VUELTA: VINCE NIEVE, RODRÍGUEZ MAGLIA ROSSA

Colpo di scena alla Vuelta: Rodríguez scavalca Nibali in classifica generale nel giorno della vittoria di Nieve.

La sessantacinquesima Vuelta a España vive la sua giornata campale, sotto un cielo sereno ed una temperatura gradevole: i 181.4 km tra Gijón, nelle Asturie, e l’inedito arrivo in salita del Cotobello prevedono infatti, oltre all’ascesa finale, un gran premio della montagna di terza categoria e ben due di prima, il San Lorenzo e la Cobertoria.

Come sempre, appena il direttore di corsa fa partire ufficialmente la tappa si scatena la bagarre, con numerosi tentativi di attacco: tra gli altri, ci provano il russo Denis Menchov (Rabobank), in netta difficoltà nella prima parte di Vuelta a causa di una botta al ginocchio, il giovane feltrino Davide Malacarne (Quick Step) e il trentaquattrenne senese Daniele Righi (Lampre-Farnese Vini), ma i loro tentativi non hanno esito positivo. L’azione buona è opera di una decina di corridori: tra questi, troviamo Luis León Sánchez (Caisse d’Epargne), brillante passista murciano già vincitore di una Parigi-Nizza e di una Clásica di San Sebastián, Sebsatian Langeveld (Rabobank), venticinquenne olandese di belle speranze, e il trentenne Marco Marzano (Lampre-Farnese Vini), milanese di Cuggiono, già all’attacco nei giorni scorsi. Nutrita anche la presenza dei baschi dell’Euskaltel-Euskadi, che raggiungono i fuggitivi in un secondo momento con ben tre atleti. La fuga non guadagna un margine enorme, anche perché Sánchez è quindicesimo in classifica generale a 7’ da Nibali, dunque il vantaggio del gruppetto al comando non supera mai i 4 minuti, grazie al lavoro della Liquigas e della Saxo Bank di Fränk Schleck.

Sulla Cobertoria, penultima ascesa di giornata, è proprio il lussemburghese a rompere gli indugi nel gruppo della maglia rossa, nel tentativo di riscattare una Vuelta fin qui deludente: il suo tentativo viene annullato da uno straordinario Kreuziger, gregario fondamentale per Nibali, ma l’atleta della Saxo Bank ci riprova con maggiore decisione anche sulla salita finale, dove in testa alla corsa il ventiseienne Mikel Nieve (Euskaltel-Euskadi) stacca gli altri componenti della fuga. Nieve, nativo di Leitza, coglie così il primo successo della sua carriera, al termine di un’azione degna veramente dei migliori scalatori; dietro, Schleck riesce ad agguantare la seconda posizione, guadagnando una quarantina di secondi sugli altri big della classifica.

A 500 metri dal traguardo un Kreuziger sfinito si fa da parte e, in quel momento, Nibali viene attaccato sia da Rodríguez che da Mosquera, andando in netta difficoltà: fortunatamente, la vicinanza dell’arrivo gli permette di contenere i danni, che alla fine ammontano a circa 20’’ dal galiziano e 40’’ dal catalano, capace così di riconquistare la maglia di leader.

Il siciliano non ha probabilmente vissuto la sua giornata migliore, ma domani potrà sfruttare la seconda giornata di riposo di riposo di questa Vuelta per recuperare le energie, in vista dei 46 km a cronometro attorno a Peñafiel in programma per mercoledì: sulla carta, Nibali ha migliori doti di passista rispetto a Rodríguez, e potrebbe avere dunque una buona chance per insidiare la leadership del catalano. Ma in una corsa a tappe di tre settimane, nulla è da dare per scontato.

Ordine d’arrivo:

1) Mikel NIEVE (Euskaltel-Euskadi) in 4h51’59’’;

2) Fränk SCHLECK (Saxo Bank) a 1’06’’;

3) Kevin DE WEERT (Quick Step) a 1’08’’;

10) Vincenzo NIBALI (Liquigas-Doimo) a 1’59’’.

Classifica generale:

1) Joaquim RODRÍGUEZ (Team Katusha) in 70h24’39’’;

2) Vincenzo NIBALI (Liquigas-Doimo) a 33’’;

3) Ezequiel MOSQUERA (Xacobeo-Galicia) a 53’’.

Marco Regazzoni

VUELTA: VITTORIA IN CASA PER BARREDO

Il ciclista asturiano vince la tappa di Lagos de Covadonga, mentre Nibali mantiene la maglia rossa.

La quindicesima tappa della Vuelta prevede 187.3 km tra Solares, località della Cantabria, e Lagos de Covadonga, laghi glaciali situati in un parco asturiano: per giungere in questa località bisogna affrontare una salita di 12.6 km al 7.3%, ascesa che in passato ha visto trionfare atleti del calibro di Marino Lejarreta, Pedro Delgado, Laurent Jalabert, Pavel Tonkov e, nell’ultima occasione (2007), l’altro russo Vladimir Efimkin.

Dopo giorni di sole e forte caldo, la Vuelta viene bagnata da una pioggia irregolare ma fastidiosa, e da temperature che non superano i 20°. Dal gruppo, partito in tarda mattinata senza Óscar Freire (Rabobank), fuoriescono subito parecchi corridori, intenzionati a portar via la fuga di giornata: dopo vari tentativi, puntualmente rintuzzati dalla Liquigas di Nibali e dalla Xacobeo-Galicia di Mosquera, l’azione decisiva porta al comando un sestetto composto dallo spagnolo Carlos Barredo  (Quick Step), dal fiammingo Nico Sijmens (Cofidis), dal francese Pierre Cazaux (Française des Jeux), dallo slovacco Martin Velits (HTC-Columbia) e dalla coppia belga della Omega Pharma-Lotto composta da Greg Van Avermaet e Olivier Kaisen, entrambi già all’attacco nei giorni scorsi. Nel gruppetto di testa, i corridori più titolati sono l’asturiano Barredo, vincitore di una Clásica di San Sebastián e di una tappa alla Parigi-Nizza, e lo stesso Van Avermaet, venticinquenne di Lokeren che si impose sul traguardo di Sabiñánigo alla Vuelta 2008.

Il loro vantaggio sale oltre i nove minuti, con la Xacobeo-Galicia che si fa carico dell’inseguimento, riducendo poco a poco il margine dai fuggitivi: all’imbocco della salita finale, in testa alla corsa Barredo se ne va in solitaria, con il plotone della maglia rossa continua a ridurre il distacco grazie al lavoro della Liquigas-Doimo, in particolare con lo svizzero Oliver Zaugg e il ceco Roman Kreuziger. Ai 6 km dalla conclusione, prova lo scatto il solito, funambolico Ezequiel Mosquera (Xacobeo-Galicia) che, con la sua azione, manda in crisi Xavier Tondo (Cervélo), col quale condivideva la terza piazza in classifica generale, mentre Nibali e Rodríguez salgono regolari, ad una manciata di metri dal galiziano. La maglia rossa, dimostrando così una grande personalità oltre all’eccezionale stato di forma, controlla senza troppi patemi sia il distacco da Mosquera, che alla fine guadagnerà solo una decina di secondi, sia il diretto rivale Rodríguez, impedendogli qualsiasi scatto. Davanti, Carlos Barredo gestisce ottimamente il proprio margine di vantaggio e si impone in solitaria, conquistando la quinta vittoria della carriera, una vittoria particolarmente significativa perché lui, ventinovenne di Gijón, trionfa nelle sue Asturie, sulle strade di casa.

Vincenzo Nibali, sempre più leader di questa Vuelta, dovrà affrontare domani l’ostacolo probabilmente più impegnativo sul percorso verso la gloria di Madrid: i 181.2 km tra Gijón e Cotobello presentano infatti due gran premi della montagna di prima categoria, uno di terza e il traguardo posto al termine di un’ascesa lunga 10.1 km all’8.5% di pendenza media. Rodríguez e Mosquera sembrano assolutamente intenzionati a dare battaglia, ma un Nibali in queste condizioni potrebbe tener testa a chiunque.

Ordine d’arrivo:

1 ) Carlos BARREDO (Quick Step) in 4h33’09’’;

2 ) Nico SIJMENS (Cofidis) a 1’07’’;

3 ) Martin VELITS (HTC-Columbia) a 1’43’’;

8 ) Vincenzo NIBALI (Liquigas-Doimo) a 2’26’’.

Classifica generale:

1 ) Vincenzo NIBALI (Liquigas-Doimo) in 65h31’14’’;

2 ) Joaquim RODRÍGUEZ (Team Katusha) a 4’’;

3 ) Ezequiel MOSQUERA (Xacobeo-Galicia) a 39’’.

Marco Regazzoni

TENNIS: FOREST HILLS A RISCHIO DEMOLIZIONE

Lo storico campo newyorkese di tennis potrebbe essere venduto ad una società immobiliare.

Fino al 1977, quando ne venne deciso lo spostamento al vicino complesso di Flushing Meadows, gli US Open di tennis erano noti anche con il nome di Torneo di Forest Hills.

Il complesso tennistico di Forest Hills, situato in un’area esclusiva, ai margini del quartiere newyorkese del Queens, composto da 38 campi da tennis e una piscina, aveva visto la luce nel 1923, ed il suo stadio principale, il West Side Tennis Stadium, era stato concepito per contenere un pubblico di 14mila spettatori.

Durante la propria attività aveva ospitato le performance dei migliori tennisti del mondo: sia per il suo prestigioso torneo che per le finali di Coppa Davis, disputatesi per sette volte tra il 1923 e il 1959. Quando non si giocava a tennis, lo stadio di Forest Hills andava a meraviglia anche per i concerti: e altrettanto storici erano stati quelli dei Beatles, Frank Sinatra, Barbara Streisand e Jimi Hendrix negli anni sessanta. Anche il cinema lo aveva sfruttato, quando nel 1951 aveva fatto da location per il film “L’altro uomo” di Alfred Hitchcock.

A partire dal 1978, però, quando gli internazionali USA li poteva vedere solo puntando il cannocchiale cinque chilometri più a sud, verso il nuovo e meglio attrezzato complesso di Flushing Meadows, si erano giocati solo tornei tennistici minori; e fatta eccezione per un festival rock negli anni novanta, era stato utilizzato sempre più raramente.

E, proprio eccependo gli altissimi costi a perdere per la manutenzione ordinaria dello stadio, la proprietà, un’associazione privata denominata West Side Tennis Club, è adesso orientata a vendere l’intero complesso per una cifra di circa 9 milioni di dollari a una società immobiliare, la Cord Meyer Development Company, che dovrebbe riconvertire l’area alla costruzione di palazzi residenziali per grandi ricconi, dotati oltre dell’immancabile beauty center, anche di un museo del tennis.

La decisione ufficiale sarà presa il 23 settembre, quando si riunirà a questo scopo l’assemblea dei 291 membri con diritto di voto del club, ma un sondaggio tra questi ha confermato l’intenzione di tirare diritto con il progetto di vendita.

Intanto, una parte dell’opinione pubblica newyorkese, che vede nello storico campo di Forest Hills un’impronta della propria memoria storica, sta setacciando la città alla ricerca di uno o più finanziatori, mossi da spirito filantropico, e disposti ad accollarsi le spese di manutenzione e di eventuale restauro per il rilancio del complesso. Contemporaneamente ha anche inviato un appello al sindaco di New York, il miliardario indipendente Michael Bloomberg.

Bloomberg ha promesso che si occuperà personalmente della faccenda, concludendo con il suo imperdibile motto:

New York è pulita. New York è divertente”.

Giuseppe Ottomano

PALLANUOTO: ARRIVEDERCI A EINDHOVEN 2012

Si chiudono gli Europei che hanno visto la rinascita della pallanuoto azzurra, conferme e novità.

Con la finalissima tra Croazia ed Italia, e quella di consolazione tra Serbia ed Ungheria, è calato definitivamente il sipario sugli Europei di Zagabria. Europei che hanno assistito al riscatto della pallanuoto nostrana, seconda con il Settebello e ai piedi del podio con il Setterosa (nessun’altra nazionale ha portato entrambe le selezioni tra le prime quattro classificate). Europei che hanno confermato lo strapotere delle squadre balcaniche, vincitrici indiscusse del titolo continentale da nove anni a questa parte, in campo maschile e della Russia in quello femminile. Europei che, al contrario, hanno messo in luce il difficile momento della pallanuoto ungherese, all’asciutto di medaglie e alle prese con un processo di rinnovamento in vista delle Olimpiadi di Londra. Europei che hanno visto più di una squadra ricorrere ad una difesa a zona mista – raddoppio nelle sole posizioni 2 e 3 – volta a spingere a concludere i (presumibili) peggiori tiratori avversari e a dare avvio a controfughe. Europei che hanno avuto note negative, come la mancata copertura televisiva degli incontri mattutini – noi italiani ci siamo persi le vittorie contro Montenegro e Turchia – e lo scarso numero di spettatori nelle partite in cui non giocavano le rappresentative croate.

E adesso l’attenzione è rivolta a Eindhoven, sede della prossima rassegna iridata continentale: già qualificate, oltre all’Olanda organizzatrice, le varie Croazia, Italia, Serbia, Ungheria e Montenegro. Le squadre che invece a Zagabria si sono classificate dal sesto al dodicesimo posto vanno a completare la griglia dei gironi di qualificazione. Cioè i seguenti:

Gruppo A: Turchia, Malta, Polonia
Gruppo B: Germania, Slovenia, Portogallo, Bulgaria
Gruppo C: Spagna, Macedonia, Bielorussia
Gruppo D: Russia, Francia, Svizzera
Gruppo E: Grecia, Gran Bretagna, Georgia
Gruppo F: Romania, Slovacchia, Ucraina, Israele

Il 30 ottobre inizieranno le prime partite: per ogni girone sono previsti incontri di andata e ritorno tra tutte le squadre. Le prime due classificate accedono alla fase successiva, che sarà a eliminazione diretta e inizierà ad ottobre 2011.

Infine, sono stati premiati come miglior marcatore del torneo maschile il capitano serbo Vanja Udovičić con 18 reti (una in più del rumeno Radu e due in più dello spagnolo Molina) e come miglior realizzatrice del torneo femminile la greca Angeliki Gerolymou con 17 reti.

EUROPEI DI PALLANUOTO 2010

RISULTATI TORNEO MASCHILE

FINALE 3°-4° POSTO

Serbia-Ungheria 10-8

FINALE 1°-2° POSTO

Croazia-Italia 7-3

CROAZIA CAMPIONE D’EUROPA (prima volta)

CLASSIFICA FINALE TORNEO MASCHILE

1 ) Croazia

2 ) ITALIA

3 ) Serbia

4 ) Ungheria

5 ) Montenegro

6 ) Germania

7 ) Romania

8 ) Spagna

9 ) Grecia

10 ) Turchia

11 ) Russia

12 ) Macedonia

Simone Pierotti

PALLANUOTO: SETTEBELLO, SCONFITTA CON ONORE

Nella finalissima degli Europei di Zagabria l’Italia si inchina ai padroni di casa (7-3) ma esce a testa alta.

“Le parole sono importanti” ammoniva Nanni Moretti nei panni di Michele Apicella nel  film “Palombella rossa”. Giusto. E quindi è più corretto dire non che l’Italia della pallanuoto maschile ha perso l’oro, ma che ha vinto l’argento. Perché questo secondo posto agli Europei di Zagabria coincide davvero con la rinascita di un movimento che nel corso degli anni aveva patito troppe delusioni, specialmente tra gli uomini. Il Settebello ha stupito tutti: ha superato un girone difficilissimo battendo Spagna e Montenegro, ha spezzato la serie negativa con la Romania, ha giocato magnificamente con l’Ungheria. Certo, è mancata la ciliegina sulla torta contro la Croazia, alla prima affermazione europea, confermatasi bestia nera degli azzurri di Sandro Campagna in questa tornata. Ed è proprio lui, il tecnico siciliano, il principale artefice di questo miracolo: era stato criticato per alcune convocazioni – vedi Bertoli e Fiorentini quando altri caldeggiavano Figari e Giorgetti – ma i fatti gli hanno dato ragione. Merito suo e dei suoi straordinari giocatori se il Settebello è tornato tra le grandi d’Europa, se è tornato a farci gioire ed emozionare. Che questo argento sia davvero un nuovo punto di partenza per la nostra pallanuoto.

Come era facile prevedere gli spalti del “Mladost Sports Center” sono colonizzati dai sostenitori croati e c’è pure Ivo Josipović, presidente della Repubblica: 5mila tifosi in bianco e rosso che fanno pendere l’ago della bilancia dalla parte degli uomini di Ratko Rudić. Che, dopo aver rischiato lo svantaggio sull’uomo in meno (decisiva la deviazione di capitan Barač su tiro dal vertice destro di Gallo), fanno subito infiammare il pubblico: arriva la prima superiorità numerica e Bošković pesca sul secondo palo il solitario Bušlje che non ha difficoltà a schiacciare il pallone in rete. L’Italia, da copione, si difende a zona raddoppiando, però, solo dalle posizioni 2 e 3: è una tattica per non far giungere a destinazione i servizi al centro, dove Gitto e Fiorentini si alternano nella simil-lotta grecoromana con il possente Dobud. Ma, dall’altro lato, lascia troppo spazio a Bošković che inquadra lo specchio e scaglia violentemente il pallone all’incrocio dei pali, con Tempesti che nulla può di fronte a cotanta potenza. Gli azzurri raccolgono pazientemente i primi cocci rotti e ripartono con serenità: guadagnano subito un’altra espulsione e questa volta fanno centro con un gol di Luongo, bravo a sfruttare la marcatura morbida di Bošković e a infilare Pavić sul primo palo. La partita si accende: il legno di Obradović fa il pari con quello di Figlioli, Aicardi riesce a girarsi al centro ma la sua conclusione viene strozzata. E a otto secondi dalla fine gli azzurri pareggiano con una staffilata di Figlioli che trova l’angolo basso, laggiù, dove la mano di Pavić non arriva. Il Settebello c’è. Eccome se c’è. Una volta vinta l’emozione dei minuti iniziali, esce allo scoperto e mette paura alla Croazia. Pavić vola su due conclusioni di Figlioli, la girata da breve distanza di Gitto finisce fuori per una questione di centimetri e poi lo stesso portiere croato fa buona guardia su una beduina di Deserti. Sul fronte della difesa gli azzurri chiudono i varchi, ma si arrendono al gol del capitano Samir Barač, tra i protagonisti dei primi successi del Brescia, che mette a sedere difensori e Tempesti in superiorità: è l’unico gol di un parziale che ci vede arrembanti, ordinati in difesa e sfortunati in attacco, giacché Aicardi e Deserti svolgono un gran lavoro sui due metri vanificato solamente dai salvataggi di un Pavić in grande forma.

Il dato negativo degli azzurri è proprio la fase offensiva, dove il solo Luongo ha segnato in superiorità numerica e dove andiamo in bianco per l’intero secondo tempo: frenesia e precipitosità sono le nostre consigliere fraudolente. Si vede, insomma, che manca Felugo. Ed è così pure nei successivi otto minuti, nei quali la porta avversaria ci sembra un cantuccio piccolo piccolo e la Croazia inizia a mettere le mani sull’oro con due reti identiche a quelle che ci hanno già segnato: Bošković si fa ancora apprezzare per i tiri da posizione 2, con il pallone che schizza sotto la traversa, mentre Buslje è nuovamente smarcato sul secondo palo in superiorità numerica, pronto ad accompagnare la sfera tricolore in fondo alla rete. Mancano tre lunghezze da recuperare, ad otto minuti dalla conclusione: non sarebbe un’impresa impossibile se l’Italia non incontrasse tutte queste difficoltà nell’andare a segno. Ci pensano comunque i croati a mettere a tacere qualsiasi velleità di rimonta: Joković spara sotto l’incrocio un tiro che Tempesti può solo sfiorare e, successivamente, Muslim sigla una rete che fa assumere al risultato le sembianze di una punizione fin troppo severa nei confronti del Settebello. Che mette dentro l’ultimo gol dell’incontro con Gallo, una conclusione dalla distanza che fa breccia in uno dei pochi momenti in cui Pavić non è irreprensibile. Il portiere del Mladost, infatti, neutralizza anche gli ultimi, disperati tentativi degli azzurri. Bacia il pallone ogni volta che salva il risultato. Ed è il primo ad alzare le braccia prima del triplice fischio che sancisce la prima volta europea della Croazia. Nove anni dopo, l’Italia si ferma ancora una volta a un passo dall’oro. Ma a Budapest non fece tanto scalpore, oggi sì perché è un argento conquistato con un gruppo – sì, un gruppo – rivoluzionato da un anno a questa parte e con numerosi giovani tanto inesperti quanto generosi e impagabili per abnegazione. A Shangai torneremo a presentarci tra le favorite: è soprattutto dalle sconfitte che si costruiscono i successi più luminosi. Il futuro è anche nostro. Basta volerlo, Federazione e società in primis.

 

Sabato 11 settembre 2010

CROAZIA-ITALIA 7-3 (2-2, 1-0, 2-0, 3-1)

Mladost Sports Center, Zagabria

CROAZIA: Pavić, Joković 1, Bošković 2, Burić, Barač 1, Sukno, Dobud; Muslim 1, Karač, Bušlje 2, Hinić, Obradović, Buljubašić. All. Rudić.

ITALIA: Tempesti, Gallo 1, Fiorentini, Gitto, Figlioli 1, Presciutti, Aicardi; Pastorino ne, Luongo 1, Bertoli, Felugo ne, Giacoppo, Deserti. All. Campagna.

ARBITRI: Tulga (Turchia) e Stavridis (Grecia).

NOTE: superiorità numeriche Italia 1/8, Croazia 3/7. Spettatori 5000. Presenti in tribuna il presidente della FIN Paolo Barelli, il segretario generale della FIN Antonello Panza ed il presidente della Repubblica croata Ivo Josipović.

 

ALBO D’ORO EUROPEI PALLANUOTO

1926 Ungheria
1927 Ungheria
1931 Ungheria
1934 Ungheria
1938 Ungheria
1947 ITALIA
1950 Olanda
1954 Ungheria
1958 Ungheria
1962 Ungheria
1966 Urss
1970 Urss
1974 Urss
1977 Ungheria
1981 Germania Ovest
1983 Urss
1985 Urss
1987 Urss
1989 Germania Ovest
1991 Jugoslavia
1993 ITALIA
1995 ITALIA
1997 Ungheria
1999 Ungheria
2001 Jugoslavia
2003 Serbia-Montenegro
2006 Serbia
2008 Montenegro
2010 Croazia

Simone Pierotti