Nel suo (emozionante) libro intitolato “Todos mis hermanos”, Manuel Estiarte dedica il primo capitolo a quella che, senza ombra di dubbio, è stata finora la più emozionante finale di una competizione di pallanuoto: quella dei Giochi olimpici di Barcellona. L’ex giocatore spagnolo, oggi insignito di un’importante carica all’interno del Barcellona, la definisce “El partido perfecto”, la partita perfetta. Non era una partita qualsiasi, quella che andò in scena il 9 agosto del 1992 alla piscina Bernart Picornell proprio il giorno della chiusura della manifestazione. Non poteva esserlo per Estiarte e per tutti i compagni di squadra catalani come lui: giocare di fronte al re Juan Carlos e al principe Felipe, ma soprattutto davanti ai loro padri, alle loro madri, a mogli, fidanzate e figli. Davanti alla loro gente. Un’occasione irripetibile.
Da pochi anni la Spagna è una nazionale emergente: un anno prima si è laureata vicecampione europea e mondiale, sconfitta in entrambe le occasioni – e con un solo gol di distacco – dalla Jugoslavia e adesso, per la prima volta, arriva a disputare una finale olimpica. Il leader è Manel Estiarte, catalano di Manresa che in Italia ha indossato le calottine di Pescara e Savona. Dall’altra parte c’è proprio l’Italia. Due paesi mediterranei le cui nazionali di pallanuoto sono guidate da allenatori balcanici: sia il croato Dragan Matutinović, coach degli iberici, sia il serbo Ratko Rudić, a caccia del terzo oro olimpico consecutivo, impongono ai loro giocatori allenamenti durissimi, al limite della sopportazione, tra corse in montagna, sollevamento pesi e nuotate con una maglietta addosso. Ma tanta fatica viene ricompensata dai risultati ottenuti sul campo, anzi, in acqua.
Il giorno della finale vi sono diciottomila persone sugli spalti: Estiarte ricostruisce nel suo libro gli attimi che precedono l’inizio della sfida. Nel tunnel che accompagna le squadre dalla piscina del riscaldamento a quella della partita regna il silenzio: si può udire solo il rumore delle ciabatte che sbattono sul pavimento con la cadenza delle lancette di un orologio. Consueta stretta di mano tra i due capitani, promesse di rito di non giocare sporco, esecuzione degli inni nazionali. Che la finale abbia inizio.
Entrambe le squadre non hanno lasciato niente di intentato, curando meticolosamente ogni singolo dettaglia. L’Italia, complice forse la tensione che gioca un brutto scherzo agli spagnoli, parte davvero forte e passa in vantaggio: Fiorillo serve a centroboa Ferretti che si libera della marcatura dell’avversario e, di sinistro, infila il pallone tra le braccia di Rollán. Chiuso in vantaggio il primo parziale, gli azzurri raddoppiano con Caldarella che trova un pertugio sul primo palo: Estiarte, su situazione di superiorità numeriche, dimezza lo svantaggio. Ma l’Italia sembra avere una marcia in più: prima Campagna segna dalla distanza con una conclusione che non lascia scampo a Rollán, poi Ferretti riceve palla a boa e, spalle alla porta, attende l’uscita del portiere spagnolo per beffarlo con una superba palombella. La difesa non concede spazi: Rudić fa giocare i suoi alla “jugoslava”, riproponendo una zona che ai Giochi di Los Angeles e Seul aveva portato i suoi frutti. La tattica intimorisce gli spagnoli, che arrivano al tiro con la paura di veder fuggire gli avversari in contropiede in caso di errore.
4-1 perl’Italia nel secondo parziale: altro che sogno olimpico, la finale in casa assume le sembianze di un incubo per la Spagna. Salvador “Chava” Gómez, centroboa degli iberici, segna poco prima dell’intervallo lungo.
Il terzo tempo si apre con una nuova rete dei padroni di casa: Pedro García conferma le sue qualità di cecchino infallibile e realizza il 3-4 con una fucilata. Il rigore di Campagna e la seconda marcatura personale di Caldarella, tuttavia, riportano a tre i gol di distacco tra Spagna ed Italia. Il pubblico, ed anche la coppia arbitrale composta dall’olandese van Dorp e dal cubano Martínez, spinge gli spagnoli verso una nuova rimonta: García è scatenato dalla linea dei 4 metri, segna ancora con una conclusione imparabile e poi, proprio a pochi secondi dal termine del tempo, supera Attolico in uscita da distanza ravvicinata. Adesso è l’Italia a doversi guardare dal sussulto d’orgoglio di Estiarte e compagni. Ferretti in superiorità numerica sigla il 7-5, ma la Spagna non si dà per sconfitta: Estiarte, che nel frattempo ha fallito un rigore, gonfia la rete dopo una serie ripetuta di finte ed infine Oca sorprende Attolico sul primo palo, regalando ai compagni l’agognato pareggio e prolungando così la sfida ai tempi supplementari.
Il regolamento prevede due mini-tempi da tre minuti ciascuno. Italiani e spagnoli non vanno per il sottile, in acqua è pallanuoto vera e non c’è spazio per i complimenti: ne farà le spese Fiorillo, espulso per aver rifilato un pugno ad Estiarte che sarà costretto a proseguire con una ferita al sopracciglio. Dopo lo 0-0 del primo supplementare, la partita sembra andare incontro ad una svolta nei 42 secondi finali del successivo: la Spagna guadagna un nuovo rigore e dai quattro metri si presenta ancora il capitano. Che decide di tirare dove non ha mai lanciato il pallone in tutta la sua carriera: in alto, a sinistra. Rete. Per la prima volta, gli iberici passano in vantaggio. Quarantadue secondi li separano da un oro olimpico che la nazionale mai ha conquistato. Scrive Estiarte: “Lo tirai male, però effettivamente colsi il portiere totalmente alla sprovvista”.
Sotto di un gol, a meno di un minuto dalla fine. Di fronte ad un pubblico per la quasi totalità “ostile”. Senza i favori della coppia arbitrale. L’Italia potrebbe sfaldarsi, adesso. Palla al centro, azione di attacco. Matutinović non ha dubbi e ordina ai suoi di giocare a pressing. Come racconta nel suo libro, Estiarte ha un presentimento: ma quale pressing, in porta abbiamo Jesús, il miglior portiere al mondo. Meglio passare a zona ed annullare così gli uomini più pericolosi come Campagna e Ferretti, pensa tra sé. Vorrebbe contraddirlo davanti a tutti, ma le gerarchie sono gerarchie e urla ai compagni di difendere a pressing. Bovo serve a centroboa un pallone alto che Ferretti gira in rete sul primo palo. Tutto questo avviene quando mancano venti secondi. Niente da fare: si va avanti. Trascorrono altri tre tempi supplementari senza reti: intanto proseguono le scintille tra i giocatori e, adesso, persino tra gli allenatori. Nessuna delle due vuol perdere, nessuna tra Italia e Spagna merita la sconfitta. Sesto tempo supplementare, manca meno di un minuto: D’Altrui porta avanti il pallone sulla destra e serve Ferretti, in posizione centrale. Il centroboa subisce fallo e, con la coda dell’occhio, vede Gandolfi smarcato sulla sinistra: Rollán esce e prova a chiudergli lo specchio, il giocatore azzurro fa passare il pallone sotto le sue braccia, nell’angolo in basso. Gol. 9-8 per l’Italia. Gandolfi esulta come se fosse un cowboy che agita un lazo nell’aria: è quello immaginario con cui l’Italia sta per accalappiare la medaglia d’oro. Mancano trentadue secondi. La Spagna ha un’ultima occasione: gli azzurri pressano incessantemente, più che una partita di pallanuoto sembra di assistere a sei finali simultanee di lotta greco-romana. Quattro secondi al termine: Estiarte subisce fallo, batte e serve Oca che tira di prima intenzione. La palla colpisce la traversa e poi ritorna sull’acqua, al di qua della linea di porta. Traversa e acqua. Non è gol. Dopo una battaglia di 46 minuti effettivi di gioco, l’Italia esulta: dopo Londra 1948 e Roma 1960, è di nuovo oro olimpico. Rudić abbraccia i suoi atleti e se la ride sotto i baffi: è appena entrato nella leggenda conquistando il terzo oro olimpico consecutivo come allenatore. Una foto, pubblicata il giorno successivo su “Mundo deportivo”, immortala Estiarte che, appoggiato ad una panchina, si copre il volto con la mano: è l’emblema del sogno spagnolo brutalmente spezzato.
Passano quattro anni e, ad Atlanta, la Spagna riesce finalmente a spezzare l’incantesimo e a vincere la medaglia d’oro. Ma resterà il rimpianto di non essere riusciti a compiere l’impresa a Barcellona, nella propria casa, davanti alle rispettive famiglie. Quel giorno doveva essere un trionfo per tutta una nazione. E invece l’Italia fece piangere il re.
9 agosto 1992
SPAGNA-ITALIA 8-9 (0-1, 2-3, 3-2, 2-1; 0-0, 1-1, 0-0, 0-0, 0-0, 0-1)
Piscina Bernart Picornell, Barcellona
SPAGNA: Rollán, Estiarte 3, Ballart, Sans, Gómez 1, Oca 1, García 3; Pedrerol, González, Michavila, Pico, Sánchez, Silvestre. All. Matutinović.
ITALIA: Attolico, Bovo, Campagna 2, Fiorillo, Francesco Porzio, Ferretti 4, Silipo; D’Altrui, Giuseppe Porzio, Caldarella 2, Pomilio, Gandolfi 1, Averaimo. All. Rudić.
ARBITRI: van Dorp (Olanda) e Martínez (Cuba).
Simone Pierotti