Ospitiamo un articolo di Luca Marchina che ci racconta l’esperienza di Altrimondiali da Nairobi a Johannesburg, e oltre.
Pianeta Sport ha seguito attentamente i Mondiali 2010 cercando di sfuggire alla retorica occidentalista dell’“Africa buona” che solo perché ha organizzato un mondiale di calcio ha messo alle spalle tutti i suoi problemi. C’è però chi ha fatto di più; invece di poltrire davanti alla televisione la “squadra” di Altrimondiali ha fatto armi e bagagli e con un pulmino e un pallone ha girato il continente. Luca Marchina ci racconta quest’esperienza. (N.S.)
C’è un’altra squadra vincente in questo mondiale oltre alla Spagna: è la squadra del matatu di Altrimondiali, la campagna lanciata in occasione dei Mondiali di calcio sudafricani dall’associazione Altropallone, in collaborazione con CoLomba, la rete delle Ong lombarde, e con Karibu Afrika, partner italo – kenyano dell’iniziativa. L’equipaggio, formato da tre guidatori italiani, due esperti sportivi e un video-reporter keniani, è partito il primo giugno da Nairobi dopo il torneo d’apertura tenutosi nella baraccopoli di Mathare. Il mezzo di trasporto scelto è il “matatu”, tipico pulmino di marca giapponese, principale mezzo pubblico in tutte le città d’Africa, in grado di caricare fino al triplo dei passeggeri consentito e di affrontare sia le affollatissime vie del centro che le sgangherate strade delle periferie.
Lungo la strada sono stati organizzati partitelle e tornei di calcio. L’utilizzo del calcio, con il suo linguaggio universale, si è rivelato uno strumento di inclusione e aggregazione davvero efficace. Alcuni tornei erano stati organizzati per tempo e grazie al supporto di Ong lombarde, altre attività sportive invece sono nate in maniera spontanea lanciando semplicemente un pallone. Grazie al contributo di Guna Spa e Coop Lombardia ad ogni tappa il matatu ha potuto aprire il baule, per tirare fuori palloni, pettorine e porte pieghevoli.
In Tanzania abbiamo giocato con i pastori masai, con gli albini e con i disabili. “Dopo aver visto giocare a calcio persone con solo una gamba, ora credo che la disabilità non è inabilità” conferma Hillary, allenatore di calcio di strada. In Malawi il matatu si è aggregato a un gruppo di bambini che stavano giocando a calcio con un pallone auto-costruito fatto con borsine di plastica e spago. Alla fine della partita quando abbiamo regalato loro il pallone i bambini sono scappati di corsa per andare con orgoglio a mostrarlo a tutti. In Zambia ci si è ritrovati a giocare ben oltre il tramonto con centinaia di bambini. In Zimbabwe abbiamo incontrato un calcio più organizzato e di squadra.
In Mozambico abbiamo avuto l’esperienza più forte: dopo esserci fermati presso una scuola (una serie di banchi artigianali posizionati sotto un immenso baobab) Emiliano calcia il pallone all’interno del piazzale e la maggior parte dei bambini scappa non appena il pallone rimbalza. Proviamo a gesti a radunare i bambini e diamo il via alla partita in un imbarazzo generale. I ragazzi non sanno come si batte il calcio d’inizio e appena battuto nessuno si muove, la palla rotola fuori dal campo. Dominic prova a spiegare a gesti alcune regole, due ragazzi più grandi ci aiutano e riusciamo pian piano a far correre i bambini. La palla viene inizialmente presa di più con le mani che non con i piedi, il primo gol arriva solo dopo 20 minuti di gioco. Alla fine della partita il maestro (unico per questa scuola) ci dice che i ragazzi non avevano mai visto un pallone da calcio e la maggior parte di loro non aveva mai giocato. I mondiali qui li seguono per radio. Passiamo quindi per lo Swaziland ed entriamo in Sudafrica: lo specchio dell’Africa che si può riassumere nella parola “contraddizione”. Francesco lo descrive così: “Grandi colline e foreste di quartieri residenziali molto ben tenuti e curati. Fuori, lontani, non considerati dalle strade principali ci sono le case e la terra di chi fatica a sopravvivere. Lo spettacolo è triste, ma nascosto. La maggioranza è composta da persone che vivono in condizioni disastrate, ma non si vedono. Non salgono sul palcoscenico in prima fila davanti al pubblico ma da dietro in maniera invisibile sorreggono le scenografie di uno spettacolo consumista sulla gioia di vivere”. Passando per Cape Town in un clima invernale il matatu è quindi arrivato a Johannesburg l’11 luglio, giorno della finale della Coppa del Mondo, dopo aver percorso circa 9000 Km.
Con il diario di viaggio, le fotografie e i video realizzati on the road e pubblicati sul sito di Altrimondiali, i ragazzi del Matatu hanno fatto conoscere a tutti il vero vincitore di questi mondiali: l’Africa che scende in campo tutti i giorni contro i pregiudizi; quell’Africa che gioca le sue partite fino al 90° minuto.
Ma gli “Altrimondiali” si sono giocati anche in Italia, grazie ai tornei di calcio multietnici, feste e incontri culturali organizzati a Milano, Lumezzane, Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni, Firenze.
A differenza dei Mondiali della Fifa, la sfida degli Altrimondiali non si è chiusa con la finale dell’11 luglio: il viaggio del Matatu diventerà un film-documentario, e sarà presentato ai festival del cinema italiani. Inoltre, poiché di restare in garage il Matatu non ne vuole proprio sapere, già si prepara la prossima sfida: non solo Brasile 2014 ma anche Polonia e Ucraina nel 2012 con gli Altrieuropei, per dimostrare come il calcio possa essere strumento di coesione sociale e integrazione anche nelle metropoli europee.
Luca Marchina