TONY MARTIN TRIONFA ALL’ENECO TOUR

È il ciclista tedesco il vincitore del Giro del Benelux: per lui trionfo anche nella prova a tempo.

L’Eneco Tour-Giro del Benelux è proseguito con una serie di tappe più mosse rispetto a quelle dei primi giorni, caratterizzate dalle côtes delle grandi Classiche del Nord. Venerdì, il traguardo di Ronse ha premiato l’esperto olandese Koos Moerenhout (Rabobank): il 37enne di Achtuizen ha battuto in uno sprint a due il compagno di fuga Tony Martin (HTC-Columbia), che ha conquistato la maglia di leader della classifica.

Sabato, a Roermond, nel Limburgo olandese, si è avuto un arrivo in volata, con il gruppo che ha ripreso il parmense Adriano Malori (Lampre-Farnese Vini) sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, al termine di un lungo attacco: dallo sprint finale è emerso il neozelandese Greg Henderson (Team Sky), al quarto successo stagionale, davanti all’olandese Kenny Van Hummel (Skil-Shimano) e all’onnipresente compagno di squadra Edvald Boasson Hagen, giovane e talentuoso norvegese che spesso non riesce a cogliere il momento opportuno per l’azione decisiva.

Domenica, le terre dell’Amstel Gold Race, col traguardo a Sittard, hanno premiato Jack Bobridge (Garmin), australiano di Adelaide. Unico superstite di una fuga a undici, della quale faceva parte anche il veneto Mauro Da Dalto (Lampre-Farnese Vini), ha avuto la meglio per distacco sul basco Rubén Pérez (Euskaltel-Euskadi) e sul fiammingo Thomas De Gendt (Topsport Vlaanderen). Per il ventunenne Bobridge, che come molti australiani è ciclisticamente cresciuto nel Varesotto, si tratta del primo successo da professionista: lo scorso anno il ragazzo si era aggiudicato la prova a cronometro nella categoria under 23 ai Campionati del Mondo di Mendrisio.

Lunedì, il leader della classifica Tony Martin riesce a rintuzzare tutti gli attacchi dei rivali, in particolare sul Muro di Huy e sul Muro di Amy: la sua HTC-Columbia tiene chiuso il gruppo, e sul traguardo di Heers è proprio il suo compagno di squadra André Greipel ad avere la meglio allo sprint sul belga Jürgen Roelandts (Quick Step) e su Boasson Hagen, cogliendo la diciottesima vittoria di una stagione quanto mai prolifico.

Nella cronometro conclusiva di martedì, 17 km attorno alla città di Genk, per Tony Martin c’è stata anche la classica ciliegina sulla torta: oltre alla vittoria della classifica finale, il ragazzo di Cottbus si è aggiudicato anche la prova contro il tempo, infliggendo 6’’ all’olandese Maarten Tjallingii (Rabobank) e 9’’ al pistard danese Alex Rasmussen (Saxo Bank). Il venticinquenne tedesco, medaglia di bronzo mondiale in carica proprio nella cronometro, con questa doppietta porta a dodici i successi della sua carriera, iniziata appena due stagioni fa: non è parente dell’irlandese Daniel Martin, davvero brillante nelle ultime corse, ma questi due giovani omonimi sembrano avere un luminoso futuro davanti a loro.

Per quanto riguarda gli italiani, a secco di successi in questa competizione, la vera nota positiva arriva da Elia Viviani (Li quigas-Doimo), ventunenne veronese di Oppeano, già vincitore nella tappa di Fethiye al Giro di Turchia, che è stato capace di chiudere quarto nella frazione di Heers e di piazzarsi anche nelle altre volate di gruppo; qualche piazzamento meno soddisfacente per il più esperto compagno di squadra Francesco Chicchi, mentre i giovani Daniel Oss e Adriano Malori si sono fatti notare più volte per i loro coraggiosi attacchi.

Classifica generale finale:

1°Tony MARTIN (Team HTC-Columbia) in 28h50’57’’;

2°Koos MOERENHOUT (Rabobank) a 31’’;

3°Edvald BOASSON HAGEN (Team Sky) a 1’46’’;

4°Richie PORTE (Saxo Bank) a 1’57’’;

5°Svein TUFT (Garmin-Transitions) a 2’04’’.

Marco Regazzoni

IL MUNDIALITO DEL 1980 RIVIVE IN UN FILM

Dopo due anni di lavorazione è pronto per essere proiettato il film-documentario “Mundialito”, diretto dal regista uruguayano Sebastián Bednarik

L'Uruguay vince il Mundialito - 10.01.81Dopo due anni di lavorazione è pronto per essere proiettato alla prima mondiale del 14 settembre al Festival Docanema di Maputo in Mozambico, il film-documentario “Mundialito”, diretto dal regista uruguayano Sebastián Bednarik e prodotto dalla Coral Films di Montevideo.

Il film, che durerà 75 minuti e che sarà in visione nelle sale sudamericane nel prossimo ottobre, si apre con le immagini e il commento (grottescamente nazionalistico) originali della televisione uruguayana di Uruguay-Olanda, la partita inaugurale del Mundialito 1980/81.

Il Mundialito, denominato ufficialmente Copa de Oro, si era disputato tra il 30 dicembre 1980 e il 10 gennaio 1981 tra le nazionali di calcio che fino a quel momento avevano vinto almeno un’edizione del campionato del mondo: Argentina, Brasile, Germania Ovest, Italia, Uruguay e Inghilterra, quest’ultima rimpiazzata dall’Olanda per ragioni organizzative.

Quell’edizione, rimasta l’unica, del Mundialito era stata fortemente voluta dalla giunta militare al potere in Uruguay dal 1976, per evidenti motivi propagandistici, anche sulla scia del successo del Mundial in Argentina di due anni prima, ed aveva ricevuto l’avallo ufficiale dalla FIFA, allora guidata dal brasiliano João Havelange. L’opposizione di sinistra, all’epoca in clandestinità in Uruguay, aveva bollato l’iniziativa come una forma moderna di “panem et circenses”, per far dimenticare alla popolazione i rigori della dittatura e della crisi economica. Ma, come riportato dalle interviste nel documentario, anche i suoi leader si erano lasciati coinvolgere emotivamente dall’ubriacatura nazionalista generale, e si erano uniti ai festeggiamenti per la vittoria finale della nazionale.

Solo un mese prima, il 30 novembre 1980, i militari uruguayani avevano subito una dura sconfitta politica, vedendosi respingere dal voto popolare, con un incontestabile 57% di NO, il referendum da loro stessi indetto per ratificare la riforma della Costituzione in senso autoritario.

Secondo l’articolo di Leonel García, apparso oggi su El País, il principale quotidiano uruguayano, il film-documentario racconterà in parallelo gli eventi politici seguiti al referendum di fine novembre e quelli politico-sportivi del Mundialito di fine dicembre, soffermandosi, per questo, sugli aspetti organizzativi.

Infatti, dal punto di vista economico l’iniziativa si era rivelata un indiscutibile successo, dal momento che ai 3,25 milioni di dollari spesi si erano contati ben 11 milioni di ricavi, composti principalmente da pubblicità e diritti televisivi. Per questi ultimi il regista Sebastián Bednarik ha posto l’accento sul ruolo decisivo giocato da Silvio Berlusconi, allora patròn di Canale 5, che con la propria offerta di 900 mila dollari, aveva fatto impennare i prezzi dell’asta. Per la prima volta una televisione privata italiana aveva rotto il monopolio della RAI sulle trasmissioni delle partite della nazionale di calcio. E la storia del Mundialito uruguayano entrò di diritto nelle polemiche di casa nostra.

Giuseppe Ottomano

IERI & OGGI: E IL LIBANO SOTTO ASSEDIO SCONFISSE LA FRANCIA

Nel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori e colonizzati. Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

Libano-FranciaNel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori (europei) e colonizzati (africani, americani o asiatici). Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

È il 23 agosto del 2006 ed in Giappone si gioca la penultima giornata del girone A dei Mondiali di basket maschile. A Sendai si affrontano due squadre che, in comune, hanno forse la lingua parlata. Da una parte c’è la Francia terza classificata agli Europei di un anno prima che, pur priva della stella Tony Parker, può schierare un parterre de roi di assoluto rispetto: Gomis e Florent Piétrus hanno vinto il campionato spagnolo con l’Unicaja Málaga, mentre sono ben quattro i giocatori – Diaw, Petro, Mickaël Piétrus e Turiaf – impegnati nella NBA. Dall’altra c’è il Libano, alla seconda partecipazione mondiale della sua storia, guidato in panchina da un allenatore giramondo, lo statunitense Paul Coughter. I suoi uomini giocano tutti in patria. Per la nazionale mediorientale non è una partita qualsiasi. Perché una vittoria potrebbe far avvicinare la squadra allo storico traguardo degli ottavi di finale. Perché, nel lungo arco temporale compreso tra i due conflitti mondiali, il Libano era un protettorato francese. E, soprattutto, perché il loro paese è in guerra da oltre un mese con Israele: a dir la verità da nove giorni è entrato in vigore il cessate il fuoco, ma è solo con la fine del blocco navale imposto dagli israeliani che, a settembre, calerà definitivamente il sipario su un’altra pagina di sangue in Medio Oriente. La preparazione ai Mondiali è stata un vero incubo per i giocatori, che si allenavano sapendo che gli F16 israeliani sorvolavano sulle loro case. E poi l’odissea per raggiungere Turchia e Slovenia, per disputare due tornei di preparazione, tra aeroporti bombardati ed autostrade danneggiate che, di fatto, avevano isolato il paese. I giocatori non volevano saperne di andare al Mondiale: troppo importante la vita dei loro familiari. Ma, alla fine, la spedizione libanese parte alla volta della terra del Sol Levante: dopo la vittoria all’esordio contro il Venezuela, i mediorientali hanno perso contro Serbia-Montenegro ed Argentina. E adesso ci sono loro, i colonizzatori.

Il parquet di Sendai sovverte inizialmente il pronostico che vede la Francia favorita: la stella Fadi El Khatib trascina il Libano con le sue giocate, sul fronte francese l’assenza dell’infortunato Jeanneau si traduce in una fase offensiva molto compassata e stagnante. Dopo il sostanziale equilibrio delle battute iniziali, il Libano prende il largo grazie ad un paio di tiri liberi di Roy Samaha: le due squadre chiudono così il primo quarto sul 21-14. Anche nel successivo la Francia non fa molto per arginare le folate libanesi: una schiacchiata di Mickaël Piétrus riduce il distacco a due sole lunghezze, ma un lay-up di El Khatib e le bordate di Rony Fahed, complesa una tripla, riportano avanti la nazionale mediorientale che va al riposo con il massimo vantaggio (43-30).

La Francia, tuttavia, si risveglia brutalmente nella seconda metà dell’incontro: gli uomini di Claude Bergeaud assestano un parziale di 9-0 e poi, grazie al canestro del madridista Gelabale, ancora una volta si portano a due punti di ritardo dal Libano. Dilapidato il prezioso vantaggio, i mediorientali rialzano la testa ed è il solito El Khatib a mantenerli in vita con i suoi punti. Ma è soprattutto Florent Piétrus il protagonista dell’ultimo quarto: il giocatore dell’Unicaja regala spettacolo con rimbalzi e schiacchiate. Regala soprattutto punti preziosi alla Francia che consentono di risalire la china: mediorientali e transalpini giocano a rincorrersi, con i primi che viaggiano a una media di quattro punti di vantaggio. Fino a quando Boris Diaw, pure lui uscito dal guscio dell’anonimato nella seconda parte, non fissa il risultato sul 68-68. La gioia per aver agganciato, dopo un lungo inseguimento, il Libano dura tuttavia il breve spazio di una dozzina di secondi: Rony Fahed mette dentro una tripla e dà nuovamente il vantaggio alla sua squadra. Manca un minuto e mezzo alla fine. E la Francia deve recuperare tre punti. Florent Piétrus non fallisce dalla lunetta e così pure Foirest: adesso sono i libanesi a dover inseguire (72-71) quando mancano quaranta secondi. Ti aspetti una giocata decisiva di El Khatabi – a fine gara sarà il miglior marcatore con 29 punti personali – e invece è Joseph “Joe” Vogel, centro di origini statunitensi, a scrivere la storia del basket: riceve palla, si gira, segna subendo fallo e poi realizza il tiro libero aggiuntivo. 74-72. L’appuntamento con la storia è lì a ventiquattro secondi, ma c’è ancora da soffrire: Diaw va in lunetta, può riequilibrare nuovamente le sorti dell’incontro a sei secondi dalla conclusione. Mette dentro il primo: 74-73. Prosegue con il secondo. Il tiro è corto, la palla tocca il ferro e torna in campo: all’ultimo secondo finisce tra i palmi di Foirest che tenta il tiro della disperazione. Palla fuori bersaglio. Fischio finale. Vince il Libano delle famiglie sotto assedio, vince il Libano senza giocatori nella NBA, vince il Libano umile contro una Francia presuntuosa. “Siamo stati davvero deludenti e non abbiamo preso abbastanza sul serio la partita – ammette a fine partita Bergeaud – questo è un momento storico per noi perché non abbiamo rispettato i nostri avversari”. Con il sorriso fanciullesco di chi ha appena compiuto un’impresa, Khalaf commenta una vittoria inattesa: “Questa vittoria, comunque, non significa nulla se domani non facciamo risultato contro la Nigeria. Per me, quella partita è più importante del successo di oggi”.

Ma il miracolo non si ripeterà: il Libano esce sconfitto 95-72 contro la formazione africana, fallendo così la qualificazione al turno successivo. La Francia avanza e chiuderà al quinto posto la sua avventura in terra nipponica. Ma sulle maglie dei transalpini rimarrà per sempre incancellabile la macchia della sconfitta contro i libanesi. I quali tornano comunque a casa con una storia da poter raccontare ai propri figli, nel frattempo tornati alla normale vita di tutti i giorni dopo il cessate il fuoco del 14 agosto. Eccola, la vittoria più bella, da aggiungere al 74-73 di Sendai.

Simone Pierotti

SPAGNA: AL BARCELLONA LA SUPERCOPPA

In Spagna, il primo trofeo della nuova stagione va al Barcellona che batte 4-0 il Siviglia con tre gol di Messi.

Alla faccia della rimonta. Lionel Messi ricomincia da una tripletta, una delle tante messe a segno in questo anno solare, e conduce il Barcellona ad una vittoria che più limpida non si può: 4-0 e Supercoppa di Spagna in cassaforte, la sconfitta di  Siviglia (3-1) cancellata dai gol dell’argentino, dalle  geometrie di Xavi e Iniesta, dalla rapidità di Pedro. Gli uomini di Guardiola conquistano così il primo trofeo stagionale e regalano a Sandro Rosell la prima gioia da nuovo presidente della polisportiva blaugrana.

Come annunciato alla vigilia, il tecnico catalano richiama tra le riserve i giovani prodotti del vivaio e punta tutto sui reduci dal Mondiale: nella retroguardia si rivedono il portiere Valdés ed il centrale Piqué, le chiavi del centrocampo sono affidate a Busquets e Xavi mentre in attacco Messi viene lanciato dal primo minuto e, sulla corsia opposta, trova spazio Pedro. Ibrahimović parte invece dalla panchina, così come David Villa. Il Siviglia è impegnato negli spareggi per l’accesso alla Champions’ League e si vede: Álvarez lascia momentaneamente a riposo i titolari e prova a difendere i due gol di vantaggio dell’andata con i rincalzi. Niente maglia da titolare per Cigarini, Perotti e Luís Fabiano, mentre Kanouté si accomoda sulle tribune del Camp Nou.

La strategia del tecnico andaluso dura nemmeno un quarto d’ora: Pedro riceve palla sulla destra ed esegue una strabiliante serpentina tra le maglie della difesa biancorossa, poi il suo passaggio rasoterra viene deviato in porta dal malcapitato Konko. L’autorete dell’ex genoano riapre, così, immediatamente la contesa. Che viene virtualmente chiusa undici minuti più tardi: splendida intuizione di Xavi che serve Messi nel corridoio centrale, al resto ci pensa la Pulga che batte in velocità l’addormentata difesa sivigliana e conclude alle spalle di Palop. Al Barcellona basterebbero queste due reti per alzare il trofeo e invece i culé non sono ancora sazi: grande azione tutta in velocità con tocchi di prima, ottima progressione di Dani Alves che serve il pallone del 3-0 a Messi, su cui Konko interviene in evidente ritardo.

Nella ripresa Álvarez prova a giocarsi i suoi assi, mandando in campo al quarto d’ora proprio i tre esclusi eccellenti. Ma la testa è ormai proiettata al ritorno della delicata sfida contro lo Sporting Braga che vale il visto per l’Europa. Nel frattempo Iniesta e Villa rilevano Bojan e Pedro e sono proprio i due nuovi entrati a creare i presupposti per la quarta ed ultima rete, che giunge allo scoccare del novantesimo: l’ex attaccante del Valencia lancia il compagno di squadra e di nazionale, nel cuore dell’area piccola si inserisce Messi che al quale Iniesta porge un assist facile facile da depositare in rete. È il trionfo catalano, sul quale però si materializza una piccola ombra, quella di Zlatan Ibrahimović: l’attaccante svedese rimane in panchina, scuro in volto. Saprà guadagnarsi la fiducia di Guardiola o la sua avventura a Barcellona è già giunta al capolinea?

Sabato 22 agosto 2010
BARCELLONA-SIVIGLIA 4-0 (3-0)
Camp Nou, Barcellona

BARCELLONA (4-3-3): Valdés; Alves, Piqué, Abidal, Maxwell; Busquets, Keita (86’ Adriano), Messi, Bojan (55’ Iniesta), Pedro (55’ Villa). All. Guardiola.

SIVIGLIA (4-4-2): Palop; Dabo, Konko, Escudé, Fernando Navarro; Jesús Navas, Zokora, Romaric (59’ Cigarini), Capel (59’ Luís Fabiano); Alfaro (59’ Perotti), Negredo. All. Álvarez.

ARBITRO: Fernando Teixeira.

GOL: 13’ Konko ag, 24’, 44’ e 90’ Messi.

NOTE: ammoniti Piqué e Romaric.

Simone Pierotti

È MORTO HAROLD CONNOLLY, MARTELLISTA ROMANTICO

Harold ConnollyIl campione olimpico di lancio del martello Harold Connolly è morto il 18 agosto, per un attacco cardiaco mentre stava facendo ginnastica in una palestra di Catonsville nel Maryland, la cittadina dove viveva con la sua seconda moglie.

Nove volte campione nazionale statunitense e medaglia d’oro nel martello alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, Connolly era nato nel Massachussets nel 1931 con una malformazione al braccio sinistro che ne aveva menomato lo sviluppo.

Proprio per tonificare la muscolatura delle braccia, aveva cominciato a praticare il lancio del martello negli anni del college a Boston, e nel 1955 era diventato il primo statunitense a superare il muro dei 200 piedi, con un lancio di 61,42 m.

Durante le Olimpiadi di Melbourne era balzato agli onori delle cronache per la sua love story con un’altra medaglia d’oro nei lanci: la discobola cecoslovacca Olga Fikotovà, conosciuta al villaggio olimpico.

Sbocciata in piena guerra fredda, la loro passione, al pari di due moderni Romeo e Giulietta, era stata ostacolata dai pessimi rapporti diplomatici tra i loro rispettivi paesi; e solo la titanica determinazione di Connolly, che nel 1957 andrà a chiedere (e ottenere) la mano di Olga ai massimi dignitari del regime cecoslovacco, renderà possibile il loro matrimonio a Praga, con una spettacolare cornice di due ali di folla festante.

La coppia andrà a vivere negli Stati Uniti, farà un figlio che diventerà un discreto decatleta, per poi scoppiare e divorziare a metà degli anni settanta. Nel frattempo Connolly partecipa ad altri tre giochi olimpici, quelli di Roma 1960, Tokyo 1964 e Città del Messico 1968. Fallisce di poco la qualificazione per quelli di Monaco 1972, classificandosi al quinto posto nei Trials alla veneranda età di quarantun anni.

Sia durante la carriera sportiva (da dilettante), che dopo il ritiro, Harold Connolly aveva lavorato come insegnante alle scuole superiori, e nel 1983, nel corso di un’intervista al New York Times aveva candidamente ammesso l’uso di steroidi anabolizzanti. Niente di illegale per quei tempi, comunque. Gli steroidi anabolizzanti verranno banditi ufficialmente solo nel 1976.


Giuseppe Ottomano