IL MONDIALE DI GLORIA DI PATRICK STAUDACHER

La vittoria dell’azzurro Christof Innerhofer nel supergigante mondiale di Garmisch ha riportato alla memoria degli appassionati di sci alpino il trionfo iridato di Patrick Staudacher, avvenuto sulle nevi svedesi di Aare quattro anni fa esattamente nella stessa disciplina: oltretutto, questo oro datato 2007 era anche l’ultimo conquistato da un atleta italiano nella rassegna iridata, prima del gran giorno di Innerhofer.

Questi due ragazzi, al pari di Peter Fill e Werner Heel, costituiscono il “nucleo storico” delle squadre italiane per le discipline veloci, al quale si sta affiancando a suon di ottimi risultati un bel gruppo di giovani promettenti, come Dominik Paris, Siegmar Klotz e Matteo Marsaglia. Accumunati dal successo mondiale, Innerhofer e Staudacher hanno vissuto però due storie diverse: se infatti Christof era comunque dato tra i favoriti per il supergigante di martedì scorso, la vittoria di Patrick ad Aare fu una sorpresa assoluta per moltissime persone, e per questo motivo vale la pena di riviverla e di sapere qualcosa di più su questo ragazzo.

Patrick Staudacher nasce il 29 aprile 1980 a Vipiteno, figlio di Hermann e Waltraud Gogl, entrambi gestori, nella migliore tradizione altoatesina, di un’incantevole malga: la famiglia vive nel comune di Brennero, più precisamente in località Colle Isarco, nel cuore della stretta e spettacolare Val di Fleres. Proprio in questa valle, nel comprensorio di Ladurns, Patrick mette gli sci ai piedi sin dalla tenera età, incoraggiato dai genitori. Inizialmente il ragazzo si concentra sulle discipline tecniche, tanto da vincere un buon numero di gare nazionali juniores in slalom e gigante: tuttavia, una lesione subita al ginocchio lo costringe a dirottarsi sulle prove veloci, nelle quali è sostenuto anche da un fisico possente (190 cm x 94 kg) che è una caratteristica importante per ogni buon discesista. Ma lo sci non è tutto per “Staudi”, come verrà ribattezzato dai tifosi: completa comunque il ciclo di studi con la scuola superiore dello sport a Malles Venosta, segue e pratica con passione molti altri sport, in particolare il ciclismo, e si dedica con gli amici di sempre al gruppo musicale Stanton, simbolo dell’allegria alpina. Il suo destino comunque è sulla neve, e il suo idolo è il norvegese Lasse Kjus, tanto da chiamare il suo cane Lasse proprio in onore del campione nordico: nonostante qualche infortunio di troppo, nel dicembre 2000 arriva la chiamata per la Coppa del Mondo, col debutto nella discesa libera di Val d’Isere. Sebbene abbia poca esperienza nel massimo circuito, i tecnici italiani, convinti delle sue doti, lo inseriscono nella squadra partecipante ai Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City 2002: 18° in supergigante, Staudacher dà un primo assaggio del suo talento al grande pubblico durante la combinata, col terzo tempo di discesa e un settimo posto complessivo che lascia una buona soddisfazione. Stagione dopo stagione, arrivano i primi buoni risultati anche in gare di Coppa del Mondo, visto che, soprattutto nelle prove veloci, l’esperienza e la conoscenza delle piste sono quanto mai fondamentali per ambire a risultati di un certo livello. Ma Staudi riesce ad esprimere le sue doti solamente a sprazzi, perché, oltre ai soliti problemi alle ginocchia cristalline, è condizionato da un cheratocono all’occhio destro che gli impedisce di vedere perfettamente, e per il quale, per lunghi anni, non riesce a trovare un rimedio definitivo, fino alla coraggiosa decisione del trapianto di cornea avvenuto all’ospedale Maggiore di Bologna nella primavera 2005. Da lì, per questo forte ragazzo di Colle Isarco, iniziano le gioie agonistiche: i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo diventano gradualmente regolari, sempre a ridosso nei primi dieci con qualche puntatina tra i migliori; spicca il quinto posto nella discesa di Bormio (dicembre 2006) che gli vale il pass per il Campionato del Mondo di Aare. Tuttavia Patrick a quei mondiali rischia di non andarci, visto che una decina di giorni prima della rassegna iridata cade in allenamento al Passo San Pellegrino con qualche danno al già martoriato ginocchio sinistro: medici, fisioterapisti e chiropratici della nazionale lo rimettono in sesto a tempo di record, così, il 6 febbraio 2007, Staudacher si presenta al via del supergigante mondiale col pettorale numero 12. Le condizioni meteo sono state molto variabili nei giorni antecedenti la gara, costringendo gli organizzatori a rinviarla ripetutamente, e l’atleta, su consiglio del suo skiman Thomas Tuti, adotta degli sci morbidi sui quali bisogna essere assolutamente perfetti per ottenere la massima efficacia. Molti conoscono il suo talento, ma quasi nessuno si aspetta l’impresa. In quel minuto e 14 secondi di gara Patrick è perfetto: porta dopo porta, disegna una traiettoria inimitabile, e la morbidezza con cui affronta le curve è da manuale dello sci. Chiude davanti, nettamente primo, con i migliori che devono ancora scendere, ma a casa i suoi familiari fiutano già l’odore della storia. Scendono i più grandi, ma nessuno riesce ad avvicinare Staudi: il più vicino è l’esperto e vincente Fritz Strobl che chiude secondo a 32/100, con l’elvetico Kernen terzo a 62/100. L’impresa è fatta: dieci anni dopo i fasti di quella squadra d’oro composta da Tomba, dalla Compagnoni e dalla Kostner, cinquantasette anni dopo il trionfo mondiale della leggenda Zeno Colò, ultimo azzurro a vincere nelle prove veloci, Patrick Staudacher è campione del mondo. A Colle Isarco si scatena la festa, con la baita di famiglia inondata da amici, conoscenti e giornalisti: tutto il paese dà il giusto tributo a questo grande e sorprendente campione. Patrick, ragazzo di montagna, non si monta la testa: continua a lavorare con la consueta umiltà, e ad ottenere risultati brillanti in Coppa del Mondo anche nelle stagioni successive, come il podio nella discesa di Val Gardena nello scorso inverno. Certo, forse Patrick non ha più sentito quelle sensazioni di gloria di quel giorno di febbraio ad Aare che lo avevano portato, la sera prima, a mimare davanti allo specchio i festeggiamenti del podio, quasi fosse certo che nulla gli avrebbe potuto togliere un clamoroso successo: ma “campione del mondo” è un’etichetta che resta per tutta la vita, indipendentemente dai risultati, dalla sfortuna o dalle altre circostanze che hanno impedito di ripetere quei fasti.

WORLD CRICKET LEAGUE…E ADESSO?

In sei mesi l’Italia del cricket ha ottenuto dei risultati straordinari e superiori a ogni aspettativa. Nell’agosto del 2010 il nostro paese è stato uno dei primi a organizzare un torneo internazionale fuori dall’area del Commonwealth. I quattro campi costruiti o risistemati nella provincia di Bologna costituiranno nei prossimi anni un’ottima eredità per future competizioni di qualsiasi livello. Ai successi organizzativi si sono aggiunti quelli sportivi. L’allenatore Joe Scuderi e il direttore generale Luca Bruno sono riusciti a costruire un gruppo particolarmente competitivo trovando la giusta alchimia fra giocatori provenienti dal nostro campionato, italiani all’estero e i ragazzi che dopo essere cresciuti a livello giovanile sono oggi maturi per la nazionale. Nel torneo casalingo di Bologna, nell’agosto del 2010, l’Italia ha centrato un’inattesa promozione ai danni del più quotato Nepal, mentre nel gennaio del 2011 a Hong Kong gli azzurri sono riusciti a difendere l’acquisita promozione.

La World Cricket League è un torneo dalla formula complessa. Vi partecipano quasi tutti i paesi al mondo dotati di una nazionale di cricket con l’eccezione delle dieci nazioni più forti al mondo, già qualificate di diritto ai quadriennali Mondiali di Cricket. Benché il dichiarato obiettivo della World Cricket League sia quello di sviluppare in tutto il mondo il gioco del cricket, dal punto di vista sportivo il suo fine ultimo è quello di assegnare quattro posti per partecipare ai Mondiali. Nella scorsa edizione, quella che si disputò dal 2007 al 2009 Irlanda, Canada, Olanda e Kenya sono riusciti ad ottenere il pass per i Mondiali che dal 18 febbraio a 2 marzo si disputeranno in India, Sri Lanka e Bangladesh. La corsa ai Mondiali del 2015 è invece ancora apertissima e si concluderà solo nel lontano 2013. L’Italia è virtualmente ancora in corsa ma né nel 2011 né nel 2012 dovrà disputare altri tornei.

La terza divisione infatti sarà la penultima competizione della World Cricket League e si disputerà, con data e luogo da destinarsi, nei primi mesi del 2013. Se l’Italia si piazzasse ai primi due posti, potrebbe accedere al ICC World Cup Qualifier, un torneo in cui 12 squadre si contenderanno i quatto posti per il Mondiale che si disputerà nel 2015 in Australia  e Nuova Zelanda.

Sognare non costa nulla anche se un simile risultato sembra davvero fuori portata per il movimento del cricket italiano che, per quanto cresca annualmente a ritmi vertiginosi, è sostanzialmente privo di una visibilità mediatica necessaria ad attrarre quelle sponsorizzazioni necessarie per potenziare l’intero movimento. In attesa di riprendere la World Cricket League nel 2013 la nazionale italiana, autentica trascinatrice dell’intero movimento, potrà concentrarsi quest’estate sulle sfide europee dove andrà riconfermata e difesa la propria posizione nei confronti della Danimarca.

BIANCO, ROSSO E RECESSIONE

Dopo gli uomini, anche l’Olympiakos di pallanuoto femminile viene duramente colpito dalla crisi. Eppure la squadra continua a vincere.

Non c’è proprio pace dalle parti del Pireo. E non solo per gli scioperi che, negli ultimi mesi, hanno visto coinvolti i lavoratori portuali. Per la sezione di pallanuoto dell’Olympiakos sembra proprio questo l’annus horribilis: dopo la crisi che colpisce la squadra maschile, adesso, è la volta di quella femminile, altro vanto della polisportiva greca.

Sulla falsa riga di quanto fatto da Nikos Deligiannis e compagni, anche la squadra allenata da Theokratis Pavlides ha denunciato la situazione di stallo scrivendo una lettera aperta. In particolare, dal testo emerge che da cinque mesi le giocatrici non percepiscono il loro stipendio – non superiore, peraltro, ai 700 euro mensili. E non tutte possono permettersi simili chiari di luna: ci sono due straniere, l’americana Craig e l’olandese van Belkum. Soprattutto, c’è una larga schiera di ragazze proveniente dalle zone rurali del paese e che, dunque, deve mantenersi in qualche modo ad Atene tra affitto e bollette, alla stregua di studenti universitari.

Nonostante questo, l’Oympiakos viaggia a vele spiegate (anzi, nell’ultimo turno ha rifilato un sonoro 22-0 alla malcapitata formazione del Rethimno): in campionato è primo in classifica, imbattuto dopo aver pareggiato nello scontro al vertice con le campionesse nazionali – ed europee – del Vouliagmeni; in Coppa dei Campioni le biancorosse hanno superato agevolmente lo scoglio del turno preliminare battendo sia l’Olympic Nizza, sia le temute russe dello Šturm Čehov. Anche le ragazze, al pari della squadra maschile, stanno dunque dimostrando grande professionalità, dando il massimo in ogni partita a dispetto del mancato pagamento delle mensilità.

Eppure, nel buio generale, inizia a filtrare un fascio di luce. Due giorni fa, al ristorante “Mare Marina” di Flisvos Marina, una delle tante spiagge ateniesi, è stata organizzata una serata per raccogliere fondi che, in qualche modo, rimborsassero parzialmente alle pallanotiste il denaro pattuito: ampia la partecipazione di pubblico, tra tifosi sconosciuti ed illustri, vedi Vassilis Mihaloliakos, sindaco del Pireo che dieci anni fa rimase ferito in un attentato dinamitardo, l’ex giocatore di basket Giorgios Sigalas, il velista Emilios Papathanasiou ed il popolare dj Nikos Vourliotis detto “NiVo”. A fine serata l’incasso è stato di 500 euro: poca cosa, ma almeno si smuovono le acque.

Acque, invece, procellose nella squadra maschile: dopo aver ottenuto la centesima vittoria consecutiva nella regular season della Alpha 1 Ethniki, battendo il Larissa, e dopo aver chiuso battendo il Barceloneta la disastrosa campagna d’Eurolega, i giocatori hanno detto basta. La loro pazienza ha raggiunto un limite. E così, nell’ultimo incontro di campionato, è scesa in acqua una squadra di soli ragazzini – appena 18 anni l’età del più “vecchio” – che ha perso 16-3 contro il Vouliagmeni: è la prima sconfitta in campionato dopo una striscia di 126 risultati utili consecutivi (l’ultimo ko risaliva al 26 febbraio 2005). E, con i veterani restii a tornare indietro sui propri passi, pare proprio che l’Olympiakos sarà costretto ad abdicare, per questa stagione. Per la serie: la caduta degli dei.

IL COMMODORO BAINIMARAMA, GOLPISTA OVALE

Uno scandalo di corruzione e una crisi politica stanno mettendo a rischio la partecipazione alla Coppa del Mondo di rugby di Namibia e Figi.

Si incontreranno il 10 settembre, a Rotorua, in quella che sarà la terza partita della Coppa del Mondo di rugby 2011 in Nuova Zelanda. Si tratta delle nazionali di rugby di Figi e Namibia che, dopo l’incontro di Rotorua, dovranno affrontare nel girone D anche Samoa, Galles e i campioni uscenti del Sudafrica. Figi e Namibia, però, rischiano di vedere la propria partecipazione saltare nei prossimi mesi.

La Namibia, nonostante le difficoltà e la acuìta concorrenza continentale, è riuscita a qualificarsi per la quarta volta consecutiva al Mondiale superando le insidie poste da Tunisia e Costa d’Avorio. La Namibian Rugby Union però, secondo quanto riportano Planet Rugby e Rugby Week, sarebbe accusata di forte corruzione al suo interno e di non pagare i propri giocatori. Accuse che hanno portato in dicembre alla sospensione del dirigente federale Sakkie Mouton e al commissariamento della NRU, ora controllata interamente dall’International Rugby Board e affidata alle cure dell’amministratore sudafricano Steph Nel.

Un terremoto che desta preoccupazioni a pochi mesi dalla RWC 2011. Mark Egan, capo del dipartimento di sviluppo dell’IRB, dopo aver fatto partire un’inchiesta sui debiti della federazione (ammontanti, parrebbe, a oltre mezzo milione di dollari), ha commentato: “è necessario che la NRU sia ben organizzata. Stiamo chiedendo a una piccola federazione con risorse limitate di competere contro le migliori squadre del mondo. Ci sono problemi finanziari e faremo di tutto per monitorare attentamente le risorse. L’IRB potrà dare una mano attraverso finanziamenti aggiuntivi, che però sono limitati. Speriamo quindi che il governo e il settore privato del paese aiutino la squadra nazionale in quest’anno così importante”. Meno allarmato il tono di Johan Diergaart, allenatore del XV africano: “In questo momento siamo in preparazione per la Coppa del Mondo. Alcuni giocatori sentono un po’ di incertezza, ma non penso che la cosa possa influenzarli”.

Non è la prima volta che, in concomitanza di una Coppa del Mondo, la Namibia si trova in gravi difficoltà. Nel 2003 emerse uno scandalo riguardante compensi non pagati ai giocatori e dirottati invece nelle tasche dei dirigenti, mentre quattro anni più tardi alcune irregolarità nella vendita dei biglietti portarono alla rimozione dall’incarico del presidente federale Dirk Conradie e di tutto il suo staff.

Alle Isole Figi il rugby è uno sport nazionale vissuto con una devozione quasi religiosa. Vera potenza mondiale nella variante del Sevens, la nazionale figiana resta una delle poche minnows in grado di sovvertire gli equilibri di potere del rugby internazionale: sia all’edizione inaugurale della Coppa del Mondo nel 1987, sia nell’ultima edizione finora disputata (Francia 2007) i figiani riuscirono ad accedere clamorosamente ai quarti di finale, sgambettando rispettivamente l’Argentina di Hugo Porta e il Galles. In entrambe le occasioni l’arcipelago pacifico era reduce da pochi mesi da un colpo di stato. Il 2011 invece si è aperto per il rugby figiano con quello che, secondo la Fiji Rugby Union, sarebbe un golpe ordito dalla giunta militare (al potere dal 2006) ai danni dei vertici della federazione e con l’apertura di una crisi che potrebbe mettere in pericolo la partecipazione della squadra nazionale ai Mondiali neozelandesi programmati per settembre.

A inizio gennaio la FRU è stata messa sotto inchiesta dalla Commissione per il Commercio figiana per alcune irregolarità concernenti l’organizzazione di una lotteria finalizzata a finanziare la campagna mondiale: per poter vendere più biglietti, la federazione avrebbe scontato il prezzo dei tagliandi, operazione contestata dalla Commissione, che ha chiesto una multa di 125 mila dollari figiani (l’equivalente di 82 mila dollari USA). Un’altra delle accuse mosse ai membri della FRU è quella di aver usato parte dei soldi guadagnati dalla sottoscrizione per assistere ad alcuni tornei di rugby a sette a Hong Kong e in Regno Unito. Piccata la reazione del presidente della federazione Bill Gavoka: “Sono scioccato dalle direttive emesse dalla Commissione, visto che abbiamo rispettato tutti i termini di legge. La licenza con cui è stata permessa la lotteria non ci proibiva di scontare i biglietti, e noi abbiamo solo cercato di massimizzare le vendite per il bene della nazionale”.

La crisi vera e propria è cominciata però l’11 gennaio, con la richiesta da parte del ministro dello sport figiano Filipe Bole di dimissioni da parte dei dirigenti federali, posti sotto la minaccia di veder congelati, in caso di rifiuto, i fondi destinati alla partecipazione della nazionale al Mondiale. In tutta risposta Gavoka ha rinunciato all’incarico di presidente, senza però abbandonare il suo posto nel consiglio federale: “Nessun membro del consiglio può dimettersi o essere sostituito prima del meeting annuale della federazione in aprile”. Una presa di posizione priva di sostegno, vista l’offerta di dimissioni da parte dell’esecutivo e la decisione di deporre Gavoka sostituendolo con il presidente ad interim Rafaele Kasibulu, con la promessa di nuovi finanziamenti governativi per l’entità di tre milioni di dollari figiani (un milione e mezzo in valuta statunitense).

Un golpe sportivo che non ha mancato di allertare l’International Board, preoccupata dall’eccessiva ingerenza del governo militare delle Isole Figi nella vita della federazione al punto da lanciare un ultimatum: “ogni contravvenzione rispetto allo statuto della federazione potrebbe costare alle Figi l’espulsione dall’IRB e l’esclusione dai circuiti del rugby internazionale”, ammonendo la giunta che “alla luce delle circostanze, non c’è motivo perché venga cambiato l’esecutivo della FRU” e minacciando di commissariare la gestione del rugby isolano. Secondo il dirigente IRB Mike Miller, giunto nell’arcipelago il primo di febbraio per negoziare una soluzione alla crisi, “l’IRB nutre preoccupazioni che la situazione corrente possa creare instabilità e avere un impatto negativo sulla gestione della federazione, sui programmi di sviluppo ed eccellenza finanziati dall’IRB e sulla preparazione alla Coppa del Mondo”. L’ultimatum dell’IRB avrebbe incoraggiato i membri del consiglio federale a rifiutare le dimissioni del capo dell’esecutivo della FRU Keni Dakuidreketi.

Secondo la FRU l’obbiettivo della giunta militare sarebbe quello di designare come nuovo presidente federale il commodoro Frank Bainimarama, capo delle forze armate e primo ministro, affiancandogli come vicepresidente il cognato Francis Kean, comandante della Marina con alle spalle una detenzione per omicidio e dirigente della franchigia di Suva, isola principale dell’arcipelago. Bainimarama, grande entusiasta della palla ovale, prese il potere nel 2006, secondo alcune voci ritardando la messa in atto del piano golpista per permettere lo svolgimento dell’annuale partita tra le squadre della polizia e dell’esercito. Da allora non ha mai mantenuto la promessa di indire elezioni democratiche, provocando l’espulsione delle Figi dal Commonwealth e dal Forum Pacifico. Secondo il New Zealand Herald Murray McCully, ministro per la Coppa del Mondo, per le attività sportive e ricreative e per gli affari esteri nel governo neozelandese, avrebbe dichiarato che Bainimarama e Kean, personae non gratae nella terra della Grande Nuvola Bianca, non saranno ammessi in territorio neozelandese durante la manifestazione nemmeno se dovessero presentarsi in quanto membri della FRU.

OM: NECESSARIO UN CAMBIO DI MODULO?

Olympique MarsigliaLo scorso anno si impose al termine di una lunga cavalcata che lo portò a chiudere il campionato con sei punti di vantaggio sul Lione. Quest’anno, invece, la squadra allenata da Didier Deschamps, l’Olympique Marsiglia, ha avuto un inizio piuttosto stentato e si trova ora quarto a sei punti dal Lille primo in classifica. Il tutto grazie alla recentissima vittoria sull’Arles fanalino di coda: la squadra di Michel Estevan, infatti, è stata sinora capace di guadagnarsi otto soli punti in ben ventidue giornate di campionato, ed è già praticamente retrocessa in Ligue 2. Vittoria quindi praticamente scontata quella dell’OM, che serve però a rilanciare le ambizioni di una squadra partita per difendere il titolo guadagnato la scorsa primavera.

Compagine, quella marsigliese, che denota in particolar modo una difficoltà imprevista sotto porta: in ventidue giornate i ragazzi di Didì Deschamps sono difatti stati in grado di realizzare solo trenta reti, contro le quaranta del Lille capolista. Difficoltà, questa, che si è palesata anche contro la peggior difesa della Ligue 1: quella dell’Arles, appunto.  Nei primi 21 match di campionato, infatti, i ragazzi di Estevan si erano fatti bucare ben 42 volte, con una media secca di due reti subite a partita. L’OM, però, è stato capace di trovare la via della rete in una sola occasione, palesando quindi ancora una volta una certa incapacità di pungere. Il tutto nonostante l’ex allenatore juventino schieri una formazione piuttosto offensiva fatta di tre punte tra le più interessanti del campionato ed un centrocampo a tre con un mediano d’interdizione affiancato da due mezz’ali molto tecniche e dal buon piede. Una formazione, insomma, che non dovrebbe incontrare problemi né nel costruire gioco né nel finalizzarlo. Ma analizziamolo meglio questo 4-3-3 marsigliese schierato contro l’Arles.

Tra i pali trova collocazione il capitano della squadra, Mandanda, protetto da una linea a quattro formata dalla coppia centrale Diawara-Mbia con due terzini tendenzialmente bloccati come Fanni ed Heinze. Difesa a sua volta schermata da Charles Kaborè, schierato in mediana, ai cui fianchi agiscono il sempre ottimo Lucho Gonzalez, giocatore che sono convinto farebbe molto bene anche in Italia, e Benoit Cheyrou, mezz’ala mancina molto apprezzata in patria. In attacco, quindi, schierato il trio – sulla carta – delle meraviglie Remy-Brandao-Gignac.

Partita che inizia però subito maluccio per i padroni di casa che mostrano una certa fragilità in fase difensiva laddove i movimenti della linea a quattro non sembrano ben registrati e Kaborè è lasciato dai compagni un poco troppo solo in mediana. In compenso in attacco le cose stentano a decollare: il pallone non scorre fluidamente ed è trasmesso con qualche impiccio da un reparto all’altro, tanto che la prima grande occasione per l’OM è frutto più del caso e della capacità di un singolo, Gignac, che di un convincente gioco di squadra. Ecco quindi come una palla scodellata in mezzo viene alzata a campanile dalla testa di Brandao con l’ex punta del Tolosa che dopo averla fatta rimbalzare s’inventa una splendida rovesciata con cui prende tutti alla sprovvista, venendo però fermato dalla traversa.

Con il passare del tempo i padroni di casa riescono comunque a prendere fiducia nei propri mezzi, guadagnando sempre più campo e creando via via occasioni sempre più importanti. Così dapprima Lucho lancia Remy alle spalle di una difesa spaccata, con Merville costretto all’uscita di piede per anticipare l’ex punta nizzolina. Poi Cheyrou si accentra dalla sinistra e arriva al tiro dopo uno splendido uno-due con Gignac, con Merville ancora bravo ed attento a respingere di piede. In chiusura di primo tempo arriva quindi la seconda traversa marsigliese, con Lucho che calcia una splendida punizione dal limite senza però riuscire a trovare la via di porta.

A dieci minuti dall’apertura di ripresa, quindi, L’OM passa in vantaggio grazie ad una bella azione corale che mette in mostra come, dopotutto, la tecnicità per effettuare certe giocate c’è tutta al Velodrome: Gignac parte da prima della trequarti sinistra scaricando su Lucho per andare poi ad accentrarsi, puntando il centro dell’area. Nel contempo Brandao, schierato centrale nel tridente approntato da Deschamps, effettua il movimento opposto: nel momento in cui Lucho sta venendo in possesso del pallone, infatti, il puntero brasiliano si allarga proprio sulla sinistra, per dettare il passaggio al compagno. Il tutto ottenendo un doppio beneficio: da una parte taglia alle spalle di un avversario andando a portarsi in una zona di campo sguarnita dove potersi impossessare del pallone senza grandi problemi, dall’altra disorienta quello che era il suo diretto marcatore e la difesa tutta, creando un bel buco in mezzo all’area dove s’infilerà, lesto, proprio Gignac.

Una volta arrivato in possesso della palla, quindi, Lucho vedrà subito il movimento del compagno e lo servirà, dando il la ad un’azione che si rivelerà decisiva: una volta portatosi sul fondo, difatti, Brandao centrerà un pallone basso su cui piomberà, puntualissimo, il buon Gignac, che potrà quindi realizzare comodamente la rete della vittoria.  La possibilità di ben comportarsi, insomma, ce l’hanno tutta, a Marsiglia. Del resto quando si può contare su giocatori importanti come Cheyrou, Lucho ed il tridente delle meraviglie è anche scontato averle, queste possibilità.

Il problema vero è che la squadra fatica a creare una propria fisionomia di gioco. Ed in questo uno dei principali colpevoli non può che essere, ovviamente, il buon Didì. Ed è un vero peccato: forti della seconda miglior difesa del campionato (18 reti subite in 22 match, contro le 17 del Rennes) les Olympiens avrebbero davvero tutte le carte in regola per riconfermarsi campioni di Francia.

Ma come si potrebbe rinvigorire una fase offensiva particolarmente deficitaria? In questo senso, è certo, il brutto infortunio occorso a César Azpilicueta, ventunenne terzino spagnolo ex Osasuna, non aiuta di certo. Il suo sostituto, acquistato a dicembre in fretta e furia proprio per poter tamponare al meglio la lunga assenza dell’ex capitano dell’under 20 iberica (che resterà assente sino alla prossima estate a causa di un infortunio ai crociati), non riesce infatti a dare lo stesso apporto in fase offensiva e di costruzione: per quanto sia un giocatore di ottimo livello Rod Fanni è terzino abile in fase difensiva ma che non sa spingere con continuità. L’esatto opposto di un Azpilicueta che, di contro, forse paga qualcosa in fase difensiva ma certo sa spingere con efficacia, risultando spesso un’opzione in più per la propria squadra. Al tempo stesso anche panchinare Taiwo, come successo appunto contro l’Arles, può risultare controproducente. E’ vero che Heinze avendo giocato per anni centrale dovrebbe garantire una miglior copertura ed una maggior robustezza al pacchetto arretrato ma è altrettanto vero che il terzino nigeriano con le sue qualità atletiche tracimanti ed un tiro al fulmicotone sa rendersi indubbiamente molto più pericoloso nella metà campo avversaria, risultando importante tanto in fase propulsiva quanto realizzativa (il venticinquenne di Lagos è infatti il quarto miglior realizzatore ed terzo miglior assistman della squadra in questa stagione).

Lo schierare due terzini prettamente difensivi anziché più portati ad offendere non può comunque spiegare da solo la scarsa vena realizzativa di questa squadra, posto poi che Taiwo ha comunque giocato la maggior parte dei match e che tutto sommato dovrebbe essere ritenuto il titolare di questa squadra (per quanto gli sia stato preferito Heinze come terzino negli ultimi due match). La motivazione principe credo vada quindi ricercata proprio nel modulo adottato dall’ex capitano Bleus. Per proteggere gli investimenti fatti in estate, infatti, Deschamps è quasi costretto a schierare praticamente sempre Gignac e Remy, che stanno mantenendo una media realizzativa piuttosto scarsa: il primo ha sinora disputato venti match realizzando sei sole reti, il secondo ne ha invece giocati ventidue realizzandone sette. Nel complesso, posto che Brandao è riuscito a fare anche di peggio con tre segnature in ventidue partite, ecco che la situazione è realmente piuttosto desolante. E dato che questo tridente sembra non funzionare ecco che bisognerebbe pensare ad una qualche soluzione tattica differente.

In questo senso vedo due vie percorribili: la prima prevederebbe l’utilizzo di questo stesso schema ma con interpreti diversi, la seconda proprio un cambiamento di modulo. Nello specifico: qualora Deschamps voglia a tutti i costi continuare a schierare il suo 4-3-3 dovrebbe pensare a panchinare una volta per tutte Brandao, la cui fisicità può certo venire comoda in alcuni frangenti ma che è assolutamente troppo lontano da una media realizzativa anche solo vagamente accettabile. In questo caso, quindi, potrebbe schierare Gignac fisso nel centro dell’attacco, anziché farlo partire a sinistra come nel derby con l’Arles, con il giovane André Ayew sulla fascia mancina ed il solito Remy su quella destra, andando così a fare molto più affidamento su tecnica ed inventiva che su fisicità e sportellate.

Nel secondo caso, quello del cambio di modulo, si potrebbe invece pensare di passare ad un centrocampo a quattro schierato a mo’ di rombo, magari ispirandosi al Milan di Ancelotti. Per fare questo, però, occorrerebbe avere un regista di centrocampo, ruolo in cui l’OM si ritrova ad essere piuttosto scoperto. Per ovviare alla cosa si potrebbe quindi pensare di spostare Lucho centralmente, dando a lui i compiti di impostazione allor quando l’azione riparte dalla difesa, con Kaborè a ricoprire un ruolo da mastino di centrocampo stile Gattuso e Cheyrou a fare la mezz’ala classica con compiti di sostegno e finalizzazione, un po’ come fatto a suo tempo da Seedorf. Sulla trequarti, poi, potrebbe trovare spazio, una volta ripresosi dall’infortunio, Mathieu Valbuena. Anche se, in alternativa, quel ruolo lo si potrebbe far ricoprire ad Ayew, ragazzo che predilige giocare largo a sinistra ma la cui fantasia potrebbe comunque tornare comoda anche centralmente, a ridosso delle punte. Che, in quel caso, potrebbero essere Gignac e Remy, come prima scelta, con Brandao pronto a subentrare. I tre hanno infatti caratteristiche piuttosto diverse e sono accoppiabili a piacimento: la duttilità di Gignac permetterebbe di fatto tanto di schierarlo con Remy, che potrebbe usarlo come riferimento schierandosi da seconda punta mobile capace di dialogare coi compagni centralmente quanto, alla bisogna, di allargarsi sulla destra per cercare il fondo, quanto di schierarlo con Brandao, andando lui, in quel caso, a giostrare come seconda punta. Così come, del resto, si potrebbe decidere poi di lasciare a riposo l’ex stella del Tolosa, schierando Brandao centravanti boa con l’ex Nizza a supporto.

Gli accorgimenti tecnico-tattici utilizzabili, insomma, sono molteplici. Si tratta solo di trovare la giusta quadratura del cerchio. Al termine del match contro l’Arles il buon Deschamps ha parlato di squadra ancora in convalescenza, che deve ritrovarsi dopo un inizio di stagione sottotono. Personalmente credo che sia il caso, in questo momento, di dare un po’ una scossa ad un gruppo di giocatori che non riesce ad esprimere il proprio enorme potenziale.

Ecco perché personalmente opterei proprio per un cambio di modulo.