In una gara che assegna medaglie, il quarto posto è in assoluto il risultato peggiore che possa capitare: perché si è lì, ad un passo dalla cerimonia del podio, ad un passo dal metterti al collo un metallo che, indipendentemente dal suo colore, costituisce sempre una grande soddisfazione. Ma quarto no: quarto è lo smacco più grande che ci possa essere. Ricordiamo la rabbia di Michele Bartoli che colse questo piazzamento a Plouay nel 2000, o Davide Rebellin a Varese 2008, ma lì la delusione fu decisamente mitigata dall’oro-bronzo di Ballan e Cunego. Oggi è toccato a Filippo Pozzato, il leader della nazionale azzurra, con il norvegese Thor Hushovd a fare festa.
Come da tradizione, sin dai primi chilometri della prova è partita una fuga rimasta in testa per quasi duecento chilometri, composta dal venezuelano Jackson Rodríguez, dall’irlandese Matt Brammeier, dal colombiano David Tamayo (il primo a rompere gli indugi), dall’ucraino Olexsandr Kvachuk e dal sorprendente marocchino Mohamed Elammoury. Il vantaggio del quintetto arriva anche oltre i 20’, ma poi il lavoro di Belgio, Spagna e Italia riduce decisamente il gap e frantuma il plotone principale, nel quale rimangono una trentina di atleti. Tra gli azzurri, encomiabile il lavoro del giovane trentino Daniel Oss, il primo a sacrificarsi per la causa, aiutato dagli esperti Andrea Tonti e Matteo Tosatto. Proprio l’ultimo forcing del veneto e di Vincenzo Nibali fa dividere ulteriormente il gruppo, con due grandi favoriti come Fabian Cancellara e Óscar Freire che restano nelle retrovie: riusciranno a rientrare ad una ventina di chilometri dal traguardo, ma avranno speso troppe energie per poter essere competitivi. Nibali e il campione nazionale Giovanni Visconti fanno anche la differenza in compagnia di altri tre atleti, con i quali restano al comando della corsa sino ad una quindicina di chilometri dal termine, quando il plotone di una quarantina di atleti si ricompone. Ai -10 attacca il belga Philippe Gilbert, probabilmente il favorito numero uno della vigilia: è in condizione fisica straripante e lo dimostra in questa azione, che si spegne solamente a 3000 metri dal traguardo; da notare che il gruppo si era nuovamente diviso e all’inseguimento del vallone erano rimasti solamente cinque atleti, tra cui il campione in carica Cadel Evans, ma poi il grande lavoro specialmente della nazionale slovena ha permesso il ricongiungimento.
Nel finale ci sono vari attacchi, tra cui quelli del russo Gusev, del serbo Brajkovic e del campione nazionale olandese Terpstra, ma la volata è inevitabile. Nella ventina di atleti che resta davanti negli ultimi metri non ci sono Cavendish e Farrar, i due sprinter più forti: parte lungo il belga Greg Van Avermaet, superato a centro strada dal danese Matti Breschel, ma è il norvegese Thor Hushovd a tirar fuori la zampata vincente, davanti al danese e al padrone di casa Allan Davis. Quarto, come detto, un Filippo Pozzato in rimonta, nonostante i crampi, ma ugualmente deluso.
Hushovd, trentaduenne di Grimstad, non è mai stato un velocista puro, capace di aggiudicarsi trenta vittorie a stagione: contro Cipollini, McEwen, Zabel o Cavendish difficilmente riusciva e riesce ad avere la meglio. Ma quando il gruppo non è completamento compatto, composto solo da poche decine di atleti, lui c’è, e, come un vecchio leone esperto, sa sfoderare gli artigli necessari per trionfare. Quest’anno aveva già fatto così in una tappa del Tour de France e in una della Vuelta, ma in carriera, oltre che plurivincitore di frazioni nei grandi giri, lo ricordiamo anche trionfatore di una Gand-Wevelgem e di un mondiale under23 a cronometro nel lontano 1998. Per la Norvegia, che schierava solamente tre atleti, si tratta del primo oro tra i professionisti; argento per il danese Matti Breschel, che ripete così il piazzamento di Varese 2008; bronzo per un Allan Davis comprensibilmente deluso, visto che si deve accontentare della medaglia meno pregiata davanti ai suoi tifosi.
E l’Italia? Non si può dire che gli azzurri abbiano corso male; tutti i ragazzi si sono sacrificati per la causa, ma Pozzato, deputato a finalizzare, è stato colto dai crampi negli ultimi chilometri di corsa e, nonostante ciò, ha chiuso in quarta posizione. Forse, accorgendosi delle difficoltà fisiche del vicentino, si sarebbe potuto preservare Visconti o Gavazzi per lo sprint finale. Qualcun altro potrebbe dire che un Cunego o, per assurdo, un Bennati sarebbero stati in grado di battere Hushovd: ma siamo sicuri che avrebbero avuto la brillantezza necessaria per restare con i primissimi fino in fondo? I dubbi sono molti, quel che è certo è che i ragazzi, come sempre, hanno dato l’anima anche se stavolta il risultato lascia davvero l’amaro in bocca.
Marco Regazzoni