ALLA CACCIA DEL MAGNIFICO SETTE

Alla scoperta del Partizan Belgrado, che alla Final Four di Eurolega proverà a conquistare la settima Coppa dei Campioni della sua storia.

Un inizio difficile, difficilissimo. Poi la ripresa. E, infine, il decollo. E il finale come sarà? Tutto da scoprire, impossibile da pronosticare con certezza matematica. Delle quattro partecipanti alla Final Four di Eurolega che verrà ospitata a Roma il 3 e 4 giugno, il Partizan Belgrado è certamente quella meno facile da decifrare. Non sono, invece, un mistero le intenzioni dei serbi: nello specchio d’acqua del Foro Italico cercheranno di portare a casa l’ambito trofeo. Se così fosse, il Partizan raggiungerebbe a quota sette il Mladost, avversario in semifinale.

E pensare che, fin dagli inizi, l’avventura continentale non prometteva nulla di buono: subito una sconfitta (10-8) proprio contro il Mladost, poi un sofferto pareggio – per giunta a Belgrado – contro il Club Natació Barcelona. La qualificazione non era affatto compromessa, ma un solo punto in due partite non era degno di una squadra con grandi tradizioni. Poi, la svolta: pur senza particolari acuti, gli uomini di Igor Milanović, leggenda vivente della pallanuoto con 540 gol segnati in nazionale, battono (9-7) l’Olympiakos alla piscina del Pireo. E, da questo momento, non perdono un solo incontro. Bissano il successo contro i greci, ridotti ai minimi termini. E, soprattutto, vendicano la sconfitta di Zagabria segnando addirittura quattordici reti al Mladost (14-7 il finale). Il primo posto, e la qualificazione ai quarti di finale, è cosa fatta.

Ancor più trionfale il cammino nel turno successivo: sei vittorie in altrettante partite, esattamente come la Pro Recco. I bianconeri dominano incontrastati un girone particolarmente difficile, che li vedeva opposti ai croati dello Jug Dubrovnik e ai montenegrini dello Jadran Herceg Novi e del Budva. Ma il calendario impegnativo si è rivelato poco più di una formalità. Decisivo il 13-10 con cui i serbi hanno sbancato l’avveniristica piscina della città dalmata. E, dopo essersi dovuto accontentare del terzo posto un anno fa a Napoli, il Partizan tenta nuovamente di realizzare il sogno proibito.

Il punto di forza di Igor Milanović potrebbe essere il grande affiatamento dei suoi giocatori: molti di loro, infatti, figurano sempre nella nazionale guidata da Dejan Udovičić che, in un anno, ha cambiato un solo elemento. Il principale spauracchio delle difese avversarie si chiama Andrija Prlainović: 24 anni, pedina inamovibile della nazionale, ha segnato venti reti nell’attuale Eurolega. Tante quante ne ha realizzate il centroboa Duško Pijetlović, di due anni più anziano, perfetto terminale offensivo. E se le sedici marcature dell’immortale Vujasinović, ex Roma e Recco, non fanno notizia, la vera rivelazione è il ventenne Miloš Ćuk, andato in gol per tredici volte. Al di sotto delle aspettative, invece, il contributo di Theodoros Chatzitheodorou: arrivato a Belgrado dopo quindici anni al servizio dell’Olympiakos, l’universale greco ha segnato solamente quattro reti. Chissà che non si svegli proprio nel finale di stagione.

L’OSSESSIONE DI RECCO

Alla scoperta del Mladost Zagabria, rappresentante della pallanuoto croata alla Final Four di Eurolega a Roma.

Più che a quello attuale, comunque pericoloso, l’attenzione della Pro Recco è rivolta al Mladost Zagabria del tempo che fu. Quello delle sette Coppe dei Campioni – oggi Eurolega – in bacheca, record continentale al quale aspirano i liguri adesso che la Final Four di Roma (3-4 giugno) si avvicina a grandi passi. Curiosità: i croati, in semifinale, saranno attesi da un’equilibrata sfida contro il Partizan di Belgrado, altra aspirante ad alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie per la settima volta nella sua storia.

La Hrvatski Akademija Vaterpolo Klub Mladost – parola che in croato significa “gioventù”, sorta di corrispondente balcanico della nostrana Juventus di calcio – vede la luce nel 1946 ed in breve tempo diventa una delle potenze della pallanuoto jugoslava: negli anni Sessanta vince tre campionati nazionali e, soprattutto, tre Coppe dei Campioni consecutive (1967, 1968 e 1969). E i trionfi proseguiranno anche quando, trenta anni dopo, la Croazia diventerà uno stato indipendente.

Il presidente Luka Miličić ha dotato il tecnico Vjekoslav Kobeščak – era in acqua nel 1996, anno dell’ultima affermazione continentale del Mladost – di una squadra altamente competitiva: proprio dalla Pro Recco è arrivato il campione premiato pochi mesi fa come miglior pallanotista dell’anno, Vanja Udovičić. Che, ironia della sorte, dovrà sfidare in semifinale i connazionali – ed ex compagni di squadra – del Partizan Belgrado. In fase offensiva, il punto di forza del Mladost è stato il gigante Petar Muslim (2 metri per 105 chili), ieri centroboa e oggi attaccante che milita nella nazionale campione d’Europa: fino ad oggi ha segnato 29 reti nell’Eurolega. La retroguardia può contare su due estremi difensori di indubbio valore come Pavić – le sue parate hanno regalato l’oro alla Croazia agli ultimi Europei – ed il macedone Perčinić. A proposito di nazionali: altri elementi di spicco sono Ivan Buljubašić, difensore con la passione per la saga di “Star wars”, ed i non più giovani Frano Karač (34 anni) ed Igor Hinić (36 anni), centroboa con trascorsi in Italia al Brescia.

L’unico neo è la discontinuità di risultati in Europa: dopo un brillante turno preliminare, chiuso al primo posto nel girone pur con qualche ombra (vedi la stringata vittoria ad Atene su un Olympiakos in preda ad una gravissima crisi economica e la disfatta – 14-7 – a Belgrado contro il Partizan), il bilancio dei quarti di finale è assai meno rassicurante. Al di là della doppia sconfitta patita contro la Pro Recco, la squadra si è arresa anche al Primorje Rijeka,  superato  poi nell’incontro di rivincita a Zagabria, con tanta fatica. E solamente un gol ha separato il Mladost da quelli che sarebbero stati due preoccupanti pareggi contro il Vasas Budapest, ultimo del girone con un misero punto. Quando, però, un allenatore può permettersi tutti quei campioni appena menzionati, tutto può succedere. Anche di tornare a vincere il trofeo dopo quindici anni di digiuno.

DOLCE MONTENEGRO

Alla scoperta del Budva, abbordabile avversario della Pro Recco in semifinale di Eurolega.

La fortuna, si sa, aiuta gli audaci. E la Pro Recco non poteva chiedere di meglio per la semifinale della Final Four di Eurolega, in programma il 3 e 4 giugno prossimi alla piscina del Foro Italico a Roma: i campioni italiani e continentali hanno pescato il Budva, la meno accreditata tra le formazioni montenegrine, già affrontata – e battuta –  sia all’andata che al ritorno nella fase eliminatoria a gironi. Occhio, però, a non abbassare troppo la guardia.

Fondato nel 1947 nell’omonima cittadina, uno dei centri del turismo balneare in Montenegro, il Vaterpolo Klub Budva è la meno blasonata delle grandi squadre della pallanuoto del minuscolo stato balcanico: in bacheca figurano solamente uno scudetto, risalente addirittura ai tempi dell’ex Jugoslavia (1994), ed una Coppa del Montenegro conquistata tre anni fa. In ambito europeo, il massimo risultato raggiunto dal Budva sono le semifinali dell’ormai defunta Coppa delle Coppe nel 1996 e, per due stagioni consecutive (2007 e 2008), della Coppa LEN.

Indipendentemente da quello che sarà l’esito della Final Four capitolina, si può dire che il Budva la sua coppa l’ha già vinta: delle quattro finaliste è, infatti, l’unica ad aver iniziato il cammino dal primo turno di qualificazione, anziché direttamente dai gironi eliminatori. Una squadra abituata a lottare ed a soffrire, quella guidata da Boris Krivokapić – per la prossima stagione ha già ricevuto il benservito, visti i pessimi risultati in patria -: in quattro occasioni ha vinto con appena un gol di scarto. Decisivo, ai fini della storica qualificazione, il 9-7 inflitto allo Jug Dubrovnik nei quarti di finale.

Sebbene, nella gerarchia della pallanuoto montenegrina, sia la terza squadra per ordine d’importanza dopo Primorac e Jadran, il Budva ha validissimi giocatori. Per la precisione, buona parte della nazionale che vinse gli Europei di Málaga nel 2008, come il mancino Damjan Danilović, i centroboa Vjekoslav Pašković e Nikola Vukčević (migliori marcatori della squadra in Eurolega con 17 e 15 reti a testa) ed i mastini Milan Tičić e Predrag Jokić, che in Italia ha indossato le calottine di Sori, Savona ed anche Recco, che ritroverà dunque da avversario in semifinale.  Assoluta garanzia tra i pali, dove si accomoderà Denis Šefik, serbo poi naturalizzato montenegrino. Da tenere d’occhio il ventunenne Justin Boyd, astro nascente della pallanuoto canadese, così come il difensore con licenza di segnare Ivan Žanetić (ben 12 gol nella cavalcata verso la finale) e l’arzillo vecchietto – 38 anni – Petar Trbojević. Curiosità: uno è croato, l’altro è serbo. Come dire: bando alle tensioni tra i vari popoli, quando c’è da vincere ci si può unire sotto la stessa bandiera.

LO SCIÀ DI PERSIA

Argento alla Fina Development Trophy per l’Iran di Paolo Malara, che ha risvegliato gli entusiasmi nella vecchia Persia.

Ha vinto tutte le partite del torneo tranne una. Quella decisiva. Poco male: la qualificazione alla finalissima non era passata inosservata, sui quotidiani e sulle agenzie di stampa nazionali. Paolo Malara, ex ct del Settebello, guida la nazionale iraniana di pallanuoto maschile al secondo posto della terza FINA Water Polo Development Trophy, competizione riservata a dodici selezioni nazionali provenienti dall’Africa, dalle Americhe e dall’Asia. Dalle aree, insomma, in cui la pallanuoto non ha ancora raggiunto la notorietà acquisita in Europa ed in pochissimi altri paesi fuori del Vecchio Continente.

Dopo aver fatto svolgere le prime due edizioni in Kuwait, nel 2007 e nel 2009, il massimo organo mondiale degli sport acquatici decide di far ospitare la terza a Dammam, in Arabia Saudita. Ci sono i padroni di casa. Ci sono Algeria, Marocco e Tunisia, nonostante i tumulti di inizio anno nell’Africa mediterranea. Ci sono i campioni in carica del Kuwait. C’è anche Singapore, che ha destato scalpore ai Giochi asiatici per i copricostumi “osè”. E c’è pure l’Iran, dallo scorso marzo allenato da Paolo Malara, già alla guida delle nazionali francese e italiana.

I persiani vengono inseriti nel girone A: devono vedersela con Trinidad & Tobago (terzi due anni fa), Kuwait, Antille Olandesi, Tunisia e Marocco. Non sbaglia un colpo il settebello di Malara: incoraggiante esordio per 14-9, sofferto successo (7-6) sui detentori del trofeo, vittoria roboante per 15-5. Dopo il tranquillo 14-10 rifilato alla Tunisia, la finalissima è ormai ad un passo: nell’ultima giornata c’è da affrontare il Marocco, ultimo nel girone, a secco di punti. Malara, tecnico di esperienza, mantiene alta l’attenzione dei suoi giocatori: niente braccino corto, Marocco sconfitto con un secco 19-3. Per l’Iran è la prima finale di una competizione internazionale dal 1974, anno in cui vinse i Giochi asiatici.

Tra i giovani ragazzi guidati da Malara e la medaglia d’oro c’è l’Arabia Saudita. Che ha, dalla sua parte, il fattore campo. In acqua è sfida vera: finisce 4-4, si va ai supplementari e poi ai rigori. Dove i sauditi si rivelano più freddi, più precisi. Per il settebello persiano, andato per l’occasione in pellegrinaggio a La Mecca, è comunque il miglior risultato di sempre dopo la sopraccitata vittoria ai Giochi asiatici. Dopo anni di cocenti delusioni, vedi la mancata qualificazione proprio alla recente rassegna continentale e l’ultimo posto in Coppa FINA ad Oradea, ecco un argento reso ancor più scintillante dal solo mese di lavoro avuto a disposizione da coach Malara e dall’assenza dell’astro nascente Nima Khoshbakht per problemi di visto. E c’è pure la “benedizione” di Niculae Firoiu, membro del Comitato tecnico della FINA e vecchia gloria della pallanuoto rumena. Che i fasti dell’antico impero persiano siano destinati a rivivere – almeno nel panorama asiatico – nel settebello di Malara?

L’ALBA DI UNA NUOVA ERA?

Nelle Coppe europee femminili Rapallo e Sabadell spezzano l’egemonia di Grecia e Russia.

Forse sarà solo un fuoco di paglia. O forse no, forse davvero qualcosa sta cambiando. Tutto lasciava presagire all’ennesimo duello tra Grecia e Russia nelle Coppe europee di pallanuoto femminile, sulla scia dei risultati della scorsa stagione (e anche agli Europei di Zagabria la finale fu tra elleniche ed ex sovietiche). E invece, ecco le vincitrici che non ti aspetti: il Rapallo Nuoto, orgoglio italiano, in Coppa LEN ed il Club Natació Sabadell, prima formazione spagnola ad alzare la Coppa dei Campioni.

Che le liguri sarebbero potute essere la squadra rivelazione non era un mistero già ad inizio stagione. Ma tra i pronostici ed il verdetto del campo spesso c’è di mezzo il mare, o meglio, uno specchio d’acqua lungo 25 metri. La squadra guidata da Mario Sinatra godeva di grandi credenziali, grazie all’arrivo delle azzurre Abbate, Cotti, Frassinetti e Gigli. E alla fine non ha deluso le attese. Anzi: ha fatto fuori le temibili olandesi dello ZVL Leiden (qualche brivido nel match di ritorno) ai quarti e le ungheresi dello Szentesi in semifinale, rimontando il 7-5 patito all’andata in terra magiara. E poi c’è il miracolo della finalissima, una settimana fa: il Fysius Het Ravijn, altra formazione dei Paesi Bassi, sembra quasi mettere le mani sul trofeo dopo la larga vittoria (12-5) nella partita di andata. Ma sette reti non saranno un vantaggio così rassicurante. Perché a Rapallo le ragazze di Sinatra, dopo un primo parziale di 2-1, prendono il largo e segnano ben nove reti in due tempi. Le stesse che, a fine partita, le separano dalle olandesi (12-3). Un vero capolavoro, che regala al Rapallo – quarta italiana a vincere la Coppa LEN dopo Palermo, Ortigia e Roma – il primo trofeo della sua storia.

Ma l’Italia è andata vicinissima a centrare una storica doppietta. Perché nella finale di Coppa dei Campioni dello scorso week-end non c’era il Vouliagmeni campione in carica – si è fermato ai quarti – e nemmeno l’antagonista più accreditata, il Kinef Kiriši. C’erano una spagnola (il Sabadell, che ha ospitato la Final Four) ed un’italiana (l’Orizzonte Catania, giustiziere delle greche). E, come nel caso della Coppa LEN, trionfa una squadra – anzi, un paese – che mai aveva vinto la coppa dalle grandi orecchie. E se nel girone eliminatorio il successo delle iberiche sulle etnee era stato stringato (14-13), nell’atto supremo i gol di differenza sono saliti a cinque: decisivi, soprattutto, i colpi del mercato di inizio stagione, ovvero Jennifer Pareja, capocannoniere del campionato spagnolo un anno fa, e la promettente ungherese Gabriella Szűcs.  Grecia e Russia, le grandi deluse, si sono dovute accontentare della piazza d’onore. Esce sicuramente a testa alta l’Olympiakos di Theokratis Pavlides,  che si è lamentato della direzione  di gara della semifinale con l’Orizzonte – affidata ad un polacco e ad un britannico – ed ha parlato di “giochi politici della LEN”: polemiche a parte, il terzo posto è un premio per lui e per le giocatrici che, tra mille difficoltà, continuano a lottare per ambiziosi traguardi.

Che sia, davvero, l’inizio di una nuova fase per la pallanuoto in rosa, dove a vincere non siano i soliti noti?