VERSO SILVERSTONE

Lewis Hamilton
Foto: Ansa.it

La bufera di Valencia è passata, la sensazione che qualcosa di poco chiaro sia accaduto no. Perché passi che Lewis Hamilton sia rimasto sfiorato – certo marginalmente, lui ha fatto il resto –  dalla bacchetta magica della dea fortuna nel momento dell’ingresso della Safety Car; passi che sia stato Alonso invece sotterrato da un meteorite imprigionato nell’atmosfera;  è quell’aria di impunità verso l’inglese e di quasi colpevolezza nei confronti dello spagnolo che fa tanto scuotere la testa. Altro che alettoni mobili e amenità varie regolamentari. Probabilmente nel fine gara è volato qualche termine improprio di troppo, e se Alonso fosse stato un po’ più freddo – o avesse seguito lo stile del suo predecessore finlandese in Ferrari – la vicenda non avrebbe subito questa fastidiosa distorsione mediatica, invece a Fernando adesso tocca chiedere scusa, reprimere ogni lamentela e dimenticare tutto.

A proposito di Raikkonen: le voci sull’intenzione della Renault di affiancarlo a Kubica nel 2011 si fanno sempre più insistenti,  lui – e non è certo una novità – non ne parla, ma rimane il dubbio che il “giocattolo” rally lo stia entusiasmando al punto tale da abbandonare ogni progetto di rientro in F1 è più che reale. Sempre a proposito del finlandese, la Pirelli pare abbia intenzione di chiedere a Kimi la disponibilità come test driver per le coperture 2011: da questo prima risposta si capiranno le intenzioni future di Raikkonen?

Mark Webber invece, dopo essere sopravvissuto al volo spaventoso di Valencia, ha ripreso contatto con la Formula 1 nel centro di Londra, protagonista di una delle ormai classiche sortite della Red Bull nelle strade cittadine di mezzo mondo. La brutta notizia è che nell’incidente di Valencia è andato distrutto il telaio con cui aveva vinto a Barcellona e Monaco, e c’è da credere che certe sensazioni per l’australiano dovranno essere ricostruite nei primi giri delle prove di Silverstone.

La Mclaren si presenterà a Silverstone profondamente rinnovata nell’aerodinamica, e soprattutto con gli scarichi verso il basso che ormai stanno spopolando in Formula 1. Adrian Newey invece minimizza le novità che presenterà sulla Red Bull, ma anche a Valencia la Red Bull non doveva presentare chissà che…

Andrea Corbetta

WIMBLEDON: LA FINALE SARÀ ZVONARËVA – SERENA

Serena Williams giocherà sabato la sua sesta finale sull’erba di Wimbledon. Tra lei e la quarta vittoria, la russa Zvonareva.

Vera Zvonareva
Foto: Tonelli

La finale femminile del torneo di Wimbledon si disputerà sabato tra Vera Zvonarëva e Serena Williams. La numero uno al mondo ha superato oggi in semifinale per 7-6 6-2 la ceca Petra Kvitová arrivando per la sesta volta all’appuntamento conclusivo sull’erba dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club senza avere, questa volta, concesso alle avversarie neanche un set lungo il cammino. La Kvitová le ha provate tutte per fermare ciclone Williams: nel primo set è stata anche in vantaggio di un break e ha ceduto al tie-break solo per qualche dritto sbagliato di troppo. Nel secondo set è andata avanti per 2-1 ma poi Serena ha deciso che aveva fretta e ha chiuso cinque giochi consecutivi per andare sotto la doccia.

Nell’altra semifinale per un set è continuato il sogno della bulgara Pironkova che si è trovata in vantaggio per 6-3 ma ha poi dovuto inchinarsi alla più quotata russa Vera Zvonarëva (82 del mondo la bulgara, 21 la russa prima di Wimbledon) che ha concesso molto poco nel secondo e terzo set chiudendo le ostilità sul 3-6 6-3 6-2.

Per la Zvonarëva si tratta della prima finale di un torneo dello Slam e incontrerà Serena Williams per la sesta volta della carriera: solo una volta si è imposta la russa, si era sul duro di Cincinnati nel 2006 e vinse 6-2 6-3 in semifinale prima di aggiudicarsi il torneo in una delle 10 vittorie su 23 finali disputate nel circuito maggiore.

Massimo Brignolo

TOUR DE FRANCE -1: GLI UOMINI DI CLASSIFICA

Continua l’avvicinamento al Tour de France: diamo un’occhiata ai favoriti per la vittoria finale.

Tour de France198 atleti equamente suddivisi in 22 squadre: sono i numeri del Tour de France che partirà sabato da Rotterdam. Cerchiamo di scoprire quali corridori, a pochi giorni dal via, sembrano avere i favori del pronostico.

Qui ci si gioca la maglia gialla, tra infernali pavé, montagne impervie e piatte cronometro: ovviamente, solo un gruppo ristretto di atleti può puntare al massimo obiettivo, anche se le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Davanti a tutti mettiamo naturalmente Alberto Contador, vincitore di due delle ultime tre edizioni della Grande Boucle: un moderno Indurain, formidabile a cronometro e tostissimo in salita, che, da capitano del team Astana, avrà al suo fianco validi gregari, tra i quali spiccano Aleksandr Vinokurov (se accetterà un ruolo di secondo piano), il sempre impeccabile Paolino Tiralongo e il valido passista Andrij Hrivko. Quest’anno nessun dualismo interno con Lance Armstrong, che ha fatto le valigie per creare la RadioShack: quella statunitense è indubbiamente la squadra più competitiva, perché al fianco del campione texano troviamo il vincitore del Giro del Delfinato Janez Brajkovič, il costante tedesco Andreas Klöden, l’eterna promessa Jaroslav Popovyč e il sempre brillante Levi Leipheimer. Potrebbero sembrare troppi galli in un pollaio, ma alla fine il carisma di Armstrong dovrebbe avere la meglio.

Ivan Basso si presenta a questo Tour forte della vittoria ottenuta al Giro, ma anche consapevole del fatto che ripetere la straordinaria doppietta di Marco Pantani, ormai datata 1998, è quanto mai proibitivo: tuttavia, il ragazzo varesino si è preparato al meglio, trascorrendo diversi giorni in altura al San Pellegrino, e potrà contare sull’aiuto di Roman Kreuziger, deputato a imitare le gesta di Vincenzo Nibali, e dell’affidabilissimo scalatore Sylwester Szmyd. Denis Men’šov e Robert Gesink sembrano partire alla pari in casa Rabobank: l’olandese ha la condizione migliore, ma il russo ha dimostrato più volte in passato di essere fatto apposta per le corse di tre settimane. Qualche chance anche per i fratelli lussemburghesi Andy e Fränk Schleck, col primo che, nonostante la giovane età, è più adatto a fare classifica. Il campione del mondo Cadel Evans ha lo svantaggio di non avere una squadra competitiva in montagna, per quanto non si possano discutere le sue straordinarie doti di cronoman e scalatore. La carrellata dei favoriti si chiude con Carlos Sastre, perseguitato per tutta la stagione da una fastidiosa ernia al disco che ancora adesso gli impedisce di essere al top della condizione. Il Tour de France ci ha però abituato anche al delle sorprese e allora attenzione all’asturiano Samuel Sánchez, unico “straniero” nella “nazionale basca” Euskaltel-Euskadi, adattissimo a rivestire il ruolo di mina vagante, e al britannico Bradley Wiggins (Team Sky), lo scorso anno clamorosamente vicino al podio.

Marco Regazzoni

SPORT E SOCIETÀ: LA PUBLIC COMPANY CONTRO LA CRISI DEL CALCIO ITALIANO

E’ nato ieri ufficialmente il Venezia United, la public company che si affiancherà all’attuale dirigenza della squadra lagunare.

Venezia UnitedMantova, Gallipoli, Rimini, Salernitana, Foggia, Cavese, Olbia, Catanzaro..  l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Tutte queste squadre rischiano di non prendere parte ai campionati professionistici della prossima stagione. Insomma quei presidenti che non sono Moratti o Abramovic e non hanno saputo gestire oculatamente le proprie società, rischiano di veder sparire le loro squadre dal calcio che conta. L’anno scorso la triste sorte del fallimento toccò, fra le altre, alle blasonate Venezia, Pisa, Avellino e Treviso; quest’anno il copione rischia di ripetersi.

Le responsabilità non sono però esclusivamente legate all’attuale crisi economica ma vanno fatte risalire agli anni Novanta quando il lassismo del governo del calcio italiano ha permesso a società ultra indebitate e  in stato fallimentare di trasformarsi in modelli vincenti. Basterebbe citare la Fiorentina di Checchi Gori, la Lazio di Cragnotti e il Parma di Tanzi. L’attuale redistribuzione dei diritti televisivi inoltre tende a penalizzare molto le piccole società delle serie minori.

Ieri la Pro Vercelli si è garantita la salvezza economica utilizzando il più antico dei metodi: una colletta che ha recuperato 140 mila euro fondamentali per iscrivere il club al campionato. Qualcosa di più strutturato è invece nato a Venezia sulla scia delle esperienze pioneristiche di Modena, Roma e Pisa.

Dopo due fallimenti in meno di cinque anni e un numero non meglio precisato di personaggi dalle dubbie virtù morali alla guida della società, i tifosi hanno detto basta. Ieri, all’assemblea costitutiva tenutasi al Palaplip di Mestre, è nato il “Venezia United”, la public company che si affiancherà all’attuale dirigenza nella gestione della squadra.

Fondamentale, oltre all’entusiasmo dei tifosi e di tutta la comunità cittadina a partire dal neopresidente Franco Vianello Moro, è stato l’appoggio di Supporter Direct, la rete che in tutt’Europa aiuta a promuovere l’azionariato popolare, i trust di tifosi e una partecipazione attiva e consapevole di essi all’interno del proprio club sportivo. Solamente in Gran Bretagna la Supporter Direct collabora con più di 160 organizzazione di tifosi e può vantare l’Uefa fra i suoi finanziatori.

In Italia Modena è stata la prima città a creare una cooperativa di tifosi, seguita da Roma. Anche Pisa e ora Venezia stanno cercando di realizzare l’azionariato popolare sul modello europeo.

In Inghilterra questo sistema è diventato uno strumento per sfidare le deformazioni del calcio moderno. Nel 2005 alcuni tifosi dei Red Davils con l’avvento della presidenza Glazer che scaricava i costi dei propri debiti hanno fondato la propria squadra: lo United of Manchester imitando l’Afc Wimbledon che era nato nel 2002 dopo che il neo presidente aveva spostato la squadra, con il permesso della FA, a Milton Keynes città distante ben 100 Km da Wimbledon. L’azionariato popolare però è adottato anche dalle grandi squadre come l’Arsenal che consente ai propri tifosi di detenere il 15% del capitale societario.

Nella penisola iberica l’azionariato popolare è una realtà ancora più solida e vincente. Il Barcellona, per esempio, ha più di 140.000 soci-azionisti che ogni 4 anni votano a suffragio universale il presidente e il comitato direttivo e possono usufruire di sconti e corsie preferenziali.

In Italia l’azionariato popolare è ancora a livello embrionale ma la nascita del Venezia United, di Insieme per il Pisa o di MyRoma rappresenta sicuramente un passo in avanti. Il problema più grande è però culturale: se i presidenti delle società accetteranno di sottoporsi al controllo dei propri tifosi anche tramite periodiche elezioni allora il modello dell’azionariato popolare potrebbe essere davvero vincente sia in termini economici che culturali. In caso contrario queste public company rischierebbero di trasformarsi in semplici raccoglitori di denaro utili per  collette come quelle di Vercelli.

Link Utili:

Supporter direct: http://supporters-direct.org/home.asp
United of Manchester: http://www.fc-utd.co.uk/
Afc Wimbledon: http://www.afcwimbledon.co.uk/
Azionariato popolare Italia: http://www.azionariatopopolareitalia.it/
Venezia: http://www.veneziaunited.com/
Modena: www.coopmodenasportclub.it
Pisa: http://www.insiemeperilpisa.it/
Roma: http://myroma.it/ e http://www.azionariatopopolareasroma.com/


Nicola Sbetti

BRASILE-OLANDA: IL LIBRO DEI RICORDI MONDIALI

La storia delle tre sfide mondiali tra Brasile e Olanda con un bilancio in equilibrio prima del quarto di finale di domani sera.

La rete di Cruijff nel 1974Il menu dei quarti di finale di Sudafrica 2010 propone una miscela di grandi classiche e prime assolute; se la seconda categoria annovera Uruguay-Ghana e Spagna-Paraguay, Argentina-Germania e Brasile-Olanda rappresentano ormai delle vere e proprie classiche dei Campionati Mondiali.

Verdeoro e tulipani si sono incontrati tre volte nelle fasi finali della Coppa del Mondo e sempre in occasioni decisive, dentro o fuori. Per il primo incrocio dobbiamo fare un salto indietro di 36 anni, alla edizione del 1974 dove impazza il calcio totale dell’Olanda di Cruijff e Neeskens, con i difensori che partecipano alla manovra offensiva e un continuo movimento di tutta la squadra: forse la maggiore innovazione degli ultimi 50 anni non sufficientemente premiata dai risultati – gli olandesi arrivarono per ben due volte alla finale sempre puniti dai padroni di casa. Dall’altra parte il Brasile si presenta in Germania per i primi Mondiali del dopo Pelé e, in assenza di un cambio generazionale valido, si affida ancora agli eroi del 1970 come Jairzinho e Rivelino in una delle peggiori versioni dei verdeoro che si ricordi.

Le due squadre si incontrano nell’ultima giornata della seconda fase, un girone a quattro squadre che promuove la prima classificata alla finalissima. Olanda e Brasile sono a pari punti ma la differenza reti premierebbe in caso di pareggio i tulipani. Gli olandesi prendono l’iniziativa in un match sul filo del nervosismo ma la difesa verdeoro regge per tutto il primo tempo. Sono le giocate di Johan Cruijff a decidere la partita: al 50′ il profeta del goal mette una punizione sul piede di Neeskens che trafigge Leao e un quarto d’ora dopo mette il sigillo personale raccogliendo al volo un centro di Rensebrink. L’Olanda vola verso il suo destino in una finale dove soccomberà al muro tedesco, il Brasile si deve accontentare della finalina dove cede il terzo posto alla Polonia di Lato e Deyna.

3 luglio 1974
OLANDA – BRASILE 2-0 (0-0)
Westfalenstadion, Dortmund (FRG)

OLANDA: Jongbloed, Suurbier, Haan, Rijsbergen, Krol, Jansen, Neeskens (85′ Israel), van Hanegem, Rep, Cruijff (c), Rensenbrink (67′ de Jong).

BRASILE: Leão, Zé Maria, Luís Pereira, M.Marinho (c), F.Marinho, César Carpegiani, Rivelino, Dirceu, Valdomiro, Jairzinho, Paulo César Lima (61′ Mirandinha).

ARBITRO: Tschenscher (FRG)

GOL: 50′ Neeskens (NED), 65′ Cruijff (NED)

I cammini delle due nazionali si incrociano nuovamente 20 anni dopo: è al tramonto la seconda generazione di olandesi protagonisti, quella che nel 1988 ha vinto i Campionati Europei. Del trio milanista, vera spina dorsale degli Orange di fine anni Ottanta, resta solo Frank Rijkaard; Gullitt ha lasciato la Nazionale e Van Basten è alle prese con le mille operazioni che porteranno al ritiro troppo precoce del cigno di Utrecht. Dirk Advocaat si affida agli estri del solito indecifrabile Dennis Bergkamp. Sulla panchina brasiliana siede Carlos Alberto Parreira che dopo le ultime delusioni (eliminazione negli ottavi a Italia 90) ha introdotto un modulo all’europea nel complesso verdeoro dove compaiono interditori solidi come Carlos Dunga che recuperano palloni per innescare i micidiali Romario e Bebeto.

Parreira e Advocaat si ritrovano di fronte il 9 luglio a Dallas nei quarti di finale: il Brasile vi è arrivato dopo un tranquillo girone e un ottavo contro i padroni di casa passato alla storia per la gomitata di Leonardo a Ramos mentre l’Olanda ha faticato perdendo contro il Belgio la partita inaugurale e superando negli ottavi una scialba Irlanda. Il primo tempo è di una noia mortale ma nei secondi 45 minuti si accendono le polveri e ne esce uno dei migliori periodi della storia recente dei Mondiali. Il risultato è sbloccato al 53′ da una combinazione Bebeto – Romario che trafigge De Goey; lo svantaggio costringe i tulipani a scoprirsi e dieci minuti dopo è Bebeto a presentarsi in contropiede da solo davanti al portiere e a mettere a segno la rete che sembra della sicurezza. L’Olanda non ci sta e riesce a riacciuffare la partita: un minuto dopo segna Bergkamp e al 76′ Winter completa un uno-due che potrebbe indirizzare la partita ai supplementari. A non crederci è Branco, il difensore del Brescia e del Genoa che sostituisce lo squalificato Leonardo, che con una delle sue micidiali punizioni chiude le ostilità a nove minuti dal fischio finale: il Brasile avanza e conquisterà la Coppa del Mondo nella finale di Pasadena contro l’Italia di Sacchi, l’Olanda fa i bagagli.

9 luglio 1994
BRASILE – OLANDA 3-2 (0-0)
Cotton Bowl, Dallas (USA)

BRASILE: Taffarel, Jorginho, Marcio Santos, Aldair, Branco (89′ Cafu), Mazinho (81′ Rai), Zinho, Mauro Silva, Dunga (c), Bebeto, Romario.

OLANDA: De Goey, R.Koeman (c), Valckx, Wouters, Witschge, Rijkaard (84′ R.De Boer), Jonk, Winter, Overmars,  Bergkamp, Van Vossen (53′ Roy).

ARBITRO: Badilla (COS)

GOL: 52′ Romario (BRA), 61′ Bebeto (BRA), 64′ Bergkamp (NED), 76′ Winter (NED), 81′ Branco

Da Dallas a Marsiglia il passo, misurato in edizioni del Campionato Mondiale, è breve: quattro anni dopo Olanda e Brasile si incontrano in semifinale. Gli europei, guidati da Guus Hiddink, hanno chiuso a chiave la retroguardia con l’innesto di Stam e con una diga davanti alla difesa come Edgar Davids e agli umori spesso ondivaghi di Bergkamp hanno affiancato il ventiduenne Patrick Kluivert. Passano agli ottavi con due pareggi (Belgio e Messico) e una goleada contro la Corea del Sud, negli ottavi superano la Jugoslavia nei minuti di recupero e nei quarti superano l’Argentina con un goal di Bergkamp all’89’. Il Brasile si presenta come il Brasile del primo Ronaldo dopo che il fenomeno aveva fatto panchina, diciassettenne, a USA 94, mentre Zagallo assembla una squadra con due esterni sensazionali come Cafu e Roberto Carlos e una mediana ancorata intorno a Dunga. I verdeoro superano la prima fase a punteggio pieno, distruggono il Cile negli ottavi e faticano ad avere la meglio sulla Danimarca di Brian Laudrup e Jorgensen nei quarti.

La sera del 7 luglio 1998, al Velodrome di Marsiglia, la semifinale segue il normale copione dei precedenti scontri tra Brasile e Olanda con un primo tempo scialbo con de squadre troppo bloccate dalla posta in gioco e dalle alchimie tattiche e un secondo tempo che si accende quando una delle due contendenti da il la alle segnature. E questo avviene 20″ dopo il fischio d’inizio della ripresa quando Rivaldo trova l’imbucata per uno scatto di Ronaldo che brucia in velocità Frank De Boer e infila il pallone tra le gambe di Van der Saar. Ci vogliono 42 minuti prima che l’Olanda, che si prende i suoi buoni rischi in difesa, riesca ad impattare le sorti dell’incontro e mantenere viva la fiamma della speranza  con un colpo di testa di Kluivert. Sono ancora Ronaldo e Kluivert a cercare di sbloccare il risultato durante i supplementari ma si va ai calci di rigore dove Taffarel para i tiri dal dischetto di Cocu e De Boer e porta il Brasile alla finale di Parigi contro la Francia mentre la delusa Olanda verrà sconfitta nella finale per il terzo posto dalla soprendente Croazia.

7 luglio 1998
BRASILE – OLANDA 1-1 (0-0) 4-2 d.c.r.
Velodrome, Marsiglia (FRA)

BRASILE: Taffarel, Ze Carlos, Aldair, Júnior Baiano, Roberto Carlos, César Sampaio, Dunga (c), Leonardo (85′ Emerson), Rivaldo, Bebeto (70′ Denílson), Ronaldo.

OLANDA: Van Der Sar, Reiziger (57′ Winter), Stam, F.De Boer (c), R.De Boer, Jonk (111′ Seedorf), Davids, Cocu, Bergkamp, Kluivert, Zenden (75′ Van Hooijdonk).

ARBITRO: Al-Bujsaim (UAE)

GOL: 46′ Ronaldo (BRA), 85′ Kluivert (NED)

RIGORI: 1:0 Ronaldo, 1:1 F.De Boer, 2:1 Rivaldo, 2:2 Bergkamp, 3:2 Emerson, 3:2 Cocu (parato Taffarel), 4:2 Dunga, 4:2 R.De Boer (parato Taffarel)

Massimo Brignolo