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L’Editoriale
Occhi a mandorla
È così che noi occidentali siamo avvezzi ad identificare quanti provengono dall’Estremo Oriente: occhi a mandorla. Per noi è il tratto dominante della loro fisionomia. Talmente dominante che non sapremmo distinguere un coreano da un giapponese. Da bambini, poi, ci divertivamo a portare i polpastrelli delle dita sulla coda dell’occhio e a spingerla verso le tempie, simulando a mo’ di scherno l’occhio a mandorla. E ci chiedevamo: ma come faranno ad osservare il mondo, da quelle fessure così strette? Invece non ci siamo resi conto che i ciechi siamo noi. Noi che sottovalutiamo le potenzialità dei dragoni asiatici, che facciamo finta di non capire che un domani, probabilmente, dovremo fare i conti (anche) con loro.
E l’Estremo Oriente è uno dei principali protagonisti di questo numero, anche alla luce dei recenti avvenimenti. Si parla di calcio e di Giappone, ad esempio, non fosse altro che per il fatto che il massimo campionato è stato fermo per più di un mese a causa del terremoto dell’11 marzo. Ma ne parliamo a modo nostro, senza ricorrere a toni tragici o retorici, raccontando semmai la storia e l’evoluzione del calcio in un paese, come quello del Sol Levante, che solo negli ultimi venti anni si è lasciato davvero contagiare dalla magia del pallone. In aggiunta, trovate la presentazione della nuova stagione agonistica. Si parla, poi, anche del campionato della Corea del Sud e del difficilissimo processo di riunificazione con il Nord: Pianeta Sport propone, con un’appendice statistica, il resoconto dei confronti diretti tra le nazionali dei due paesi, molti dei quali giocati proprio con l’intento di favorire la distensione tra P’yŏngyang e Seul e di arrivare alla cancellazione della linea di demarcazione in prossimità del 38° parallelo. Il nostro viaggio ideale prosegue verso Occidente e, in particolare, verso l’Asia Centrale. Ci fermiamo in Afghanistan, dove è ancora in corso una guerra senza via d’uscita. Ma anche dove gli Stati Uniti, a fatica, stanno provando a costruire qualcosa affidandosi al più improbabile degli sport che vengono in mente pensando all’Afghanistan: la pallanuoto.
L’altro capo del nostro viaggio ideale è la zona compresa tra il nord Africa e il medio Oriente, sconvolto negli ultimi mesi dalla cosiddetta Primavera Araba che ha visto migliaia di cittadini di regimi ultradecennali e fortemente autoritari scendere in piazza e chiedere un cambiamento, mlgliori condizioni di vita e aperture democratiche. Gran parte delle persone scese in piazza da Tunisi a Tripoli, da Algeri al Cairo, dallo Yemen a Teheran erano tifosi di calcio, e il pallone rotondo si è rivelato, oltre a un grande catalizzatore di passioni e tensioni, un protagonista di cui è necessario tenere conto nello scenario dei sollevamenti popolari del mondo arabo. Come già era successo in Ungheria, in ex Jugoslavia, in Iran, lo sport ha dato modo a sentimenti collettivi repressi di prendere forma, e rimane un importante termometro per comprendere e interpretare determinate situazioni. “La Rivoluzione non sarà trasmessa in TV”, recita un famoso slogan mutuato da una poesia di Gil Scott-Heron. Se dovesse esserlo, noi continuiamo ad immaginarcela sotto forma di diretta dallo stadio.