DICIASSETTEBELLO

Debutto con goleada (17-1) per gli azzurri ai Mondiali di Shanghai contro il malcapitato Sudafrica.

Diciamolo in tutta franchezza: alla vigilia della prima mondiale della nazionale maschile di pallanuoto a Shanghai l’unico vero rischio era che gli azzurri si trastullassero con il modesto Sudafrica, già sicuri com’erano di avere la vittoria in tasca. Nemmeno quello: il Settebello diventa, per un giorno, il Diciassettebello. Tanti sono i gol che la squadra di Sandro Campagna rifila alla formazione africana, quasi mai pericolosa: sette i tiri nello specchio concessi dagli azzurri, appena uno quello andato a segno.

Nel mezzo c’è una vittoria altisonante che, è vero, non sarebbe mai stata in discussione, arrivata comunque dopo una prova di autorità da parte del Settebello. Che non ha avuto cali di concentrazione, quantunque il livello tecnico degli avversari li concedesse, e ha legittimato fin da subito il successo segnando cinque reti già nel primo parziale. Con le sole eccezioni di Felugo e Gitto, c’è gloria per tutti, anche per Figari: il recchelino, rimasto fuori a Firenze per le finali di World League, ha prontamente ringraziato il ct Campagna per la fiducia segnando una rete. Il capocannoniere di giornata è Deserti, in gol per quattro volte, mentre Giorgetti dà conferma del suo smagliante stato di forma con una tripletta. E bene anche Presciutti, Gallo ed il vecchio Amaurys Pérez, tutti autori di una doppietta.

Se da Italia-Sudafrica non c’era da aspettarsi clamorose sorprese, l’altra sfida del girone degli azzurri, quella tra Germania e Stati Uniti, è un inno all’imprevedibilità: i tedeschi fanno subito il vuoto, mettendo quattro reti tra loro e gli americani che, tuttavia, nei successivi due parziali rimontano, per poi arrendersi negli ultimi otto minuti. Giornata di vacche magre per Tony Azevedo – “capitan America” segna solamente due reti, a fronte di sette tiri – mentre gli uomini di Hagen Stamm, sempre ostici da affrontare per la loro poderosa stazza, riescono a spuntarla pur non brillando per pragmatismo (9/26 il rapporto tra gol siglati e tentativi a rete). Molto equilibrata, e non poteva essere altrimenti, la partita tra Ungheria e Montenegro: vincono con una sola lunghezza di scarto (11-10) i magiari, condotti verso il successo dalle quattro marcature personali dell’eterno Biros. I balcanici, così come era già successo a Firenze, scontano pesantemente le assenze di Zloković e Pašković. Di misura anche l’Australia sulla Romania,  limpida l’affermazione del Canada sul Giappone, senza pietà la Spagna contro il Kazakistan, la Croazia con il Brasile e la Serbia al cospetto della Cina padrona di casa.

IL SETTEROSA SI BEVE UN CUBA

Esordio facile facile per la nazionale femminile contro le caraibiche (12-4) ai Mondiali di Shanghai.

L’Italia della pallanuoto (femminile) debutta ai Mondiali di Shanghai con una vittoria piuttosto eloquente (12-4), ma questo fa relativamente notizia, specie se l’avversario si chiama Cuba. L’Italia della pallanuoto (femminile) inizia con una prova di carattere, dimostrando grande concentrazione piuttosto che doti tecniche fuori dal comune: eccolo, il dato significativo di questa prima partita. Il Setterosa di Fabio Conti non si cura sugli allori e nell’esordio ai Mondiali di nuoto in Cina batte con autorevolezza le malcapitate caraibiche.

Inutile spendere fiumi d’inchiostro – o meglio, inutile consumare la tastiera… – su una partita che mai ha avuto una trama: si può giusto evidenziare il dato positivo delle azzurre in inferiorità numerica (solo un gol concesso, su quattro occasioni, alle cubane), si può celebrare la loro bravura nel non sottovalutare un avversario comunque innocuo. E si può evidenziare la buona prova delle sei debuttanti portate in Estremo Oriente da Conti: se il ct romano, a fine gara, spende buone parole per la 18enne Francesca Pomeri, l’attaccante Martina Savioli ha addirittura bagnato l’esordio mondiale con una tripletta, risultando la miglior marcatrice azzurra di giornata assieme alle veterane Abbate e Bianconi. Sicure, determinate, fredde, le azzurre sono pronte ad affrontare martedì il Sud Africa, sconfitto sonoramente dalla Cina. Quel Sud Africa che, per uno strano caso del destino, domani terrà a battesimo il Settebello, nella giornata di apertura del torneo maschile.

Poche le sorprese negli altri gironi: il big match tra l’Olanda di Mauro Maugeri, detentrice del titolo olimpico, e la corazzata USA finisce in parità (7-7), con numerosi rovesciamenti di fronte e accenni di fuga ben presto annullati. Straordinaria la prova delle quasi omonime Vermeer e Wenger: entrambe hanno segnato tre reti, entrambe lo hanno fatto andando alla conclusione in altrettante circostanze, chiudendo quindi con un invidiabile 100% di realizzazione. Il Canada si conferma una candidata autorevole alla vittoria finale superando agevolmente l’Australia, mentre la sfida tra Grecia e Spagna non delude le attese: le elleniche trionfano 10-9 (triplette per Asimaki e Gerolymou), ma le dirette avversarie, trascinate da Blanca Gil, confermano l’ascesa iberica ai massimi livelli della pallanuoto anche in ambito femminile.

UNA SETTIMANA DA GREGARI

Potremmo parlare dei big che latitano, si controllano, si marcano a uomo, si annullano a vicenda. Potremmo parlare di T-Blanc Voeckler, che ripete i fasti in giallo del 2004, con la differenza che, in Tour anarchico come quello di quest’anno, la sua leadership prosegue ben oltre le più rosee previsioni. Oppure potremmo parlare ancora di Thor Hushovd, che onora al meglio la maglia di campione del mondo con un’impresa eccezionale, per un passista veloce come lui, nella tappa dell’Aubisque. E invece, in attesa che le Alpi e la cronometro finale sanciscano l’esito di questa corsa senza padroni, parliamo di tre corridori tra i tanti, tre gregari, tre uomini di fatica, che in queste giornate pirenaiche hanno sputato l’anima per i propri capitani.

In primis, Sylvester Szmyd: polacco di nascita ma italiano d’adozione, al servizio di Frigo, Pantani e Cunego nelle prime stagioni della carriera, è ora il fidato uomo di Ivan Basso per le salite, l’unico Liquigas in grado di scortare il capitano sulle ascese più impegnative. Gatto Silvestro, la tappa del Mont Ventoux al Delfinato 2009 come unica gioia personale, viene da una stagione difficile, costellata da difficoltà fisiche: ma a Luz Ardiden, primo arrivo tosto di questo Tour, si è messo in testa e ha battuto il ritmo per chilometri e chilometri, alla velocità comandata da Basso, mettendo in fila tutti i rivali del varesino. Un lavoro durissimo, forse ben oltre le attuali possibilità fisiche del polacco, che infatti nel successivo tappone pirenaico ha pagato dazio, ma che ha confermato come un gregario sappia sacrificarsi per il proprio capitano anche quando non è al top della condizione.

Poi Stuart O’Grady, non uno qualunque: espertissimo australiano, quattro medaglie olimpiche su pista, una Parigi-Roubaix e due tappe al Tour in passato, corre per la Leopard-Trek dei fratelli Schleck. Il suo capolavoro, poi mal concretizzato dai lussemburghesi, nella frazione di Plateau de Beille: tra un colle e l’altro, lui che certo scalatore non è, ha di fatto annullato la maxifuga di una ventina di atleti, ricompattando il gruppo prima della salita finale. 38 anni da compiere ad agosto, è un vero esempio di professionalità per ogni corridore, visto che, nonostante i fasti del suo glorioso passato, nelle ultime stagioni non ha avuto problemi a mettere la sua esperienza al servizio dei più giovani e pimpanti capitani.

E infine Pierre Rolland, forse il meno noto dei tre: 25enne di Orléans, grande promessa tra i grimpeur (settore dove i francesi cercano ancora l’erede di Richard Virenque), è sostanzialmente il coautore del miracolo giallo di Voeckler. Quando la strada sale, e le squadre dei migliori dormono in seconda fila, il giovane transalpino si porta in testa a scandire quel ritmo regolare ma non certo infernale che tanto fa bene al suo capitano; quando invece gli uomini Leopard e Liquigas prendono in mano la corsa, si affianca all’alsaziano e lo porta letteralmente in cima all’asperità, facendogli da apripista, recuperandogli le borracce e incitandolo continuamente. Finora è andato tutto bene: T-Blanc veste sempre la maglia di leader, e al termine dei due tapponi pirenaici, conclusi rigorosamente al fianco del fidato gregario, si è sempre sciolto in abbracci commoventi con Rolland. Forse è questa la scena più bella di un Tour che finora ha regalato tante cadute e poche emozioni: un abbraccio sincero e onesto che suggella l’impresa in divenire di Voeckler.

INDIPENDENZA A COLPI DI PALLONE PER IL SUDAN DEL SUD

 

I festeggiamenti per l'indipendenza (AFP)

Quando il nation-building passa anche per lo sport: oggi, appena un giorno dopo la sua indipendenza, il Sudan del Sud farà esordire la propria nazionale di calcio contro la squadra kenyota del Tusker FC nel principale stadio della capitale Juba. Domani sarà poi la volta della rappresentativa di pallacanestro che difenderà per la prima volta i colori della neonata nazione in un incontro con l’Uganda. Poco importa che il campo di allenamento per il calcio sia uno spiazzo sconnesso e spesso invaso da capre affamate: Rudolf Andrea Ujika, segretario della nuova Southern Sudan Football Association, sta sognando a occhi aperti il momento storico in cui potrà ascoltare l’inno nazionale e vedere la bandiera del suo paese alzarsi nello stadio. La SSFA ha già espresso l’intenzione di entrare a far parte della CAF, la confederazione calcistica africana, e ha ottenuto la presenza sugli spalti del presidente della FIFA Joseph Blatter in sostegno simbolico agli sforzi del calcio sud sudanese. La SSFA, oltre alla nazionale allenata dal locale Malesh Soro, sta allestendo anche una rappresentativa giovanile, una under 19 e una femminile.

Fin dal referendum che – nel gennaio 2011 – aveva sancito l’indipendenza della regione i dirigenti del paese secessionista hanno sottolineato l’importanza dello sport nel creare un’identità nazionale nella quale possa riconoscersi il Sudan del Sud. Il ministro dello sport Makuac Teny ripone molte speranze in questa visione: “Quello che ci prefiggiamo è di utilizzare lo sport per far finire i conflitti. Può servire ai giovani, perché competano in partite e non più in battaglie, e ci auguriamo che possa servire a eliminare le inimicizie tra le tribù del Sudan del Sud”. Particolari aspettative sono riposte nella pallacanestro, disciplina nella quale il territorio del Sudan meridionale ha prodotto in passato diversi talenti: da Manute Bol, uno dei due uomini più alti ad aver mai giocato in NBA con 231 cm di statura, a Luol Deng, ala piccola dei Chicago Bulls e della nazionale della Gran Bretagna, paese dove la sua famiglia ha trovato asilo mentre era in fuga dalla seconda guerra civile sudanese. Vista l’impossibilità per la squadra sud sudanese di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 2012, il presidente del comitato olimpico del Sudan Hashim Haroun ha proposto di dare la cittadinanza agli atleti del sud per permettere loro di prendere parte ai Giochi con la loro vecchia nazione e per “rafforzare le nostre relazioni reciproche”. I giocatori del sud, dopo anni di guerra e dipendenza dal governo di Khartoum, sembrano però più interessati all’opportunità di vestire i colori della loro nuova patria. Colori il cui peso sentono da vicino, come dimostrano le parole del cestista della nazionale Agel Ring Machar: “Mio nonno, mio padre e tutti i miei fratelli sono morti durante la guerra. Poter rappresentare il mio paese sul campo da basket è un’emozione indescrivibile. Se poi dovessimo riuscire a vincere contro l’Uganda, questo ci aiuterà a guarire”.

Damiano Benzoni

UNA SETTIMANA NORVEGESE

Thor HushovdChi si aspettava che dalla prima settimana di Tour de France uscisse già un dominatore della corsa è rimasto deluso. Nonostante una cronosquadre ed un terzetto di tappe perlomeno miste (certo, nulla di paragonabile alle grandi montagne che vedremo da qui a poco), i primi venti in classifica generale sono rinchiusi nello spazio di 1’42’’. L’alfa e l’omega di questo gruppetto sono piuttosto sorprendenti: da un lato, il campione del mondo Thor Hushovd, sempre meno velocista e sempre più passista duro e resistente, tanto da aver resistito ottimamente anche su un arrivo impegnativo come quello di Super-Besse Sancy; dall’altro lato, Alberto Contador. Un Contador indubbiamente sfortunato, che ha passato molto, troppo tempo a rialzarsi da cadute ed incidenti vari; ma anche un Contador nervoso, con l’aggravante di aver corso le prime, rischiosissime frazioni nella pancia del gruppo, non potendo così evitare di essere coinvolto nei numerosi capitomboli del plotone. In più, la sua Saxo Bank non ha certo brillato nella cronosquadre, e tutti questi fattori spiegano un ritardo che comunque lascia stupiti. In mezzo ai due, i vari Evans, Klöden, fratelli Schleck, Vinokourov, Basso, Cunego e Gesink con i due italiani che sembrano in crescendo di condizione dopo una cronosquadre che, soprattutto per il varesino, non è stata molto positiva. L’australiano sembra invece l’atleta più in forma tra i favoriti per la vittoria finale, come ha dimostrato sullo strappetto del Mur de Bretagne,  anche se naturalmente le verifiche più ardue devono ancora arrivare. All’appello mancano il campione olimpico Sánchez, che con una pessima gestione di corsa si ritrova a 2’36’’, lo statunitense Leipheimer, presumibilmente tagliato fuori dai giochi a causa dei suoi 4’43’’ di ritardo, e il britannico Wiggins, costretto al ritiro a causa di una delle tante cadute che hanno segnato questa prima fase di corsa.

Ma nel titolo si parla di “settimana norvegese” perché oltre a Hushovd che resiste in giallo anche l’unico altro corridore del paese dei fiordi ha vissuto il suo giorno di gloria: Edvald Boasson Hagen, talento cristallino come pochi altri, si è infatti imposto a Lisieux, confermando le sue grandissime doti. Per il resto, le tre volate di gruppo hanno visto due successi di Cavendish e uno di Farrar, con Petacchi lontanissimo dai primi e coinvolto in un poco piacevole match d’insulti con lo spagnolo Rojas. A Super-Besse il portoghese Faria da Costa ha sorpreso tutti, mentre la prima tappa (e la prima maglia) erano andate a Philippe Gilbert, che ha fatto suo il traguardo di Monts des Alouettes disegnato apposta per lui, sfiorando il successo in altre due circostante.

E gli italiani? Detto di Basso, Cunego e Petacchi, c’è poco da segnalare. Una corsa onesta degli altri corridori azzurri, chiamati perlopiù a ruoli di gregariato: spiccano solo l’azione con cui Paolino Tiralongo, cercando di favorire Vinokourov, ha dato il via alle danze nella tappa di sabato, e la lunghissima fuga del campione nazionale a cronometro Adriano Malori, 220 chilometri davanti (gli ultimi in solitaria) verso Lisieux e il premio di combattività di giornata. La locomotiva di Parma, com’è stato prontamente soprannominato, sembra sempre più intenzionata a sbuffare verso un futuro di successi.