ASPETTANDO IL GRAN FINALE

Ripercorriamo l’attesa della finale nella storia della Coppa del Mondo

L'attesaQuesta sera si giocherà la diciannovesima finale in un campionato del mondo di calcio. Nelle due nazioni contendenti, Spagna e Olanda, la febbre da finalissima sta salendo spasmodicamente. Nella caliente Spagna l’attesa è talmente sentita, che si è già pensato ai festeggiamenti; e per la serata di lunedì si è già organizzata una grande sfilata nel centro di Madrid per l’eventuale arrivo della Coppa. Ma anche gli olandesi non hanno voluto essere da meno dei loro avversari, e con fare latino hanno già preparato per martedì prossimo un percorso trionfale tra i suggestivi canali di Amsterdam con due ali di folla di un milione di olandesi a fare da cornice sulle sponde.

Eppure, il resto dell’orbe terracqueo pallonaro non pare altrettanto sovreccitato nell’attesa della sfida tra queste due nazionali, che effettivamente nel corso del mondiale sudafricano non hanno espresso un gioco tale da accendere gli entusiasmi degli spettatori neutrali.

Ma andiamo a ritroso nel tempo a vedere come era stata vissuta nel mondo la vigilia delle finali precedenti, a partire dalla prima volta:

Mondiale 1930 – Uruguay-Argentina. Essendo il primo campionato mondiale della storia, il metro di misurazione del valore delle nazionali di calcio erano le Olimpiadi. E l’ultima finale olimpica, ad Amsterdam 1928, si era disputata proprio tra Uruguay ed Argentina, considerate le migliori squadre dell’epoca, senza tenere conto delle spocchiosissime nazionali britanniche, che snobbavano sistematicamente i grandi tornei internazionali. Quello del 1930 era stato un campionato del mondo quasi sperimentale, e tante federazioni europee non avevano potuto prendervi parte per l’impossibilità di sostenere i costi di trasferta. Ma nonostante nel vecchio continente gli echi fossero arrivati fortemente attutiti, in Sudamerica la manifestazione era stata fortemente sentita, e la sconfitta dell’Argentina era stata accolta da moti di ira popolare nella capitale Buenos Aires.

Mondiale 1934 – Italia-Cecoslovacchia. Il regime fascista aveva colto l’occasione di ospitare la grande kermesse calcistica per autocelebrare il successo della propria politica sportiva, caricando la finale contro la Cecoslovacchia, stella del calcio mitteleuropeo dell’epoca, di motivazioni nazional-patriottiche. Il calcio in quegli ultimi quattro anni aveva fatto passi da gigante tra la popolazione mondiale. Le federazioni calcistiche nazionali si erano rafforzate, e fatta salva la solita eccezione delle leghe britanniche, tutte le formazioni più quotate erano finalmente rappresentate. Per la prima volta si era scoperta l’importanza del fattore campo, soprattutto in occasione dei quarti di finale, vinti in seconda battuta dall’Italia sulla Spagna di Ricardo Zamora, con grandi polemiche sull’arbitraggio un po’ troppo casalingo dello svizzero Rene Marcet.

Mondiale 1938 – Italia-Ungheria. Il calcio è ormai una realtà di dimensione mondiale, e il successo di pubblico della manifestazione in Francia, ne è la prova. Gli italiani, arrivando in finale sia in veste di detentori del titolo che di favoriti dal pronostico, mettono a tacere anche le voci (comunque non infondate) della vittoria al mondiale precedente dovuta al fattore campo. Più che la finalista Ungheria, a sentire la stampa internazionale, desta un’enorme impressione il giovane Brasile, guidato dal capocannoniere Leônidas, che si classifica al terzo posto, dopo avere costretto gli azzurri ai tempi supplementari in semifinale.

Mondiale 1950 – Uruguay-Brasile. La FIFA cambia la formula del torneo, e al posto della finalissima a scontro diretto, viene introdotto un girone finale di quattro squadre. Nell’ultima partita del 16 luglio 1950, al Brasile basterebbe un pareggio per aggiudicarsi il titolo. Ma si gioca al Maracanà di Rio de Janeiro, davanti a un pubblico stimato in più di 200mila spettatori, e per il Brasile è vitale brindare al primo posto, facendo il botto. Del resto l’Uruguay non pare irresistibile, e il popolo brasiliano è già pronto, anima e corpo, a lunghi giorni e notti di festeggiamenti, come fosse un secondo carnevale. Ma Schiaffino e Ghiggia ribaltano sia il pronostico che il parziale svantaggio, gettando nella disperazione e nello sconcerto sia i giocatori che i tifosi brasiliani.

Mondiale 1954 – Germania Ovest-Ungheria. Altro mondiale ed altra favorita d’obbligo: questa volta la Grande Ungheria di Puskás, Kocsis, Hidegkuti e Czibor, solo per citarne alcuni. Apparentemente questo Dream Team danubiano non sembra conoscere rivali, e nella fase a gironi aveva già battuto la Germania Ovest con un sonoro 8-3. La vigilia del match è dominata dall’incertezza sulla presenza in campo della stella magiara Ferenc Puskás, leggermente infortunato. I giornalisti dell’epoca sono tutti d’accordo: se giocherà Puskás, l’Ungheria porterà a casa la Coppa. In diretta televisiva, (prima volta nella storia dei mondiali) il 4 luglio 1954 Puskás scende in campo, ma la Coppa se ne vola rocambolescamente in Germania Occidentale, tra le polemiche per l’arbitraggio inglese e l’ombra del doping sui tedeschi vincenti.

Mondiale 1958 – Brasile-Svezia. Nel 1958 il calcio è ormai inequivocabilmente l’oppio dei popoli, e l’attesa per la finale di Stoccolma del 29 giugno è spasmodica. Visto il livello dei giocatori in campo da entrambe le parti: Liedholm, Gren, Skoglund, tra gli svedesi e Didì, Vavà, Garrincha, Zagallo e il giovanissimo Pelè tra i brasiliani, ci si aspetta uno spettacolo di grande calcio. E le aspettative dei puristi del pallone non vengono deluse. Il Brasile, dato da tutti per favorito, vincerà 5-2 in una partita appassionante, strappando anche gli applausi dei 50mila spettatori svedesi.

Mondiale 1962 – Brasile-Cecoslovacchia. Nonostante l’assenza dell’infortunato Pelè, contro la solida selezione cecoslovacca il Brasile difende da grande favorito il titolo conquistato quattro anni prima. Eppure nell’incontro precedente durante la prima fase, i verdeoro non erano andati al di là dello 0-0, e avevano scoperto sulla loro pelle quanto difficile da penetrare fosse la linea difensiva cecoslovacca. Secondo la stampa si stava per prospettare un incontro tra le grandi individualità dei sudamericani e l’organizzazione quasi scientifica del collettivo mitteleuropeo. Alla fine avrà la meglio l’enorme tasso tecnico dei brasiliani, ma non sarà affatto una passeggiata.

Mondiale 1966 – Inghilterra-Germania. Il fattore campo, scoperto nel giardino di casa nostra nel lontano 1934, diventa determinante anche in questi mondiali in Inghilterra. Le due finaliste sono rappresentate dai due grandi campioni Bobby Charlton e Franz Beckenbauer, e secondo i giornalisti sarà una partita combattutissima, data anche la storica rivalità delle due nazioni. Il pronostico è azzeccato, e l’Inghilterra vincerà 4-2 dopo i tempi supplementari in una cornice di grande agonismo. In Italia l’interesse è minore che in altre occasioni: ci sono ancora i postumi dello choc della Corea da smaltire.

Mondiale 1970 – Brasile-Italia. L’Italia si riscatta dopo la figuraccia di quattro anni prima, guadagnandosi la finale, al termine di una semifinale passata alla leggenda contro la Germania Ovest. I nostri giornali alimentano grandi speranze di vittoria, ma alla prova dei fatti il Brasile dell’intramontabile Pelé sembra mostrare un altro passo. Perderemo con un ingeneroso 4-1 e con altrettanto ingenerosi lanci di pomodori marci al rientro in patria.

Mondiale 1974 – Germania Ovest-Olanda. Il mondo resta a bocca spalancata davanti ai giovani capelloni olandesi, come Cruijff, Neeskens, Krol, Rensenbrink e Rep e il loro spumeggiante calcio totale, ideato dall’allenatore Rinus Michels. Le lodi per gli arancioni si sprecano, ma la Germania Ovest del solito Franz Beckembauer, con un’età media di quasi trent’anni, conferma la propria fama di squadra solidissima, bene organizzata e dotata di una difesa difficilissima da penetrare. Applausi scroscianti ai giovani leoni olandesi e titolo ai vecchi volponi tedeschi.

Mondiale 1978 – Argentina-Olanda. La squadra olandese non era solo un fuoco di paglia, e lo dimostra conquistando la seconda finale consecutiva. Si gioca nell’Argentina della giunta militare del generale Videla, e Il fattore campo, da sempre importantissimo, in questa occasione assurge ad autentico protagonista, con arbitraggi al limite dello scandalo nella prima fase, e un forte sospetto di combine nella vittoria per 6-0 sul Perù che spalanca ai biancocelesti le porte della finale. L’Olanda ha qualche campione in meno rispetto al 1974, ma la finale è ugualmente spettacolare, con grande giubilo dei gongolanti generali argentini.

Mondiale 1982 – Italia-Germania Ovest. Fuori ai quarti lo spettacolare dream team del Brasile di Telé Santana; fuori, sempre ai quarti, l’Argentina del giovane Maradona; fuori in semifinale la Francia champagne di Michel Platini, si contendono la corona mondiale due squadre arcigne, sopravvissute per grazia ricevuta all’eliminazione nella fase eliminatoria: Italia e Germania Ovest. A casa nostra l’incontro lascia riaffiorare suggestioni leggendarie, e la febbre da calcio sale a livelli irripetibili. La vittoria per 3-1 fornisce la motivazione per una grande festa di popolo.

Mondiale 1986 – Argentina-Germania Ovest. Per l’ennesima volta i tedeschi arrivano in finale, ma la protagonista è l’Argentina; anzi il protagonista è uno solo: il simbolo dell’Argentina, ovvero Diego Armando Maradona. Il suo gol di mano nei quarti contro l’Inghilterra gli varrà il soprannome di La mano de Diòs, ed il primo dei suoi due gol contro il Belgio in semifinale lo catapulterà di diritto nella leggenda del calcio. Dal punto di vista dei mass media, la Germania Ovest di Rummenigge e Rudi Völler è poco più che uno sparring partner, anche se di gran lusso.

Mondiale 1990 – Germania Ovest-Argentina. Le notti magiche dei nostri si fermano alle porte della finale, che come quattro anni prima è giocata da Germania Ovest ed Argentina. Maradona è ancora una stella che risplende nel firmamento calcistico, e le aspettative sono per una partita di grande spettacolo. La realtà sarà decisamente più soporifera.

Mondiale 1994 – Brasile-Italia. Un altro remake di una finale precedente, quella del 1970, nella fattispecie. Il mondiale statunitense garantisce uno spettacolo divertente, e l’Italia di Arrigo Sacchi, Roby Baggio, Roberto Donadoni e Franco Baresi è calcisticamente più brasiliana dello stesso Brasile, guidato questa volta dal tecnico di filosofia difensivista Carlos Alberto Parreira. Si finisce ai rigori dopo un’interminabile fase di studio durata 120 minuti.

Mondiale 1998 – Francia-Brasile. Fattore campo ancora decisivo, con la Francia multietnica di Zinedine Zidane a disputare per la prima volta una finale mondiale. Dall’altra parte della barricata, ancora il Brasile, questa volta simboleggiato da Ronaldo, soprannominato un po’ troppo enfaticamente Il Fenomeno. Ronaldo giocherà la finale ancora dolorante per un infortunio precedente, e la Francia azzeccherà la chiave tattica per vincere la partita a mani basse e il mondiale in casa.

Mondiale 2002 – Brasile-Germania. Nell’edizione nippo-coreana del mondiale gli arbitri si rivelano protagonisti negativi, trainando immeritatamente in semifinale la mediocre Corea del Sud. I campioni brasiliani, come Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho sono le vere stelle, coccolate dalla stampa mondiale. Diversamente, la Germania non presenta individualità di spicco, ma dispone del solito collettivo, questa volta solidamente impostato dall’ex campione baffuto Rudi Völler.

Mondiale 2006 – Italia-Francia. La Francia è solo l’ombra sbiadita di quella che otto anni prima aveva conquistato il titolo mondiale, ma tra colpi di fortuna irripetibili e qualche sparuta prodezza, arriva in finale. Dall’altra parte un’Italia mai particolarmente brillante nel corso del torneo. Per chi, diversamente da noi e dai francesi, che l’abbiamo vissuta da protagonisti, è stato spettatore neutrale, si è avuto un lungo sbadiglio di 120 minuti, con un grande fuoco d’artificio nel finale: La testata di Zidane.

Giuseppe Ottomano

TOUR: SULLE PRIME MONTAGNE NUOVA IMPRESA DI CHAVANEL

Sylvain ChavanelDopo una settimana di corsa, il Tour de France assaggia finalmente le grandi montagne: quest’anno le Alpi vengono affrontate per prime, anche se saranno i Pirenei, da scalare nella seconda metà di corsa, ad offrire le ascese più impegnative. I 166.5 km tra Tournus e Station des Rousses presentano sei gran premi della montagna: nei primi cento chilometri, due di terza categoria e uno di quarta; nel finale, tre di seconda categoria, ovvero la Côte du Barrage Vauglans (scollinamento a 57 km dal traguardo), il Col de la Croix de la Serra (-30 km) e infine la Côte de Lamoura, 14 km di ascesa al 5% di pendenza media, con la vetta posizionata a 5000 metri dall’arrivo. Il paese dove si conclude la tappa, Station des Rousses, è una stazione sciistica situata nel cuore del Giura, a pochi passi dalla Svizzera, e ospita il Tour de France per la prima volta nella storia.

Ancora una volta, appena il direttore di corsa Preudhomme sventola la bandiera che dà il via alla frazione, si scatena la bagarre. Cinque corridori riescono sin da subito ad avvantaggiarsi: si tratta della maglia a pois Jérôme Pineau (Quick Step), intenzionato a difendere la sua divisa di miglior scalatore; del valente passista tedesco Christian Kness (Team Milram); del francese Samuel Dumuolin (Cofidis), 158 cm di grinta e velocità; dell’esperto tedesco Danilo Hondo (Lampre-Farnese Vini), apripista di Petacchi nelle volate e vincitore di due tappe al Giro d’Italia 2001; e del basco Rubén Pérez, corridore completo in forza alla Euskaltel-Euskadi. Il gruppo inizialmente lascia fare, l’unico atleta che tira con un certo vigore è Stuart O’Grady, gregario della maglia gialla Cancellara alla Saxo Bank. Successivamente, è la BBox Bouygues Telecom, squadra esclusa dalla fuga iniziale, a prendere in mano le redini della corsa, facendo scendere il vantaggio dei fuggitivi, per preparare l’attacco del capitano Thomas Voeckler, che avviene puntualmente sulle rampe della Croix de la Ferra: seguendo l’azione del campione nazionale francese, una decina di atleti esce dal gruppo, tra i quali Rafael Valls (Footon-Servetto), Juan Manuel Garate (Rabobank) e Damiano Cunego (Lampre-Farnese Vini). Nel giro di pochi chilometri, questo plotoncino raggiunge i fuggitivi, che si staccano ad uno ad uno, ma viene a sua volta raggiunto da un’azione straordinaria di Sylvain Chavanel (Quick Step), già vincitore della seconda tappa. Lo stesso Chavanel, incurante del caldo asfissiante, saluta la compagnia sull’ultima ascesa, mentre nel gruppo principale la maglia gialla Fabian Cancellara, dopo lunghi chilometri passati a fare da elastico, perde definitivamente contatto, accumulando minuti su minuti: anche il secondo in classifica Geraint Thomas (Team Sky) cede, mentre tutti i big resistono senza fare azioni significative. Chavanel va così a compiere l’impresa forse più straordinaria della sua carriera: vince per la seconda volta una tappa in questo Tour (la terza della carriera), riconquistando quella maglia gialla che aveva perso a causa delle forature sul pavé di Arenberg. Un’impresa ancora più grande se si pensa che questo corridore, all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi, aveva rimediato una commozione cerebrale e diverse fratture dentarie che avrebbero potuto compromettergli l’intera stagione. Per la sua squadra, la Quick Step, una giornata da incorniciare, visto che il compagno Jérôme Pineau rafforza il primato nella classifica dei gran premi della montagna.

Domani è il giorno del primo arrivo in salita: 189 km da Station des Rousses a Morzine, attraverso due salite di quarta categoria, una di terza, il Col de Ramaz (prima categoria, vetta ai -30) e il traguardo di Morzine, al termine di un’ascesa lunga oltre 13 km al 6.1% di pendenza media.

Sabato 10 luglio 2010
Tour de France, settima tappa
Tournus – Station des Rousses (165.5 km)

ORDINE D’ARRIVO:

Ciclista Squadra Tempo
1. Sylvain CHAVANEL Quick Step 4h22’52”
(media 37,8 km/h)
2. Rafael VALLS FERRI
Footon-Servetto a 57″
3. Juan Manuel GARATE
Rabobank a 1’27”
4. Thomas VOECKLER
Bbox Bouygues Tel. a 1’40”
5. Mathieu PERGET Caisse d’Épargne stesso tempo

10. Eros CAPECCHI Footon-Servetto a 1’47”

CLASSIFICA GENERALE:

Ciclista Squadra Tempo
1. Sylvain CHAVANEL
Quick Step 33h01’23”
2. Cadel EVANS BMC a 1’25”
3. Ryder HESJEDAL
Garmin a 1’32”
27. Ivan BASSO
Liquigas Doimo a 4’06”

MAGLIA VERDE (punti):

Ciclista Squadra Punti
1. Thor HUSHOVD Cérvelo 118
2. Alessandro PETACCHI Lampre-Farnese Vini
114
3. Robbie MCEWEN
Team Katusha 105

MAGLIA A POIS (montagna):

Ciclista Squadra Punti
1. Jérôme PINEAU Quick Step 44
2. Sylvain CHAVANEL
Quick Step 36
3. Mathieu PERGET
Caisse d’Epargne 28

MAGLIA BIANCA (giovani):

Ciclista Squadra Tempo
1. Andy SCHLECK
Saxo Bank 33h03’18”
2. Roman KREUZIGER
Liquigas Doimo a 1’15”
3. Rafael VALLS FERRI
Footon-Servetto a 1’44”

Marco Regazzoni

HOCKEY PISTA: VIAREGGIO, UFFICIALIZZATI I FRATELLI BERTOLUCCI

Il CGC Viareggio ha ufficializzato l’acquisto di Alessandro e Mirko Bertolucci che nell’ultima stagione hanno vinto la Supercoppa europea con il Reus Deportivo.

i fratelli BertolucciLa notizia era ormai nell’aria da tempo e, questa mattina, ha ricevuto il carattere di ufficialità: il CGC Viareggio, società del campionato di serie A1 di hockey su pista, ha ufficializzato l’acquisto dei fratelli viareggini Alessandro e Mirko Bertolucci, che tornano così a vestire la casacca bianconera dopo, rispettivamente, 21 e 17 anni. Impegnati nell’ultima stagione con gli spagnoli del Reus Deportivo, con cui hanno conquistato Supercoppa europea e Coppa Intercontinentale, i due fratelli tornano a
Viareggio con l’intenzione di dare avvio ad una scuola hockey e, soprattutto, di regalare un trofeo alla società, ai tifosi e alla loro città.

Il presidente bianconero Alessandro Palagi ha altresì confermato che il nuovo allenatore del CGC sarà Massimo Mariotti, tecnico di successo con il Follonica ed unico allenatore capace di portare l’Eurolega in Italia, proprio sulla panchina della squadra maremmana. In arrivo anche un altro giocatore: il nome più gettonato è quello dell’argentino David Farrán, già agli ordini di mister Mariotti a Follonica.


Simone Pierotti

SGAMBETTO NEOZELANDESE NELLA PRIMA DEL TRI NATIONS

Vittoria netta per la Nuova Zelanda nella giornata inaugurale del Tri Nations

La disciplina fa vincere e perdere le partite: questo è successo all’Eden Park di Auckland, dove Bakkies Botha ha messo la sua firma, in negativo, all’incontro inaugurale del Tri Nations 2010 vinto 32-12 dalla Nuova Zelanda sul Sudafrica. Il seconda linea sudafricano, ad appena tre minuti dall’inizio delle ostilità, aveva colpito il mediano neozelandese Jimmy Cowan con una testata. Un gesto non visto dall’arbitro, ma che potrebbe costare caro a Botha, che dovrà apparire di fronte al ufficiale giudiziario del SANZAR Dennis Wheelahan dopo esssere stato citato per gioco pericoloso dal commissario della partita, Scott Nowland. Non è stato l’unico gesto di indisciplina da parte del sudafricano: Botha ha potenzialmente cambiato il corso del match al tredicesimo minuto, ricevendo un cartellino giallo per infrazioni ripetute mentre gli All Blacks avevano messo il Sudafrica con le spalle al muro della loro linea di meta. Durante i dieci minuti di espulsione temporanea, Carter ha pareggiato i conti (Morné Steyn aveva portato il Sudafrica in vantaggio con una punizione pochi minuti prima) dalla piazzola, prima che un contrattacco di Muliaina facesse arrivare la palla a Conrad Smith per la prima meta dell’incontro.

Era il diciottesimo minuto, e da quel momento il Sudafrica non è più riuscito a rialzarsi. Grazie a una grande partita di Mealamu e di Donnelly, i neozelandesi sono stati competitivi in touche, mentre i sudafricani Steenkamp e du Plessis non sono riusciti a replicare le ottime prestazioni di giugno e a sottomettere Owen Franks e Woodcock in mischia chiusa. Un errore difensivo di Jean de Villiers, andato all’intercetto invece di difendere sulla propria ala, ha aperto lo spazio per la seconda meta degli All Blacks. A marcarla, un’ispirato e carismatico Ma’a Nonu, sapiente guida del reparto arretrato neozelandese, che ha così chiuso il primo tempo sul 20-3.

Inutili i tentativi degli Springboks di rientrare in partita all’inizio della ripresa, nonostante i due calci messi a segno da Steyn: i neozelandesi si dimostrano più efficaci nel guadagnare la linea del vantaggio e ben presto varcano la meta avversaria una terza volta, grazie alla stupenda linea di corsa del numero otto Kieran Read, accorso a ricevere un passaggio in sospensione di Weepu, appena entrato al posto di Cowan. Il punto di bonus neozelandese, e il colpo di grazia per i sudafricani, arriva nuovamente per motivi disciplinari: una punizione veloce, e Read spedisce il pilone Tony Woodcock in meta. 32-12, quattro mete a zero, cinque punti in classifica a zero. Contro i pronostici la Nuova Zelanda parte in testa, e il Sudafrica deve riorganizzarsi per riaffrontare gli All Blacks, settimana prossima, di nuovo in casa loro, a Wellington. Perdere di nuovo darebbe un notevole vantaggio alla Nuova Zelanda e, nel caso il passivo dovesse essere nuovamente così largo, sarebbe un duro colpo psicologico per i Boks.

Sabato 10 luglio 2010
NUOVA ZELANDA – SUDAFRICA 32-12 (20-3)
Eden Park, Auckland (NZL)

NUOVA ZELANDA: Muliaina – Jane, Smith, Nonu, Rokocoko (58′ Kahui) – Carter, Cowan (54′ Weepu) – Read, McCaw (c), Kaino (72′ Messam) – Donnelly (72′ Whitelock), Thorn – O.Franks (64′ B.Franks), Mealamu (78′ Flynn), Woodcock.

SUDAFRICA: Kirchner – de Villiers, Fourie, Olivier (72′ Aplon), Habana – M.Steyn (72′ James), Januarie (76′ Pienaar) – Spies, Louw (52′ Rossouw), Burger – Matfield, B.Botha (52′ Bekker) – du Plessis (59′ BJ Botha), Smit (c) (72′ Ralepelle), Steenkamp.

ARBITRO: Alan Lewis (IRL)

MARCATORI
6′ p. M.Steyn RSA 0-3
13′ amm. B.Botha RSA
13′ p. Carter NZL 3-3
18′ m. Smith t. Carter NZL 10-3
24′ p. Carter NZL 13-3
35′ m. Nonu t. Carter NZL 20-3
Fine Primo Tempo 20-3
41′ p. M.Steyn RSA 20-6
46′ p. M.Steyn RSA 20-9
56′ m. Read t. Carter NZL 27-9
60′ p. M.Steyn RSA 27-12
79′ m. Woodcock NZL 32-12
FINALE 32-12

CLASSIFICA: Nuova Zelanda 5, Australia* e Sudafrica 0.
* una partita in meno

Damiano Benzoni

F1: POLE PER VETTEL, ALONSO PARTE DALLA SECONDA FILA

Sono le Red Bull a monopolizzare la prima fila del GP d’Inghilterra di Silverstone. La Ferrari di Alonso è terza davanti a Hamilton

Red BullIncredibili, volanti, fantastiche Red Bull. Ma incredibile, volante, fantastico Sebastian Vettel. Pole position strappata con velocità, ma anche tattica, molta tattica, quando il tedesco ha “giocato” con il compagno di squadra mascherando le proprie prestazioni durante la Q2. Prestazione eccezionale della Red Bull che hanno oscurato in parte il grande lavoro compiuto dalla Ferrari, che con Alonso, ma in parte anche Massa, è sembrata l’unica in grado di poter contrastare il passo delle due lattine volanti. Grossa delusione Mclaren, bocciato il pacchetto di modifiche agli scarichi dopo le prove del venerdì, le monoposto di Woking apparivano a vista lontane anni luce dall’equilibrio e stabilità delle Red Bull. Solo la classe cristallina di uno come Hamilton ha evitato la disfatta completa. Notevoli anche Barrichello, con una Williams che al contrario della Mclaren sembra aver azzeccato gli aggiornamenti, e de La Rosa che arriva in Q3 e si prende il lusso di stare davanti alla sua ex maestà Schumacher, ancora una volta poco convincente.

Ma andiamo con ordine, si parte con la seria prospettiva di vedere le rosse nelle prime file a Silverstone, e storicamente questo sarebbe un segnale decisamente positivo per la stagione rossa.  Nelle prima fase solita tragica – sportivamente parlando – apparizione dei tre team debuttanti che si collocano negli ultimi sei posti lasciando la lotta per l’esclusione ridotta a una sola posizione.Posizione che con ben poca gloria viene occupata da Alguersuari imprigionato – dopo un avvio di stagione promettente – in un declino prestazionale che dura ormai da parecchi Gp. Q2 raggiunta per un soffio da Liuzzi, che lamenta un distacco preoccupante rispetto al compagno di squadra Sutil, e da Michael Schumacher che onestamente non sembra così distante dal compagno Rosberg, ma il problema a questo punto è come non si riesca nemmeno a capire quanto Rosberg sia una pietra di paragone effettivamente valida.

In Q2 qualcuno esce confidente della propria forza con gomme dure – Alonso, Webber e Vettel – altri preferiscono non correre troppi rischi e montano da subito gomme morbide – Massa e Hamilton. E proprio con le gomme dure, a dimostrazione della perfetta attitudine della Red Bull alla pista inglese, davanti si piazzano ancora i due piloti in blu, con Alonso e Massa alle loro spalle, confermando così quello che sembra ormai il motivo dominante di questo fine settimana. E’ in questa fase che Vettel “gioca”, e per ben due volte rientra ai box senza segnare il tempo quando nei primi due settori gira su tempi molto simili al compagno di squadra. Petrov, apparso parecchio in palla su questa pista, lamenta problemi tecnici e si autoesclude dalla contesa, Button fatica con una Mclaren con poco grip, classificandosi 14° e deludendo una marea di fans accorsi in suo onore, mentre Hamilton, nonostante tutto, sfrutta ogni millimetro di pista, anche se non fa meglio di un settimo tempo che viste le previsioni della vigilia suona come una mezza sconfitta. Kubica aggancia il treno della Q3 per pochi millesimi,  bella prestazione di de La Rosa, dell’inossidabile Barrichello, e anche per le due Mercedes, con Schumacher che precede di poco il compagno Rosberg, e anche di Massa che senza far troppo rumore si piazza non troppo distante da Alonso.

In Q3 i due della Red Bull giocano a carte scoperte, e Vettel – rinfrancato dalla vittoria di Valencia e comunque spaventosamente veloce a Silverstone – si aggiudica la lotta in casa Red Bull, con Webber per un’inezia alle sue spalle, e Alonso eccellente terzo, con una Ferrari che può dirsi inferiore solo alle Red Bull, perlomeno qui a Silverstone.Fantastico Lewis Hamilton che riesce a classificarsi quarto nonostante la giornata persa di ieri, e una Mclaren sorprendentemente fuori forma, e bene anche Rosberg autore di un bel giro che lo ha portato al quinto posto. Alle sue spalle Kubica precede Massa, un poco sotto tono in Q3, gli ottimi Barrichello e de La Rosa, e lo Schumacher 2010, ovverosia un buon pilota e niente di più.

Per domani la prima curva dirà probabilmente molto su chi tra Vettel e Webber si aggiudicherà il Gp di Inghilterra, certo Alonso permettendo.

Pos. # Pilota Macchina Q1 Q2 Q3
1 5 Sebastian Vettel Red Bull-Renault 1′30.841 1′30.480 1′29.615
2 6 Mark Webber Red Bull-Renault 1′30.436 1′30.114 1′29.758
3 8 Fernando Alonso Ferrari 1′31.019 1′30.700 1′30.426
4 2 Lewis Hamilton McLaren-Mercedes 1′31.297 1′31.118 1′30.556
5 4 Nico Rosberg Mercedes 1′31.406 1′31.085 1′30.625
6 11 Robert Kubica Renault 1′31.680 1′31.344 1′31.040
7 7 Felipe Massa Ferrari 1′31.313 1′31.010 1′31.172
8 9 Rubens Barrichello Williams-Cosworth 1′31.424 1′31.242 1′31.175
9 22 Pedro de la Rosa Sauber-Ferrari 1′31.533 1′31.327 1′31.274
10 3 Michael Schumacher Mercedes 1′31.720 1′31.022 1′31.430
11 14 Adrian Sutil Force India-Mercedes 1′31.109 1′31.399
12 23 Kamui Kobayashi Sauber-Ferrari 1′31.851 1′31.421
13 10 Nico Hülkenberg Williams-Cosworth 1′32.144 1′31.635
14 1 Jenson Button McLaren-Mercedes 1′31.435 1′31.699
15 15 Vitantonio Liuzzi Force India-Mercedes 1′32.226 1′31.708
16 12 Vitaly Petrov Renault 1′31.638 1′31.796
17 16 Sebastien Buemi Toro Rosso-Ferrari 1′31.901 1′32.012
18 17 Jaime Alguersuari Toro Rosso-Ferrari 1′32.430
19 19 Heikki Kovalainen Lotus-Cosworth 1′34.405
20 24 Timo Glock Virgin-Cosworth 1′34.775
21 18 Jarno Trulli Lotus-Cosworth 1′34.864
22 25 Lucas di Grassi Virgin-Cosworth 1′35.212
23 20 Karun Chandhok HRT-Cosworth 1′36.576
24 21 Sakon Yamamoto HRT-Cosworth 1′36.968