LA PRIMA GUERRA DELLA PALLANUOTO

Gli innumerevoli conflitti nei Balcani vissuti attraverso uno degli sport più popolari della regione: la pallanuoto.

Quando, nel 1926, si svolsero a Budapest i primi campionati europei riservati agli sport acquatici, la Jugoslavia era un’unica entità nazionale: all’epoca si chiamava Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni ed inglobava anche gli attuali territori di Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia e Montenegro. Di lì a tre anni sarebbe diventato, più semplicemente, Regno di Jugoslavia. La prima medaglia della nazionale di pallanuoto, tuttavia, arriva solamente nel 1950 ed è un bronzo: nel frattempo è nuovamente cambiata la situazione sul piano geopolitico. Pochi mesi dopo la conclusione della seconda Guerra Mondiale, infatti, era stata proclamata la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, anche se la transizione dalla monarchia alla nuova forma di governo era già avvenuta negli anni precedenti.

Una volta conquistato il bronzo a Vienna – strano scherzo del destino, giacché parte dei territori jugoslavi erano stati, un tempo, sotto il dominio dell’impero austro-ungarico -, la nazionale di pallanuoto siede fin da subito al tavolo delle grandi del Vecchio Continente: il settebello slavo salirà sul podio per ben otto edizioni consecutive, portando a casa quattro medaglie d’argento. Quasi sempre la squadra deve cedere il passo alle altre due potenze pallanotistiche d’Oltrecortina, Ungheria ed Unione Sovietica, ma si vede che manca poco per compiere il salto definitivo.

I primi successi. Negli anni Ottanta, quando iniziano i primi fermenti nazionalisti in seguito alla morte del maresciallo Tito, la Jugoslavia raggiunge finalmente l’apice sotto la guida del santone Ratko Rudić (nella foto a destra): ben due ori olimpici (1984 e 1988, entrambi conquistati ai danni degli Stati Uniti) ed il primo trionfo mondiale, nel 1986 a Madrid con una vittoria all’ultimo secondo sull’Italia. Ed è proprio sulla panchina del Settebello che andrà Rudić, lasciando spazio a Nikola Stamenić. Il nuovo allenatore si guadagna subito la stima dei vertici federali, vincendo nel gennaio 1991 i Mondiali a Perth: in finale la Jugoslavia supera di misura (9-8) la nascente Spagna dei vari Estiarte, Rollán e Sans. La forza della nazionale si basa tutta su due blocchi, quello serbo e quello croato, con il montenegrino Mirko Vičević, protagonista in Italia con la calottina del Savona, come unica eccezione.

Ma, proprio quando sembra che la nazionale balcanica non abbia avversari in grado di contrastarla, ecco piovere dal cielo una nuova tegola: la vittoria, avvenuta l’anno precedente, dei partiti anticomunisti di Jože Pučnik in Slovenia e, soprattutto, di Franjo Tuđman in Croazia. Iniziano le prime rivendicazioni di indipendenza, la situazione precipita e nell’estate del 1991 le autorità sportive croata e slovena proibiscono ai loro atleti di partecipare alle varie competizioni con la selezione jugoslava. Di lì a pochi giorni si aprono gli Europei ad Atene e la squadra di Stamenić, fresca vincitrice del Mondiale, deve rinunciare a cinque pezzi pregiati come Mislav Bezmalinović, Perica Bukić (oggi presidente della federpallanuoto croata), Ranko Posinković, Dubravko Šimenc e persino Ante Vasović, padre serbo e madre croata, appiedato dal suo club, lo Jadran Spalato. I sostituti, comunque, si rivelano all’altezza della situazione e la Jugoslavia sale per la prima volta sul tetto d’Europa: pochi mesi dopo Perth, in finale è nuovamente duello con la Spagna, battuta ancora una volta sul filo di lana (11-10). Croazia e Slovenia si separano. È, comunque, il canto del cigno della nazionale della Jugoslavia unita, giacché l’anno successivo nessuna delle selezioni balcaniche figurerà tra le partecipanti ai Giochi olimpici di Barcellona dove, peraltro, arrivano in finale due allenatori croati: da una parte Ratko Rudić sulla panchina dell’Italia, dall’altra Dragan Matutinović su quella della Spagna. Nel frattempo scoppia la guerra nei Balcani e Bosnia, Croazia, Macedonia e Slovenia ottengono l’agognata indipendenza: la vecchia Jugoslavia di Tito si sgretola, dalla bandiera viene rimossa la celebre stella rossa e a rappresentare la vecchia repubblica federale restano solo Serbia, Montenegro e Kosovo. La nuova nazionale, che rimane sotto la guida di Stamenić, soffre il definitivo addio della componente croata ed impiega qualche anno per rimettere al proprio posto i suoi pezzi: nel 1997, agli Europei di Siviglia, deve accontentarsi dell’argento e l’anno successivo finisce terza ai Mondiali di Perth. Inizia il nuovo millennio e, a dieci anni esatti dal primo trionfo continentale, la Jugoslavia torna nuovamente a dettar legge: chiusa la lunga era di Stamenić, è Nenad Manojlović il nuovo selezionatore. A Budapest serbi e montenegrini battono in finale l’Italia del nuovo corso di Sandro Campagna, che ha preso il posto di Rudic: l’argento in terra magiara rimane, tuttora, l’ultimo podio del Settebello agli Europei.

La battaglia di Kranj. Sebbene gli anni Novanta siano stati quelli che hanno deciso in via definitiva le sorti dei Balcani, è nella successiva decade che sport e politica incrociano maggiormente le loro strade. Lo scenario “perfetto” è quello disegnato dagli Europei del 2003: si gioca a Kranj, in Slovenia, ed in finale arrivano la Croazia e la neonata Serbia-Montenegro (che però sulle calottine riporta ancora la sigla YUG). In acqua ed in tribuna non mancano le scintille: una finale è pur sempre una finale e si affrontano due paesi separati un tempo da un odio reciproco. Alcuni tifosi croati forzano gli ingressi ed entrano senza pagare regolarmente il biglietto La Croazia conduce per lungo tempo l’incontro e arriva fino al 7-4, ma dall’altra parte c’è un avversario indomito che riesce a prolungare la sfida ai tempi supplementari, intervallati dalle medicazioni all’arbitro slovacco Kratovchil, colpito alla testa da un bullone: nella prima delle due proroghe il serbo Šapić segna il gol del definitivo 9-8. Sugli spalti si scatena l’inferno, complice un servizio di sicurezza inadeguato per la circostanza (appena quaranta gli agenti impiegati per controllare quasi tremila persone): gli uligani croati, molti dei quali ubriachi, sradicano i seggiolini e li lanciano con veemenza in acqua e verso le panchine. Un altro gruppo si avvicina alla zona delle tv e danneggia impianti e materiali, interrompendo per alcuni minuti il collegamento Rai. A rinfocolare gli animi ci pensano persino le autorità, con i ministri serbi Boris Tadić e Goran Svilanović che si danno alla pazza gioia: quest’ultimo addirittura si tuffa in acqua per festeggiare la squadra. Non è tutto: a Belgrado i tifosi scendono in strada per festeggiare ma, una volta viste le immagini in tv, si dirigono all’ambasciata croata. Vetri infranti, muri imbrattati, la bandiera a scacchi bianchi e rossi bruciata e sostituita con il tricolore serbo-montenegrino. Analoga situazione a Novi Sad, dove la folla inneggia addirittura ai criminali di guerra Mladić e Karadžić. Scoppia il caso diplomatico: Milan Simurdić, ambasciatore serbo in Croazia, viene convocato d’urgenza dal governo di Zagabria mentre il ministro degli Esteri Tonino Picula annulla una visita in Montenegro.

Dall’ex Jugoslavia alla Serbia. Passano tre anni: gli Europei si svolgono ancora nei Balcani, a Belgrado. Vince la Serbia padrona di casa, orfana però dei giocatori montenegrini: pochi mesi prima (21 maggio) un referendum aveva infatti sancito l’indipendenza del Montenegro, comunque riconosciuta dal governo serbo. Tuttavia, prima della scissione, sotto la bandiera delle due nazioni ancora unite la squadra aveva vinto la sua seconda World League, torneo che solitamente serve come banco di prova in vista degli eventi più importanti. E così la nazionale serba, ora allenata da Dejan Udovičić, passa alla storia per aver vinto quattro volte il titolo europeo con altrettante, diverse denominazioni. L’ultimo episodio degli intrecci tra sport e politica nei Balcani risale all’estate 2008, alla vigilia dei Giochi olimpici di Pechino: a Málaga arrivano in finale proprio Serbia e Montenegro, con vittoria, neanche poi sorprendente, di questi ultimi. La saga si è recentemente arricchita di un nuovo capitolo: a Zagabria indosserà la calottina montenegrina l’esperto portiere Denis Šefik, fino al 2008 in forza alla nazionale serba. La sua ultima apparizione risale ai Giochi di Pechino: qui si rese protagonista di un acceso diverbio (poi degenerato in rissa) all’interno del villaggio olimpico con Aleksandar Šapić, che accusò Šefik di essere stato corrotto proprio dai montenegrini in occasione della finale di Málaga. Le due nazionali non figurano nello stesso girone, ma chissà che il destino non decida di porle nuovamente una di fronte all’altra come nella recente finale di World League e, chissà, regalare altre storie da raccontare.

(Articolo pubblicato sul Numero 1 di Pianeta Sport)

CHAMPIONS’: TOTTENHAM QUALIFICATO, SI RIVEDE L’AJAX

Seconda ed ultima giornata di spareggi in Champions’ League: si qualifica il Tottenham, ritornano Ajax e Auxerre, debutto per lo Žilina.

Se la prima giornata delle partite di ritorno degli spareggi di Champions’ League aveva riservato qualche sorpresa, nella seconda tutto è andato secondo copione. Nessuna eliminazione clamorosa, insomma. A Bursaspor e Twente, già qualificate per la fase a gironi, ed Hapoel Tel Aviv e Sporting Braga, che hanno raggiunto l’obiettivo martedì sera, si aggiungono altre due esordienti in Champions’ League: gli slovacchi dello Žilina e, soprattutto, gli inglesi del Tottenham. Un gradito ritorno nella massima competizione continentale è certamente quello dell’Ajax, assente da cinque anni.

I fari erano tutti puntati su Londra, a White Hart Lane: il Tottenham doveva vincere con almeno una rete di scarto (ma entro il 3-2) per qualificarsi ai danni degli svizzeri dello Young Boys, altra squadra che, in caso di arrivo alla fase a gironi, avrebbe festeggiato una storica prima volta. Ma la differenza tecnica si è vista e sono bastati cinque minuti all’undici inglese per far dissipare i dubbi maturati dopo la sconfitta per 3-2 nel match di andata: a rompere gli indugi è Crouch, cui fa seguito il gol di Defoe. Nella ripresa lo stesso Crouch va a segno altre due volte, emulando così il brasiliano Lima dello Sporting Braga. Il Tottenham regala così ai suoi tifosi l’esordio in Champions’ League, anche se in realtà i londinesi avevano già giocato nella più importante competizione europea: era la stagione 1960-61 ed il trofeo si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Esattamente cinquant’anni dopo, il sogno è nuovamente realtà.

E c’è un’altra debuttante che brinda alla qualificazione: è lo Žilina, lo scorso anno vincitore del campionato slovacco, che – curiosità – non annovera tra i propri giocatori membri della nazionale che ha eliminato l’Italia al Mondiale sudafricano. I gialloverdi si aggiudicano anche nel match di ritorno il “derby” contro lo Sparta Praga: il 2-0 di otto giorni prima aveva già di fatto messo in cassaforte il passaggio del turno, poi Ceesay segna il gol che dà agli slovacchi il successo anche di fronte al pubblico amico. Era dal 1997-98 che una slovacca mancava dalla fase a gruppi della Champions’: l’ultimo onore era toccato al Košice. Dal derby tra due paesi un tempo uniti sotto la stessa bandiera alla sfida fratricida tra squadre scandinave: tra FC Copenhagen e Rosenborg sono i danesi a gioire, grazie alla vittoria per 1-0 firmata dal gol di Ottesen. Il Copenhagen passa in virtù del maggior numero di reti segnate in trasferta (all’andata vinse 2-1 il Rosenborg).

La Champions’ League riabbraccia poi altre due squadre che mancavano da molti anni: il nome più prestigioso è senza dubbio quello dell’Ajax. I lancieri partivano dall’1-1 strappato a Kyiv ed era sufficiente un pareggio a reti bianche per archiviare la pratica: i tifosi accorsi all’Amsterdam ArenA vogliono però certezze e così l’uruguayano Suárez, tra i protagonisti dell’ultimo Mondiale, li accontenta. Nella ripresa raddoppia El Hamdaoui ad un quarto d’ora dal termine, poi l’ex milanista Ševčenko prova a riaprire l’incontro segnando dal dischetto, ma ormai è troppo tardi. Infine, va fuori lo Zenit San Pietroburgo allenato da Luciano Spalletti: la formazione russa esce al cospetto dell’Auxerre che, con un gol per tempo (di Hengbart il primo, chiude i conti Jeleń), ribalta l’1-0 dell’andata e riconquista la Champions’.

Oggi alle 18 appuntamento a Montecarlo con i sorteggi della fase a gironi.

RISULTATI SPAREGGI CHAMPIONS’ LEAGUE

Mercoledì 25 agosto 2010

FC Copenhagen (DEN) – Rosenborg (NOR) 1-0 (and. 1-2)

33′ Ottesen (C)

Žilina (SVK) – Sparta Praga (CZE) 0-0 (and. 2-0)

18′ Ceesay (Ž)

Tottenham (ENG) – Young Boys (SUI) 4-0 (and. 2-3)

5′ Crouch (T), 32′ Defoe (T), 61′ e 78′ rig. Crouch (T)

Auxerre (FRA) – Zenit San Pietroburgo (RUS) 2-0 (and. 0-1)

9′ Hengbart (A), 53′ Jeleń (A)

Ajax (NED) – Dynamo Kyiv (UKR) 2-1 (and. 1-1)

43′ Suárez (A), 75′ El Hamdaoui (A), 84′ rig. Ševčenko (D)

QUALIFICATE ALLA FASE A GIRONI:

FC Copenhagen, Žilina, Tottenham, Auxerre e Ajax.

Simone Pierotti

KIEV: PRIVATIZZATO LO STADIO DELLA “PARTITA DELLA MORTE”

La squadra della StartLo scorso 12 agosto la versione in inglese del quotidiano ucraino Kyiv Post ha annunciato che lo stato ucraino, ininterrottamente sull’orlo della bancarotta fin dall’indipendenza, ha venduto a un gruppo privato il piccolo, ma leggendario, Stadio dello Start di Kiev, noto per essere stato il teatro dell’altrettanto leggendaria partita della morte del 9 agosto 1942, tra gli occupanti tedeschi della Flakelf, la squadra della Luftwafe, e la Start, una selezione di calciatori ucraini, tesserati tra la Dinamo e la Lokomotiv in tempo di pace.

Per la trattativa di vendita, il governo ucraino ha optato per il modello italiano, cedendo lo stadio con una procedura riservatissima a una misteriosa società, denominata Golden House, dietro la quale, secondo il Kyiv Post, si celerebbero un gruppo di personaggi legati al neo-primo ministro Mykola Azarov. Il prezzo di questa vendita è ammontato a 10 milioni di grivne, pari a circa un milione di euro, un valore secondo lo stesso quotidiano del tutto insufficiente a coprire quello reale dell’immobile. Da parte sua il governo ucraino ha puntato l’accento sulle fatiscenti condizioni dello stadio, e alla nuova proprietà ha posto il vincolo di non cambiarne la destinazione d’uso e di provvedere ad opere di restauro.

Senza alcun dubbio lo Stadio dello Start, che fino al 1981 si chiamava Stadio Zenit, è ben vivo nella memoria della popolazione di Kiev, e la partita della morte, vinta poi per 5-3 dalla formazione ucraina, quasi interamente internata nelle prigioni e nei lager poche settimane dopo, su quella nazista, è stata da sempre sospesa tra un alone di leggenda e la storia.

Per la leggenda ha prontamente provveduto la propaganda sovietica, che nel 1964 ci ricamò sopra un film patriottico, “Terzo Tempo” di Evgenij Karelov, poi surclassato quanto a retorica dai produttori cinematografici americani con il ben più famoso kolossal “Fuga per la vittoria”, datato 1981, e interpretato da Sylvester Stallone, Michael Caine, Pelé e Bobby Moore, nel quale i calciatori sovietici erano stati sostituiti da quelli alleati. Ma si era in tempi di guerra fredda, e non ci si curava troppo di onorare i caduti della parte opposta.

Dal punto di vista storico ha invece provveduto a piallare qualche mito di troppo lo scrittore britannico Simon Kuper, con il suo libro “Football against the enemy” del 1994, dove ha ricordato che i giocatori dello Start, poi internati nei lager, provenivano dalla Dinamo Kiev, la squadra della NKVD, la polizia segreta sovietica, antesignana del KGB; mentre quelli appartenenti alla Lokomotiv, la formazione dei più innocui ferrovieri, non avevano subito rappresaglie.

Giuseppe Ottomano

CHAMPIONS’: SAMP E SIVIGLIA ELIMINATE

Primi verdetti negli spareggi di Champions’ League: la Sampdoria non ce la fa, fuori anche Siviglia e Anderlecht.

La Sampdoria sbattuta fuori quando la qualificazione alla fase a gironi sembrava cosa fatta. La clamorosa eliminazione del Siviglia per mano dello Sporting Braga. L’esordio dell’Hapoel Tel Aviv, terza squadra israeliana a raggiungere la fase a gironi. Il ritorno, dopo oltre cinque anni di assenza, del Basilea e del Partizan Belgrado. Sono questi i primi verdetti degli spareggi di Champions’ League per accedere alla fase a gruppi.

La vera sorpresa della serata è la rocambolesca qualificazione del Werder Brema ai danni della Sampdoria. Costretti a rimontare il 3-1 del match di andata, i blucerchiati potrebbero ritenere la pratica già archiviata dopo neppure un quarto d’ora: in cinque minuti uno scatenato Pazzini segna una doppietta (il primo gol di testa, il secondo con una pregevole girata al volo) che basterebbe per passare il turno. A cinque minuti dal novantesimo, poi, Cassano segna di tacco: sembra il preludio al trionfo sampdoriano, ma al terzo minuto di recupero lo svedese Rosenberg batte Curci con un diagonale di chirurgica precisione e prolunga la sfida ai supplementari, dove Pizarro trova il gol che risveglia i genovesi dal sogno Champions’. Inattesa anche l’eliminazione del Siviglia, che appena un anno fa giunse agli ottavi, per mano dello Sporting Braga: dopo la sconfitta di misura in terra portoghese, gli andalusi soccombono anche al Ramón Sánchez Pizjuán al termine di un pirotecnico 4-3. Ospiti in vantaggio alla mezzora del primo tempo con Matheus, poi nella ripresa segna Lima: in ventiquattro minuti il Siviglia riesce a pareggiare i conti grazie a Luís Fabiano (che quella di ieri sera sia stata davvero l’ultima apparizione in maglia biancorossa?) e a Jesús Navas, poi ne bastano cinque al brasiliano Lima per timbrare il cartellino altre due volte e siglare così la tripletta personale. Inutile, nel primo minuto di recupero, il gol di Kanouté.

In Israele, frattanto, potrebbero ribattezzare “zona Zahavi” la nostra zona Cesarini: l’attaccante dell’Hapoel Tel Aviv continua a segnare gol decisivi proprio sui titoli di coda. Successe lo scorso maggio a Gerusalemme, quando la sua rete regalò lo scudetto all’Hapoel Tel Aviv. È successo ieri sera al “Bloomfield Stadium” nel ritorno degli spareggi contro i Red Bull Salisburgo: in chiusura di primo tempo un autogol del brasiliano Douglas rimette in gioco gli austriaci (che devono comunque segnare almeno un’altra rete per qualificarsi) poi al 92’ l’eroe Zahavi scioglie ogni dubbio e mette al sicuro la qualificazione alla fase a gironi: è la prima volta per l’Hapoel Tel Aviv. Per la quarta volta in cinque anni, e per il secondo anno consecutivo, il Salisburgo non riesce a centrare l’obiettivo della fase a gironi: anche un anno fa fu una squadra israeliana, il Maccabi Haifa, a sbattere fuori gli austriaci ad un passo dal traguardo.

Dopo settantacinque minuti di sofferenza, il Basilea riesce ad avere la meglio in casa dello Sheriff Tiraspol, che sognava di diventare la prima squadra moldava ad arrivare alla fase a gruppi: Streller regala il vantaggio, poi la doppietta di Frei suggella il trionfo elvetico. Il Basilea ritorna così in Champions’ League dopo un anno di purgatorio: potrebbe ritrovare sulla sua strada un reduce della storica apparizione del 2001-02, l’australo-serbo Ivan Ergić, ora in forza al Bursaspor. Infine, servono i rigori per decretare la vincitrice tra Anderlecht e Partizan Belgrado: al Constant Vanden Stock finisce come all’andata (2-2). Serbi che vanno sul doppio vantaggio grazie ai due gol del brasiliano Cléo, poi i biancomalva riequilibrano le sorti dell’incontro con Lukaku e Gillet. Si va ai rigori, dove è decisivo l’errore di Boussoufa. Dopo sei anni, è nuovamente Champions’ per il Partizan.

RISULTATI SPAREGGI CHAMPIONS’ LEAGUE

Martedì 24 agosto 2010

Hapoel Tel Aviv (ISR) – Salisburgo (AUT) 1-1 (and. 3-2)

42’ ag Douglas (S), 92’ Zahavi (H)

Sheriff Tiraspol (MDA) – Basilea (SUI) 0-3 (and. 0-1)

75’ Streller, 80’ e 87’ Frei

Anderlecht (BEL) – Partizan Belgrado (SER) 4-5 dcr (and. 2-2)

15’ e 53’ Cléo (P), 64’ Lukaku (A), 71’ Gillet (A)

Siviglia (ESP) – Sporting Braga (POR) 3-4 (and. 0-1)

31’ Matheus (B), 58’ Lima (B), 60’ Luís Fabiano (S), 84’ Jesús Navas (S), 85’ e 90’ Lima (B), 91’ Kanouté (S)

Sampdoria (ITA) – Werder Brema (GER) 3-2 dts (and. 1-3)

8’ e 13’ Pazzini (S), 85’ Cassano (S), 93’ Rosenberg (W), 100’ Pizarro (W)

QUALIFICATE ALLA FASE A GIRONI:

Hapoel Tel Aviv, Basilea, Partizan Belgrado, Sporting Braga e Werder Brema.

Simone Pierotti

UNA VUELTA PER GRANDI SCALATORI

Parte sabato il Giro di Spagna: favoriti Menchov, Sastre e Schleck, con il nostro Nibali possibile outsider.

Sabato 28 agosto prende il via la sessantacinquesima Vuelta a España, che si svolgerà in ventuno tappe fino al 19 settembre, per complessivi 3418,5 km. Il percorso sembra essere decisamente adatto agli scalatori, che potranno contare su ben sei arrivi in quota e quaranta gran premi della montagna complessivi: Xorret de Catì, Andorra, Peña Cabarga, Lagos de Covadonga, Cotobello e Alto de las Guarramillas sono i traguardi che scatenano le fantasie dei grimpeur. In particolare, l’ultimo di questi è una salita mai affrontata nella storia della corsa spagnola, e potrebbe veramente fare la differenza. Soltanto due le cronometro: si parte a Siviglia con una cronosquadre in notturna di 13 km, mentre la diciassettesima frazione avrà partenza ed arrivo a Peñafiel dopo 46 km contro il tempo. L’ultima tappa prevede il tradizionale arrivo nel centro di Madrid, dove verrà incoronato il vincitore della maglia rossa, che da quest’anno sostituisce la maglia amarillo per indicare il leader della corsa. Ma chi sarà l’erede di Alejandro Valverde, attualmente sospeso dall’UCI per le note vicende legate al dottor Fuentes? I nomi più indicati sono quelli di Andy Schleck (Saxo Bank), aiutato come sempre dal fratello Fränk, di Carlos Sastre (Cervélo) e di Denis Menchov (Rabobank); in seconda fila troviamo il siciliano Vincenzo Nibali (Liquigas-Doimo), al primo grande giro con i gradi di capitano, che verrà affiancato dal ceco Roman Kreuziger, ma attenzione anche al catalano Joaquim Rodríguez (Team Katusha), all’esperto galiziano Ezequiel Mosquera (Xacobeo-Galicia) e al basco Igor Antón (Euskaltel-Euskadi).

Nelle volate di gruppo, oltre al solito duello tra Mark Cavendish (HTC-Columbia) e Tyler Farrar (Garmin), cercheranno gloria anche il norvegese Thor Hushovd (Cervélo), l’australiano Allan Davis (Astana), l’eterno Oscar Freire (Rabobank), il bielorusso Yauheni Hutarovich (Française des Jeux), l’aretino Daniele Bennati (Liquigas-Doimo) e lo spezzino Alessandro Petacchi (Lampre-Farnese Vini), che proprio sulle strade spagnole nel 2000 colse i primi successi prestigiosi della carriera. Per la cronometro di , il favorito d’obbligo è Fabian Cancellara (Saxo Bank), mentre andranno a caccia di tappe il belga Philippe Gilbert (Omega Pharma-Lotto), il francese Nicolas Vogondy (Bbox Bouygues Telecom), il vicentino Pippo Pozzato (Team Katusha) e gli spagnoli Juan Antonio Flecha (Team Sky) e Luis León Sánchez (Caisse d’Epargne).

Tra gli altri italiani, Rinaldo Nocentini (Ag2r-La Mondiale) sarà sicuramente all’attacco, mentre l’esperto Marzio Bruseghin (Caisse d’Epargne), reduce da una stagione non eccezionale, si disputerà i ranghi di capitano della sua squadra con David Arroyo; attenzione anche al varesino Ivan Santaromita (Liquigas-Doimo), corridore completo in ottima condizione, e al friulano Enrico Gasparotto (Astana), adattissimo a tappe di media difficoltà.

Infine, tanti corridori, come in ogni corsa, si candidano al ruolo di possibili sorprese: segnaliamo in particolare l’irlandese figlio d’arte Nicolas Roche (Ag2r-La Mondiale) per la classifica finale, il giovane fiammingo Jan Bakelants (Omega Pharma-Lotto) per le fughe da lontano e il siciliano Giampaolo Caruso (Team Katusha) per gli arrivi in salita.

Marco Regazzoni