ALGERIA: CALCIO E DISORDINI DAL 1988 A OGGI

La Federazione algerina ha sospeso il Campionato per un mese per circoscrivere la protesta che infuria.

“La musica e il calcio non hanno frontiere. Siccome trasmettono un’idea di festa, sono osteggiate da quelli che vogliono toglierci la libertà.” (Cheb Mami, cantante Raï algerino).

La decisione della Federcalcio algerina è di lunedì 10 gennaio: il campionato di calcio sarà sospeso per un mese, e non riprenderà prima del 10 febbraio. È la contromisura per i disordini scoppiati nei primi giorni dell’anno, in seguito ai rincari dei generi alimentari: olio e zucchero in particolare. Eppure le recenti sommosse non sono scoppiate all’interno degli stadi, ma nelle piazze e nelle vie delle più grandi città algerine: Orano, Constantine, Sétif, e soprattutto ad Algeri, dove si sono concentrate nel quartiere di Bab-el-Oued, l’epicentro della drammatica rivolta del cous cous dell’ottobre 1988.

Ma gli stadi di calcio rappresentano uno degli incubi peggiori del governo algerino. Diversamente che nei luoghi di lavoro, nei negozi, nei bar, sui mezzi pubblici e per le strade, dove la popolazione mantiene un atteggiamento estremamente guardingo, e pesa accuratamente le parole che dice, lo stadio è una zona franca. E come accadeva qualche decennio fa anche nei defunti regimi realsocialisti, sulle gradinate la libertà di espressione è garantita. Qui non solo è lecito ingiuriare il tifoso avversario o il proprio giocatore che svirgola il pallone, ma si può anche scaricare la frustrazione della vita quotidiana, magari infarcendo un’imprecazione con un insulto al governo, e ricevendo in cambio gli applausi convinti dei vicini di tribuna. Per questo motivo il regime algerino ha paura della potenzialità eversiva che può dirompere da uno stadio di calcio, e per circoscrivere la protesta ha deciso di mettere sotto chiave il campionato, almeno fino al ritorno della normalizzazione sperata. Dalla rivolta del 1988, che costò 162 morti e migliaia di feriti secondo le fonti ufficiali, ma che fornì anche le basi per l’avvio di un effimero processo di democratizzazione, degenerato quasi sul nascere in una lunga guerra civile strisciante tra la casta burocratico-militare al potere e gli estremisti islamici, il calcio ha giocato un ruolo di primo piano, al di là del significato sportivo intrinseco.

Ma ripercorriamo gli episodi di cronaca più drammaticamente significativi:

14 ottobre 1989 – Durante la partita tra la squadra locale del Mouludia Olimpique di Constantine e l’Entente Sportive di Sétif, un gruppo di ultras del Mouludia, armati di coltelli e spranghe, invade il campo, aggredendo i giocatori ospiti, e ferendone gravemente due, sotto gli occhi di sessantamila spettatori. In seguito a questo episodio e ad altri precedenti quasi altrettanto gravi, la Federcalcio algerina decide di sospendere il campionato per una giornata.

5 ottobre 1994 – Alì Tahanuti, presidente della Jeunesse Sportive di Bordj Menaiel, una squadra di prima divisione, viene assassinato da un commando armato di terroristi islamici. Il movente dell’attentato viene individuato nella calcio-fobia degli integralisti. Anche in quest’occasione le partite di campionato vengono sospese per un turno.

21 gennaio 1995 – Questa volta tocca a Rachid Haraigue, presidente della Federcalcio e uomo vicinissimo alla giunta militare al potere, soccombere sotto i colpi di un altro commando di terroristi. Dalla seconda metà degli anni novanta il calcio ritorna comunque a riempire gli stadi dell’Algeria, sia grazie alla diminuzione d’intensità della guerra civile, che come riflusso al progressivo disinteresse generale nei confronti della politica.

6 ottobre 2001 – La super-amichevole tra Francia e Algeria, organizzata allo Stade de France di Parigi a suggello della rappacificazione tra i due paesi un tempo nemici, viene interrotta pochi minuti prima del termine da un’invasione di campo dei giovanissimi tifosi franco algerini. Intervengono le brigate antisommossa francesi per riportare l’ordine sia nel campo che sugli spalti.

22 giugno 2002 – L’ennesimo commando armato del GIA (Gruppo Islamico Armato) irrompe in un campo di calcio, dove stanno giocando due squadre di ragazzini, provocando 6 vittime tra i giovanissimi calciatori.

26 maggio 2008 – Al termine del campionato, che vede il Meloudia di Orano retrocedere in seconda divisione, i tifosi inferociti mettono a soqquadro alcuni sobborghi della seconda città dell’Algeria. La polizia risponde con centinaia di arresti. Secondo gli organi d’informazione indipendenti, il calcio sta ormai diventando il pretesto per lo sfogo della frustrazione da parte della giovanissima popolazione algerina (il 75% degli algerini ha infatti meno di trent’anni).

18 novembre 2009 – Il rocambolesco spareggio di Khartoum, in Sudan, tra le nazionali dell’Egitto e dell’Algeria, finisce con la vittoria di quest’ultima, e la conseguente conquista della qualificazione ai mondiali 2010 in Sudafrica. Scoppiano incidenti tra le tifoserie contrapposte, che danno origine anche ad una crisi diplomatica. I festeggiamenti per la vittoria nella capitale algerina, diventano l’occasione per una caccia all’uomo nei confronti dei cittadini egiziani. Il bilancio di queste manifestazioni di giubilo si rivela pesantissimo: 14 morti e 250 feriti. È la pietra tombale sul vecchio ideale nasseriano della fratellanza araba.

I MAGNIFICI SETTE

Nell’Eurolega di pallanuoto l’Olympiakos si presenta con appena sette giocatori: la crisi sembra irreversibile.

Quando, agli inizi degli anni Novanta, la nazionale di pallanuoto maschile vinceva più o meno tutto quello che c’era da vincere, la stampa coniò un soprannome che, nel corso degli anni, è diventato di uso corrente: Settebello. Il fatto che, nella pallanuoto, scendano in acqua sette giocatori titolari consente di utilizzare altri epiteti per riferirsi ad una squadra, attingendo a piene mani dal mondo del cinema e della letteratura.

Nel caso dell’ultima fatica dell’Olympiakos in Eurolega, «I magnifici sette» sembra essere il titolo più calzante. Lungi, però, dal volergli dare i connotati di un gesto di scherno nei confronti della squadra di Vangelis Pateros (7-1 è infatti il risultato finale con cui il Partizan Belgrado ha vinto la sfida). I magnifici sette sono proprio i giocatori ellenici che hanno preso parte alla trasferta in terra serba: l’Olympiakos si è presentato ridotto ai minimi termini, senza la possibilità di effettuare cambi durante la partita. Per la cronaca i magnifici sette sono Deligiannis, Theodoropoulos, Komadina, Fountoulis, Delakas, Mylonakis e Blanis, con Christos Afroudakis costretto ad arrendersi durante il riscaldamento. Sei gli indisponibili tra infortunati (Kolomvos e Vlontakis), lavoratori dipendenti cui non è stato concesso il giorno di ferie (Kochilas) ed altri alle prese con problemi familiari (Doskas, Floros e Schizas). Della serie: felice anno nuovo, Olympiakos.

L’episodio di Belgrado, comunque, è solo l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di vicissitudini che dallo scorso autunno stanno interessando la polisportiva del Pireo: si comincia a settembre, con i giocatori che si rifiutano di riprendere gli allenamenti a causa dell’insolvenza della società nel pagamento degli stipendi. E nel frattempo fanno le valigie due simboli della squadra come il centroboa Georgios Afroudakis, passato ai rivali del Panathinaikos, e soprattutto il poliedrico Theodoros Chatzitheodorou, capitano di lungo corso che – ironia della sorte – ha giocato contro i suoi ex compagni a Belgrado. Gli incontri con gli amministratori della società si rivelano infruttuosi: i giocatori, rappresentati nelle trattative da Deligiannis e Vlontakis, firmano una lettera aperta in cui denunciano il mancato pagamento di sette mensilità e minacciano di andare per vie legali. Poi il campionato inizia ed i giocatori onorano, comunque, gli impegni presi. Almeno in campionato, dove vincono tutte le partite a disposizione.

A pochi giorni dalle vacanze di Natale, poi, scoppia l’ennesima bolla: i giocatori si rifiutano di scendere in acqua nel derby con il Panathinaikos. E menomale che nella pallanuoto la rivalità si affievolisce: provate a immaginare le conseguenze di una simile decisione nel calcio o, peggio ancora, nella pallacanestro. All’orizzonte si materializza lo spettro della sconfitta a tavolino, proprio contro gli eterni rivali: un affronto. Si cerca di rimediare mandando in acqua i ragazzi del settore giovanile. Poi Deligiannis e compagni ci ripensano: infilano calottine e costume e violano la piscina del complesso olimpico di Maroussi per 9-5.

Tutto bene quel che finisce bene? Non esattamente. Quasi fossero i marinai ammutinati di una nave, i giocatori protestano contro la società gettando in acqua le calottine. Come a dire: adesso basta, la pazienza è finita, le lasciamo indossare a qualcun altro. Il vicepresidente Nikos Karachalios plaude alla professionalità dei giocatori, che non sono venuti meno ai loro doveri pur non percependo lo stipendio. E annuncia che adesso sarà la società a doversi muovere. Durante le festività vengono elargiti mille euro a quei giocatori che, pallanuoto a parte, non hanno altra fonte di reddito (nella fattispecie: Blanis, Delakas, Floros e Fountoulis), gli altri attendono ancora alla finestra e scrivono direttamente al governo affinché intervenga direttamente nella vicenda. E, nel frattempo, due ex biancorossi – Georgios Afroudakis e Slobodan Nikić – fanno causa all’Olympiakos che vanta debiti pregressi verso i suoi ex centroboa.

Intanto il tempo scorre e oggi sarà nuovamente tempo di campionato: da un derby all’altro, dal Panathinaikos all’Ethnikos, l’altra grande squadra del Pireo. Occhio ad altri, teatrali colpi di scena. Ma qui non siamo in una commedia di Aristofane. Tutt’altro.

I CAMPIONI DI DOMANI: LA JUVENIL B DEL BARÇA

Alla scoperta del modello Barça e della Cantera blaugrana

La lente d’ingrandimento della mia rubrica di tattica calcistica oggi si ferma sulla formazione Juvenil B del Barcelona, attualmente allenata da un grande ex terzino sinistro della prima squadra, quel Sergi Barjuán che a suo tempo dei blaugrana fu anche il capitano.

Come è ben noto a tutti in Catalunya hanno creato un preciso modello, il “Modello Barça” appunto, che viene applicato con meticolosità per provare a sviluppare al meglio i talenti appartenenti alle proprie formazioni giovanili. Tra le caratteristiche principali di questo modello vi è il fatto di far giocare tutte le squadre appartenenti alla Cantera con il medesimo modulo della prima squadra di modo da preparare sin da subito ogni piccolo campioncino che così facendo può iniziare prestissimo ad assorbire i dettami tattici cui dovrà sottostare una volta arrivato tra i grandi.  Anche la formazione Juvenil B, in questo senso, non fa eccezione. Così come la prima squadra e tutte le altre squadre appartenenti al floridissimo settore giovanile blaugrana, infatti, la squadra di Sergi si schiera con quel 4-3-3 che negli ultimi anni ha permesso a Messi e compagni di arrivare a dominare il mondo (nel vero senso della parola).  Ovviamente, però, ogni squadra fa storia a sé e se l’impronta tattica di base è la medesima è ovvio che ogni singola formazione, poi, si schiererà secondo le proprie specificità.

Andiamo a vedere più nel concreto, allora, come vengono schierati i ragazzi che stanno attualmente dominando il Gruppo 7 della Liga Nacional  Juvenil.  Il 4-3-3 studiato da Sergi per provare a far rendere al meglio la propria equipe prevede l’impiego di una difesa schierata in linea che resta piuttosto alta in fase di non possesso di palla di modo da favorire l’utilizzo della trappola del fuorigioco che però, a dire il vero, non è utilizzata in maniera aggressiva. A comandare la linea difensiva è il dominicano Carlos Julio Martínez Riva, centrale discretamente abile a livello tecnico e che dimostra già una buona capacità direttiva. Ed è una difesa che funziona a meraviglia, quella del Juvenil B: non a caso ha subito una sola rete in ben dieci match di campionato. Ai limiti dell’imperforabilità, insomma.

A rendere così solida la retroguardia ci pensa anche il costante lavoro di pressing comunque piuttosto leggero che viene svolto a partire dai tre attaccanti, sempre pronti tanto a disturbare il portatore di palla che prova ad impostare il gioco nella propria trequarti quanto a rinculare nella propria metà campo alla bisogna. Altro elemento importante in questo senso, poi, è la posizione assunta dal capitano della squadra, Fernando Quesada Gallardo. Nando, infatti, tende a posizionarsi proprio davanti alla difesa, tra i due centrali. Là dove può tanto dettare i ritmi della squadra (le sue caratteristiche di gioco diciamo che ricalcano un po’ quelle che furono dell’attuale mister della prima squadra, Pep Guardiola, in questo senso) in fase di possesso quanto fungere da frangiflutti in situazione di non possesso. Avendo poi proprio nella spiccata intelligenza tattica il suo pezzo forte ecco come sia appunto Nando, da questo punto di vista, il fulcro della squadra.

La solidità difensiva, infine, è garantita anche dall’accortezza dei due terzini, Adrià Escribano Meroño sulla destra e Brian Oliván Herrero sulla sinistra. I due, infatti, avanzano solo in determinate situazioni, sempre tenendo ben presente il loro ruolo e la loro importanza tattica all’interno della macchina preparata da Sergi Barjuán. Essendo piuttosto dotati, almeno rispetto ai parietà che solitamente si ritrovano ad affrontare in campionato, ecco che il gioco è fatto e con le loro prestazioni contribuiscono a blindare la porta solitamente difesa da Sergi Tienda Gutiérrez.

Parlato del reparto arretrato dobbiamo quindi passare al centrocampo. Detto dell’importanza centrale del ruolo ricoperto da capitan Nando dobbiamo parlare anche di quanto svolto dalle due mezz’ali della formazione, Jordi Quintillà Guasch e David Babunski. I due, infatti, svolgono un ruolo chiave nella cucitura del gioco. Perché se è Nando a dettare i tempi alla squadra posto che è a lui che solitamente viene assegnato il compito di impostare l’azione è altrettanto vero che il lavoro di Quintillà e Babunski risulta ugualmente prezioso proprio nel cercare di tenere la squadra quanto più corta possibile. Perché è risaputo come il “Modello Barça” regga su di un assunto imprescindibile: il possesso palla. E proprio il lavoro dei due rende possibile un possesso palla pressoché continuo: con il loro movimento, infatti, garantiscono sempre un’opzione in più al portatore di palla o, nel caso in cui questo ruolo spettasse a loro, sanno sempre come gestire il possesso della sfera, muovendosi secondo ritmi che hanno ormai interiorizzato e che li porta a facilitare anche il lavoro degli attaccanti.

Punte che, dal canto loro, si muovono secondo logiche prestabilite ma pur sempre nella libertà che viene lasciata loro da mister Sergi e che gli permette, grazie ad un mix di estrosità e talento, di creare quella superiorità numerica spesso fondamentale per la ricerca del goal. Di per sé la disposizione è quella classica: due ali con licenza di saltare l’uomo ed un centravanti rapido ed anch’esso bravo nel dribbling che possa tanto sfruttare il lavoro altrui andando a finalizzare quanto costruito dai propri compagni che, nel caso, crearsi da sé un’occasione da goal. Ed in questo il buon Jean Marie Dongou Tsafack, in effetti, ricorda un po’ quell’Eto’o che fu interprete perfetto di questo ruolo.

Ecco, a grandi linee, com’è impostata la Juvenil B del Barcellona. E chissà che qualcuno di questi ragazzi, in futuro, non finisca per ripetere quanto imparato in questi anni di cantera anche in prima squadra…

QUALCHE NOVITA’ NEL PROGRAMMA DI LONDRA 2012

A 560 giorni dalla Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Londra 2012, una prima occhiata ai cambiamenti apportati al programma olimpico.

Le immagini del trionfo della Corea del Sud, dopo la vittoria su Cuba nella finale dei Giochi Olimpici di Pechino 2008, rimarranno a lungo le ultime immagini olimpiche relative ad un torneo di Baseball, disciplina che ha vissuto in campo olimpico una vita travagliata inanellando più presenze come sport dimostrativo (7 sin dal 1912) che come sport ufficiale quale è stato solo in cinque edizioni da Barcellona 1992 a Pechino 2008. La decisione presa dal CIO nel luglio 2005 di escludere dal programma olimpico, anche se non dalla lista degli sport olimpici, Baseball e Softball ha di fatto ridotto a 26 gli sport presenti tra un anno e mezzo a Londra. Solo nel mese di ottobre 2009, e quindi con una tempificazione che non permetteva il loro inserimento nel 2012 ma solo a partire da Rio 2016, è stato deciso di riportare a 28 gli sport nel programma olimpico inserendo Golf e Rugby a sette.

Detto di Baseball e Softball, la grande novità della prossima edizione dei Giochi Estivi sarà rappresentata dall’introduzione del Pugilato Femminile: 40 pugili parteciperanno, suddivise in cinque categorie, alla corsa alle prime medaglie della storia in questa disciplina che peraltro mise in scena un incontro dimostrativo nel lontano 2004 per poi diventare fuorilegge ed essere codificata internazionalmente solo una decina di anni fa.

Alcune discipline come il Ciclismo su Pista e la Canoa Velocità hanno, inoltre, visto le proposte di rivoluzione del loro programma olimpico accettate da parte del CIO. Con una decisione discutibile, sotto la spinta di alcune Federazioni forti come quella britannica e strumentalizzando un presunto riequilibrio tra prove al maschile e prove al femminile, spariscono dal programma prove tradizionali come l’Inseguimento, la gara a Punti e la Madison per fare spazio a tre nuove gare al femminile (Velocità a squadre, Inseguimento a squadre e Keirin) e ad una prova a punti, l’Omnium, la cui struttura e la cui capacità di richiamare l’attenzione del pubblico sono ancora tutte da verificare. Anche nella Canoa Velocità cambia il rapporto tra gare maschili e gare femminili: se a Pechino erano stati assegnati nove titoli al maschile e solo tre al femminile, a Londra il divario diminuirà (8-4). Si è arrivati a questi risultati cancellando tutte le prove maschili sui 500 metri e rimpiazzandole con prove sprint sui 200 metri (con l’eccezione del C2 che scompare sulla breve distanza. In campo maschile sarà quindi necessaria una maggiore specializzazione e le prime tendenze si sono già viste agli ultimi Campionati Mondiali dove vi sono stati vogatori concentrati sui 1000 metri e altri concentrati sulla distanza sprint essendo quasi impossibile condurre una preparazione adeguata su entrambe le distanze. In campo femminile, al contrario, rimangono le tre prove sui 500 metri (K1, K2 e K4) alle quali si aggiunge il K1 200 metri.

Un’ultima variazione al programma rispetto all’ultima edizione, seppure ormai codificata, si verificherà sulle pedane della Scherma: dopo aver consentito fino al 2000 l’assegnazione di 5 titoli a squadre, con l’ingresso nel programma olimpico dal 2004 della Sciabola femminile, il CIO ha contingentato a 4 i titoli a squadre assegnati in ogni edizione costringendo la Federazione Internazionale ad applicare il criterio della rotazione. Se a Pechino non si era gareggiato a squadre nel Fioretto maschile e nella Spada femminile, a Londra salteranno un turno la Spada maschile e di Sciabola femminile.

IL RITORNO DELLE TWIN TOWERS

La Juventus schiera due torri e perde a Napoli: perché Amauri e Toni non hanno funzionato?

Quasi dieci anni fa il mondo occidentale fu scosso da uno degli eventi più traumatici del nuovo secolo, la caduta delle Torri Gemelle di New York. Quasi dieci anni più tardi queste – metaforicamente parlando, s’intende – tornano ad essere erette nella Torino bianconera. Le recenti cronache di mercato riportano infatti l’acquisto, da parte di Marotta e soci, di Luca Toni. Un acquisto, quello che ha portato il puntero Campione del Mondo 2006 sotto la Mole, che teoricamente sarebbe servito a dare un’alternativa in più a Delneri. Sulla carta, infatti, il centravanti modenese sarebbe dovuto arrivare come alternativa ad Amauri e ci prospettava sarebbe potuto essere utilizzato sempre e solo in coppia con Del Piero o Quagliarella. Il grave infortunio occorso a quest’ultimo ha però scombinato le carte in tavola, spingendo quindi il tecnico di Aquileia ad una scelta che in pochi si sarebbero aspettati ed erano pronti a condividere: schierare le due torri assieme, una a fianco all’altra. Proprio come le Twin Towers.

Com’è andato l’esordio di Toni in bianconero e quindi la prima uscita di questa strana coppia immagino lo sappiate un po’ tutti: una tripletta di Cavani, libero di scorrazzare in una difesa assolutamente allo sbando, ha regalato al Napoli una facile vittoria. La prestazione della coppia d’attacco però forse non è da buttar via: Amauri, che in linea con il resto della stagione ha combinato pochino, ha messo in difficoltà De Sanctis con un bel mancino piazzato dal limite. Toni è stato invece il migliore tra i suoi: ha lavorato una gran quantità di palloni, facendo diverse sponde aeree e mettendosi a sgomitare per tutti i novanta minuti di gioco alla ricerca di quello spazio necessario quando si vuole trovare la rete. Entrambi hanno però terminato il match a bocca asciutta, il tutto per via di un problema di fondo su cui Delneri dovrà lavorare molto nelle prossime settimane.

Giocare con due torri significa, da una parte, acquisire grandissima efficacia nel gioco aereo ma, di contro, costringe a perdere molto in freschezza ed agilità. Questo non può che comportare un cambiamento repentino nell’approccio di tutta la squadra, che deve cambiare il proprio modo di giocare. Se l’utilizzo di una seconda punta agile e veloce come può essere Quagliarella permette di variare molto il gioco e di impostare il match con un certo tipo di movimenti offensivi, l’utilizzo due torri richiede di modificare questi movimenti. Né Amauri né Toni, infatti, sono portati a venire incontro al portatore di palla. Così come nessuno dei due ha la brillantezza di potersi infilare nelle maglie avversarie per essere lanciato in velocità dalle retrovie o per raccogliere la sponda del proprio compagno di reparto. Entrambi garantiscono una grandissima presenza fisica ma, nel contempo, hanno bisogno di essere serviti in ben altro modo. Questo è quello che è mancato alla Juventus di Napoli (oltre ad una difesa degna di questo nome, cosa che però ben poco ha a che vedere con la presenza delle Twin Towers là davanti): il giusto supporto ad una coppia mal assortita, ma che comunque avrebbe potuto mettere in difficoltà gli avversari.

Cosa avrebbero dovuto fare gli otto compagni di Toni ed Amauri per facilitare al massimo il loro compito? Ad essere mancato in maniera particolare è stato il gioco sulle fasce. Gli affondi delle ali quanto le sovrapposizioni dei terzini. Krasić ha dimostrato di non avere più la stessa brillantezza di inizio stagione ed ha faticato tantissimo a crearsi grandi occasioni sulla sua fascia. Non a caso, però, l’unica volta in cui è riuscito a trovare lo spunto giusto ha costretto Dossena a fermarlo fallosamente, guadagnandosi un’ammonizione. Al tempo stesso Pepe sulla fascia opposta ha dimostrato ancora una volta tutti i suoi limiti: ragazzo di buon cuore e con un’abnegazione straordinaria, l’ex esterno friulano non ha però mai avuto una gran propensione al dribbling. Ed arrivare sul fondo senza mai saltare un uomo non è cosa così facile. Da entrambi ci si aspettava un lavoro molto diverso. Nel momento in cui si scende in campo con due torri gli esterni diventano infatti fondamentali: proprio il loro spingersi sul fondo per crossare a centro area in maniera continuativa può a quel punto rivelarsi fondamentale per portare a casa la vittoria. A Napoli però questo non è avvenuto e si sono visti i risultati.

Anche da parte dei terzini è mancato un sostegno adeguato: in un 4-4-2 classico come quello prediletto dal tecnico di Aquileia gli esterni – di centrocampo quanto di difesa – ricoprono un ruolo chiave. Difficilmente ci può essere un gioco fruttuoso sulle fasce senza gli affondi e le sovrapposizioni di questi ultimi. Anni fa in quel di Torino si criticava, anche giustamente, il buon Molinaro, reo di riuscire a fare un cross decente solo ogni tot tentativi. Pochi però erano in grado di riconoscergli il buon lavoro che lo stesso era capace di fare andando a sovrapporsi costantemente a Nedvěd: un lavoro oscuro che il talento ceco avrà sicuramente apprezzato tantissimo. Un lavoro che in quel di Napoli è mancato completamente: Grygera è incappato in una delle serate più buie della sua carriera e, oltre ad aver sbagliato lo sbagliabile in fase difensiva, non si è praticamente mai visto in fase offensiva. Dalla parte opposta Traoré e Grosso, giocatori che fanno proprio della fase offensiva la loro forza, sembra non abbiano mai avuto la forza di sostenere a dovere Pepe. Il risultato finale? Una squadra praticamente nulla sulle fasce: un gioco improponibile quando davanti ci sono due torri.

Non che il gioco sia andato meglio nelle vie centrali. Tralasciando la fase di non possesso, in cui senza Melo si fatica a fare filtro, le cose non sono andate meglio nella fase di costruzione. Se si gioca con due torri non si può infatti pensare di dialogare molto, ma qualche palla lunga più del solito va giocata. Ed in questo caso non si può poi abbandonare a sé stessi i due attaccanti, anzi: a maggior ragione quando si schiera Marchisio (ottimo negli inserimenti, quando vuole) bisogna dar loro il giusto supporto. Aquilani avrebbe dovuto servire con i suoi lanci le due torri, mentre il secondo avrebbe dovuto inserirsi negli spazi aperti dai due approfittando delle loro sponde.

Tatticamente parlando, insomma, le Twin Towers sono una soluzione assolutamente percorribile. Per sostenerle a dovere, però, la squadra deve fornire prestazioni ben differenti rispetto a Napoli. Delneri avrà quindi molto da lavorare nel prossimo periodo. Se il reparto offensivo è povero tecnicamente ha senso “buttarla sul fisico”, ma schierare due torri richiede anche il giusto sostegno.