tempi duri, insomma, per il nazionalismo italiano.

Come spesso accade quando la politica si dimostra assente o inadeguata, sono le forze culturali e la società civile a farne le veci. In questo senso lo sport rappresenta un vettore dell’identità nazionale italiana molto importante e troppo spesso sottovalutato. Senza voler scomodare i successi ai mondiali di calcio o la leggenda secondo cui la vittoria di Gino Bartali al Tour de France del 1948 salvò l’Italia dalla guerra civile, è abbastanza evidente che, proprio in virtù della debolezza di simboli istituzionali identitari condivisi, il rapporto fra sport e nazione nel nostro paese è sempre stato molto forte.

Una conferma della continuità di questo legame ci è arrivata proprio in questi giorni. La scorsa settimana il presidente della provincia autonoma di Bolzano e leader del partito Südtiroler Volkspartei Luis Durnwalder ha dichiarato che il suo partito e la sua provincia, in quanto minoranza austriaca che non ha scelto di vivere in Italia ma vi è stata costretta, non prenderanno parte alle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ovviamente la presa di posizione del presidente della provincia autonoma di Bolzano ha suscitato critiche e ha costretto il Presidente della Repubblica Napolitano a intervenire per ricordare a Durnwalder il suo dovere di rappresentare non solo una “pretesa minoranza austriaca” ma anche quelle italiane e ladine presenti nel territorio. La migliore risposta alle polemiche è però arrivata da Garmisch-Partenkirchen, dove si stanno svolgendo i Campionati Mondiali di Sci Alpino, grazie a Christof Innerhofer, uno sciatore altoatesino nato a Brunico (Bruneck) il 17 dicembre di 26 anni fa, che, tra super gigante, discesa libera e supercombinata, ha portato a casa tre medaglie: una d’oro, una d’argento e una di bronzo.

Christof non ha fatto proclami né dichiarazioni politiche, ma ha semplicemente sciato alla grande e vinto. Così facendo ha fatto esplodere di gioia centinaia di migliaia di tifosi italiani e sudtirolesi, gettando invece nello sconforto quelli austriaci e nord tirolesi che, senza le strepitose prestazioni dello sciatore azzurro, avrebbero potuto aggiungere al palmares un oro e due bronzi. Inconsapevolmente, a pochi giorni dallo scontro verbale tra Durnwalder e Napolitano, Christof ha saputo più di chiunque altro ricucire lo strappo del presidente della provincia autonoma di Bolzano rendendo, per lo meno in campo sportivo, l’Italia orgogliosa dell’Alto Adige e l’Alto Adige orgogliosa dell’Italia.

Articolo scritto per www.pianeta-sport.net e riproposto su www.thepostinternazionale.it

UN AZZURRO … DI QUALITA’

Quali sono le soluzioni tattiche a disposizione di Cesare Prandelli e della sua Nazionale per piedi buoni?

Cesare PrandelliPartiamo da un presupposto: mercoledì sera non ho potuto guardare la partita, avendo altri impegni. Né, nei giorni successivi, ho avuto modo di recuperarla altrove. Il tempo è tiranno! Ovviamente sto parlando del confronto tra Germania ed Italia, con cui la simpatica Federcalcio tedesca pare volesse prendersi una piccola rivincita dopo l’eliminazione nella famosa semifinale Mondiale del 2006. Detto ciò, quindi, non mi soffermerò certo sul match in sé, ma credo che un focus generale sul futuro della nostra nazionale sia d’uopo.

L’idea mi è venuta nell’ascoltare la conferenza pre-partita di Prandelli, che nel rispondere alle varie domande dei giornalisti – in particolare a quelle relative alla prima convocazione dell’oriundo Motta – ha parlato delle sue idee relative alla qualità del gioco che dovrà esprimere la sua squadra.
Qualità che dovrà in special modo essere fornita dal centrocampo, che, nell’idea del mister di Orzinuovi, dovrà essere imperniato su giocatori più capaci di trattare il pallone che non dai polmoni d’acciaio (ma dalle scarse abilità tecniche).

Le uniche vie percorribili, tatticamente parlando, vanno tutte in una sola direzione: squadra stretta, scambi rapidi e penetrazioni centrali. Perché il nostro Commissario Tecnico è stato chiaro, ma del resto non serviva nemmeno il suo intervento in questo senso: il campionato italiano oggi non esprime esterni nostrani di qualità ed è quindi impensabile che la nostra nazionale, per tornare ad alto livello nel breve periodo, possa impostarsi proprio in quest’ottica. Per intenderci, quindi, questa è un po’ una bocciatura a tutti quei moduli, come il 4-4-2 classico per dirne uno, che fanno del gioco e delle sovrapposizioni sulle fasce il proprio punto di forza. Non avendo esterni di valore assoluto, infatti, bisogna trovare delle alternative valide.

Settimana scorsa parlai di come Didier Deschamps si trovi ad un bivio, con il suo OM: l’ex tecnico juventino dovrebbe infatti decidere, per provare a ravvivare le sorti della sua squadra, se continuare con l’uso dell’attuale 4-3-3 o passare ad un 4-3-1-2 diversamente bilanciato. Allo stesso modo oggi Prandelli credo si trovi di fronte ad un bivio molto simile: 4-3-2-1 (leggibile anche come 4-3-3, del resto) o 4-3-1-2? La mancanza di esterni puri consiglia infatti di schierare un centrocampo a tre a supporto di un attacco variamente composto. E qui i discorsi si intrecciano.

Ma prima di parlare di centrocampo ed attacco in senso stretto facciamo una piccola digressione parlando di atteggiamento generale di una squadra. Perché da quando seguo la nazionale (1994, questione puramente anagrafica) raramente ho visto gli Azzurri scendere in campo per imporre il proprio gioco come solitamente fanno Spagna e Brasile, per restare in tema di nazionali, o il super Barcellona di Guardiola, per venire ad un club. Solitamente, infatti, le fortune della nostra rappresentativa maggiore si sono costruite più sull’attendismo, su di una impostazione tattica molto prudente ed atta alla ripartenza, che sull’imposizione del proprio gioco. Il tutto però è stato spesso possibile anche grazie alla presenza di veri e proprio Campioni là davanti, in grado di dare qualità alla manovra o finalizzare con estrema efficacia. Campioni che oggi sembrano scarseggiare abbastanza: i vari Gilardino, Cassano, Pazzini e compagni non sono infatti minimamente all’altezza dei Baggio, Vieri, Del Piero e Totti del passato. In una situazione del genere, quindi, si deve andare a maggior ragione alla ricerca di un gioco di squadra che sia quanto più qualitativo possibile nella sua globalità, proprio per colmare la mancanza di veri e propri trascinatori capaci di nascondere le falle del collettivo nel suo intero. Detto ciò, quindi, in cosa consiste il dilemma che si dovrebbe porre Prandelli?

Il discorso concernente il centrocampo varia relativamente rispetto alla scelta tattica in sé. Perché qualsiasi sia l’intenzione rispetto all’attacco da schierare (due mezze punte ed una punta, una mezza punta dietro ad una seconda punta di fantasia e movimento ed un puntero o un trequartista alle spalle di due punte pure) è abbastanza palese come in mezzo al campo dovranno essere schierati tre giocatori che formino una cerniera capace di cucire il gioco quanto di fare da frangiflutti davanti alla difesa. In questo senso quindi Prandelli dovrà decidere, di volta in volta, se sarà meglio schierare un regista puro centrale (alla Pirlo, per intenderci), con al fianco due mezze ali più o meno dedite alla fase offensiva o difensiva, a seconda della necessità. Oppure se piazzarci un mediano ben strutturato fisicamente (come lo stesso Motta, appunto) ma comunque dai piedi sensibili con due mezze ali ai propri fianchi che, anche qui, possano completare il reparto a seconda delle evenienze. Ciò che è certo è che se davvero Prandelli vorrà dare più qualità al gioco di questa squadra dovrà affidarsi a giocatori tecnicamente capaci. Gattuso, anche ai livelli del 2006, farebbe quindi probabilmente fatica a trovare spazio. Le alternative certo non mancano. Il problema vero è capire se questi giocatori sapranno finalmente raggiungere uno status di giocatori di livello mondiale, cosa che si addice a chi si disimpegna da titolare in una squadra quattro volte campionessa iridata. I vari Pirlo, Motta, Montolivo, De Rossi, Marchisio, Aquilani e compagnia compongono comunque un reparto sulla carta sicuramente interessante e più che discreto tecnicamente. Base interessante da cui partire in un’ottica come quella lasciata intendere dal tecnico di Orzinuovi.

I dubbi maggiori sono quindi legati a chi dovrà giocare dalla cintola in su.
Volendo, infatti, il nostro Commissario Tecnico potrebbe ad esempio decidere di schierare una sola punta di ruolo supportata da due giocatori di fantasia che andrebbero etichettati come seconde punte, rendendo quindi quello Azzurro una sorta di attacco a tre a tutti gli effetti, che potrebbero però anche essere letto come una sorta di albero di Natale con due giocatori in appoggio dell’unica punta. Oppure, come dicevo in precedenza, potrebbe decidere di schierare un centrocampista con doti e propensione da trequartista (come il succitato Aquilani stesso, che potrebbe tranquillamente giocare in quel ruolo) dietro a due attaccanti, per un modulo sulla carta più equilibrato. Anche in attacco, comunque, le alternative non mancano. Il problema principale è che manca, come detto, il Campione vero, in grado di cambiare il match a proprio piacimento. Nel contempo, però, con a disposizione Pazzini, Cassano, Matri, Gilardino, Borriello, Rossi, Balotelli e compagnia le alternative non mancano, e non sono nemmeno di così scarso valore.

I presupposti per fare bene ci sono di certo. Vincere è sempre difficile, ma ben figurare è sicuramente possibile.

PARIGI E ROLAND GARROS: LA STORIA CONTINUA

Dopo un anno di incertezza, la Federazione tennistica francese ha deciso: la sede del Roland Garros sarà Parigi anche dopo il 2016.

Roland Garros 1928Il Roland Garros dovrebbe restare a Parigi. Tra le sue mura si può respirare la storia del tennis. È importantissimo; e se ci si dovesse trasferire, anche in una struttura più grande, perderemmo tutti una parte della nostra anima” (Rafael Nadal)

Dei quattro complessi del Grande Slam, il Roland Garros è da molto tempo il più piccolo. Dopo che tra gli anni settanta e ottanta gli Open degli Stati Uniti e di Australia sono stati trasferiti in strutture più periferiche e decisamente più imponenti, e dopo i più recenti ampliamenti del complesso di Wimbledon, da più parti si era chiesto un adeguamento anche per il Roland Garros.

Effettivamente, con i suoi 8,5 ettari di superficie, il complesso parigino appariva quasi lillipuziano, se confrontato con i 14 ettari di Flushing Meadows e i 19 di Wimbledon e del Melbourne Park. I campi francesi dalla terra rossa richiedevano una ristrutturazione; e per questo, già nel 2008 il comune di Parigi, in quanto proprietario dell’area, aveva lanciato una gara per il progetto di ampliamento, ottemperando alla richiesta della Federtennis francese, alla disperata ricerca della grandeur perduta.

Ma all’inizio del 2010, la federazione prese la decisione di vagliare altre ipotesi, preoccupata dai tentennamenti del sindaco di Parigi, il socialista Bertrand Delanoë, stretto tra la pressione degli alleati ecologisti e quella dei comitati dei residenti del quartiere adiacente di Porte d’Auteuil, contrari alla imminente cementificazione, e soprattutto alla distruzione di una serra storica alla fine dei lavori.

Era stato quindi deciso di opporre tre ipotesi alternative a Parigi: Versailles, Gonesse, e la sede di Eurodisney, Marne la Vallée. Tutte erano meno suggestive dal punto di vista della memoria sportiva, ma presentavano progetti d’avanguardia architettonica, tali da farle diventare potenzialmente i complessi tennistici più grandi al mondo.

Dopo che alcuni grandi tennisti del momento, tra i quali Roger Federer e Rafael Nadal si erano schierati con decisione per il mantenimento del Roland Garros nella sede attuale, ieri la Federtennis francese ha riunito i suoi 195 membri per prendere una decisione definitiva. E con una maggioranza superiore ai 2/3, come richiesto dal regolamento, ha scelto di far prevalere la storia e la tradizione di Parigi su tutte le altre concorrenti.

E la storia del complesso del Roland Garros risale al 1927, quando venne decisa la costruzione di un moderno impianto tennistico, come degna cornice per la finale di Coppa Davis tra gli USA e la Francia, rappresentata a quell’epoca da un quartetto, soprannominato I quattro moschettieri: Jacques Brugnon, Jean Borotra, Henri Cochet e René Lacoste. Il nuovo stadio avrebbe preso il posto dello Stade Francais, a condizione che venisse intitolato ad uno dei membri del suo sport club; e per questo gli venne dato il nome di Roland Garros, un aviatore precursore di Charles Lindberg, detto anche “L’uomo che bacia le nuvole”, e morto sul campo poco prima della fine della Grande Guerra, anche se appassionato più al rugby che al tennis. Lo stadio, che durante l’occupazione nazista fu tristemente utilizzato come campo di concentramento per detenuti politici ed ebrei, venne ampliato più volte, ed affiancato tra il 1980 e il 1994 da due nuovi di capienza inferiore.

La delibera della federazione ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla maggior parte degli appassionati di tennis francesi, compreso il sindaco Delanoë, terrorizzato dall’idea di perdere anche gli internazionali di Francia, dopo la sconfitta per la sede delle olimpiadi 2012 a favore di Londra. Le polemiche però non sono mancate ugualmente, e i verdi e il comitato di quartiere di Porte d’Auteuil hanno preannunciato una battaglia legale contro i lavori di ampliamento del complesso, che porteranno la superficie a 13,5 ettari, compreso un nuovo stadio da 5.000 posti, proprio la dove sorge la vecchia serra.

Questi lavori graveranno sul bilancio parigino per un budget di circa 250 milioni di euro, da ribaltarsi comunque interamente alla Federtennis, per terminare nel 2016, quando sarà inaugurato il nuovo Roland Garros in versione allargata, con una capacità di 55.000 spettatori complessivi, al posto dei 35.000 attuali, e con una copertura rimovibile elettronicamente, sul modello di quella già in uso al campo centrale di Wimbledon.