La vittoria dell’azzurro Christof Innerhofer nel supergigante mondiale di Garmisch ha riportato alla memoria degli appassionati di sci alpino il trionfo iridato di Patrick Staudacher, avvenuto sulle nevi svedesi di Aare quattro anni fa esattamente nella stessa disciplina: oltretutto, questo oro datato 2007 era anche l’ultimo conquistato da un atleta italiano nella rassegna iridata, prima del gran giorno di Innerhofer.
Questi due ragazzi, al pari di Peter Fill e Werner Heel, costituiscono il “nucleo storico” delle squadre italiane per le discipline veloci, al quale si sta affiancando a suon di ottimi risultati un bel gruppo di giovani promettenti, come Dominik Paris, Siegmar Klotz e Matteo Marsaglia. Accumunati dal successo mondiale, Innerhofer e Staudacher hanno vissuto però due storie diverse: se infatti Christof era comunque dato tra i favoriti per il supergigante di martedì scorso, la vittoria di Patrick ad Aare fu una sorpresa assoluta per moltissime persone, e per questo motivo vale la pena di riviverla e di sapere qualcosa di più su questo ragazzo.
Patrick Staudacher nasce il 29 aprile 1980 a Vipiteno, figlio di Hermann e Waltraud Gogl, entrambi gestori, nella migliore tradizione altoatesina, di un’incantevole malga: la famiglia vive nel comune di Brennero, più precisamente in località Colle Isarco, nel cuore della stretta e spettacolare Val di Fleres. Proprio in questa valle, nel comprensorio di Ladurns, Patrick mette gli sci ai piedi sin dalla tenera età, incoraggiato dai genitori. Inizialmente il ragazzo si concentra sulle discipline tecniche, tanto da vincere un buon numero di gare nazionali juniores in slalom e gigante: tuttavia, una lesione subita al ginocchio lo costringe a dirottarsi sulle prove veloci, nelle quali è sostenuto anche da un fisico possente (190 cm x 94 kg) che è una caratteristica importante per ogni buon discesista. Ma lo sci non è tutto per “Staudi”, come verrà ribattezzato dai tifosi: completa comunque il ciclo di studi con la scuola superiore dello sport a Malles Venosta, segue e pratica con passione molti altri sport, in particolare il ciclismo, e si dedica con gli amici di sempre al gruppo musicale Stanton, simbolo dell’allegria alpina. Il suo destino comunque è sulla neve, e il suo idolo è il norvegese Lasse Kjus, tanto da chiamare il suo cane Lasse proprio in onore del campione nordico: nonostante qualche infortunio di troppo, nel dicembre 2000 arriva la chiamata per la Coppa del Mondo, col debutto nella discesa libera di Val d’Isere. Sebbene abbia poca esperienza nel massimo circuito, i tecnici italiani, convinti delle sue doti, lo inseriscono nella squadra partecipante ai Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City 2002: 18° in supergigante, Staudacher dà un primo assaggio del suo talento al grande pubblico durante la combinata, col terzo tempo di discesa e un settimo posto complessivo che lascia una buona soddisfazione. Stagione dopo stagione, arrivano i primi buoni risultati anche in gare di Coppa del Mondo, visto che, soprattutto nelle prove veloci, l’esperienza e la conoscenza delle piste sono quanto mai fondamentali per ambire a risultati di un certo livello. Ma Staudi riesce ad esprimere le sue doti solamente a sprazzi, perché, oltre ai soliti problemi alle ginocchia cristalline, è condizionato da un cheratocono all’occhio destro che gli impedisce di vedere perfettamente, e per il quale, per lunghi anni, non riesce a trovare un rimedio definitivo, fino alla coraggiosa decisione del trapianto di cornea avvenuto all’ospedale Maggiore di Bologna nella primavera 2005. Da lì, per questo forte ragazzo di Colle Isarco, iniziano le gioie agonistiche: i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo diventano gradualmente regolari, sempre a ridosso nei primi dieci con qualche puntatina tra i migliori; spicca il quinto posto nella discesa di Bormio (dicembre 2006) che gli vale il pass per il Campionato del Mondo di Aare. Tuttavia Patrick a quei mondiali rischia di non andarci, visto che una decina di giorni prima della rassegna iridata cade in allenamento al Passo San Pellegrino con qualche danno al già martoriato ginocchio sinistro: medici, fisioterapisti e chiropratici della nazionale lo rimettono in sesto a tempo di record, così, il 6 febbraio 2007, Staudacher si presenta al via del supergigante mondiale col pettorale numero 12. Le condizioni meteo sono state molto variabili nei giorni antecedenti la gara, costringendo gli organizzatori a rinviarla ripetutamente, e l’atleta, su consiglio del suo skiman Thomas Tuti, adotta degli sci morbidi sui quali bisogna essere assolutamente perfetti per ottenere la massima efficacia. Molti conoscono il suo talento, ma quasi nessuno si aspetta l’impresa. In quel minuto e 14 secondi di gara Patrick è perfetto: porta dopo porta, disegna una traiettoria inimitabile, e la morbidezza con cui affronta le curve è da manuale dello sci. Chiude davanti, nettamente primo, con i migliori che devono ancora scendere, ma a casa i suoi familiari fiutano già l’odore della storia. Scendono i più grandi, ma nessuno riesce ad avvicinare Staudi: il più vicino è l’esperto e vincente Fritz Strobl che chiude secondo a 32/100, con l’elvetico Kernen terzo a 62/100. L’impresa è fatta: dieci anni dopo i fasti di quella squadra d’oro composta da Tomba, dalla Compagnoni e dalla Kostner, cinquantasette anni dopo il trionfo mondiale della leggenda Zeno Colò, ultimo azzurro a vincere nelle prove veloci, Patrick Staudacher è campione del mondo. A Colle Isarco si scatena la festa, con la baita di famiglia inondata da amici, conoscenti e giornalisti: tutto il paese dà il giusto tributo a questo grande e sorprendente campione. Patrick, ragazzo di montagna, non si monta la testa: continua a lavorare con la consueta umiltà, e ad ottenere risultati brillanti in Coppa del Mondo anche nelle stagioni successive, come il podio nella discesa di Val Gardena nello scorso inverno. Certo, forse Patrick non ha più sentito quelle sensazioni di gloria di quel giorno di febbraio ad Aare che lo avevano portato, la sera prima, a mimare davanti allo specchio i festeggiamenti del podio, quasi fosse certo che nulla gli avrebbe potuto togliere un clamoroso successo: ma “campione del mondo” è un’etichetta che resta per tutta la vita, indipendentemente dai risultati, dalla sfortuna o dalle altre circostanze che hanno impedito di ripetere quei fasti.