TENNIS: FOREST HILLS GRAZIATO. PER ORA.

L’assemblea del West Side Tennis Club salva lo storico stadio newyorkese, ma lo spettro demolizione aleggia ancora.

La decisione finale dell’assemblea del West Side Tennis Club sulla demolizione dello storico complesso newyorkese di Forest Hills, dove fino al 1977 venivano disputati gli US Open di tennis, era attesa per il 23 settembre, ma il tornado che il mese scorso aveva colpito il Queens ha costretto il differimento a oggi.

I 246 membri presenti sui 291 del club hanno votato spaccandosi esattamente a metà: 123 voti a favore della demolizione per costruire un grande condominio esclusivo, e 123 contrari. Ma siccome il regolamento interno prevede una maggioranza qualificata dei 2/3 per l’approvazione di questo tipo di decisioni, la proposta di demolizione è stata bocciata; e lo storico e malmesso campo di Forest Hills può continuare, anche se faticosamente, a sopravvivere.

Era stato proprio eccependo gli altissimi costi a perdere per la manutenzione ordinaria, che la proprietà del West Side Tennis Club si era orientata a vendere lo stadio per una cifra di circa 9 milioni di dollari a una società immobiliare, la Cord Meyer Development Company, che avrebbe dovuto riconvertire l’area alla costruzione di palazzi residenziali.

A confermare però che Forest Hills non è ancora definitivamente salvo è stato il presidente dello stesso club newyorkese, Kenneth Parker.

Infatti Parker ha dichiarato oggi al New York Times che in futuro saranno comunque valutate anche nuove proposte. Del resto, la situazione economica dell’associazione è decisamente precaria, soprattutto in considerazione di questi costi di manutenzione del complesso, ormai in disuso e quasi diroccato.

Altri membri del West Side Tennis Club si sono invece mobilitati per reperire i fondi necessari ai restauri, appellandosi anche all’International Tennis Hall of Fame e alla US Tennis Association, e hanno fatto notare che malgrado le pessime condizioni dovute all’incuria, il vecchio complesso non ha ancora perduto il proprio fascino e il proprio valore dal punto di vista storico.

Giuseppe Ottomano

LIVERPOOL FC: NUOVO PADRONE, DEBITI VECCHI

I Reds, sommersi dai debiti, stanno per cambiare proprietario. Ma la situazione resta critica.

Il Liverpool sta per cambiare proprietario, ma dovrebbe continuare a restare in mani statunitensi. Dal duo composto dal settantaduenne magnate dell’imprenditoria sportiva, George Gillett, e dal suo socio, il sessantaquattrenne Tom Hicks, il fondatore della quasi omonima finanziaria Hicks, Muse, Tate & Furst, la gloriosa squadra inglese dovrebbe passare alla NESV, New England Sports Venture, che già controlla la Boston Red Socks, una delle squadre di baseball più titolate d’America.

Il condizionale è ancora indispensabile, e continuerà ad esserlo almeno fino alla fine della prossima settimana, poiché i due attuali proprietari hanno impugnato la decisione di vendita da parte del consiglio di amministrazione in carica, presieduto da Martin Broughton, il prestigioso manager inglese, attualmente anche alla guida di British Airways.

Il Liverpool era stato acquisito dai due soci statunitensi, Gillett e Hicks, nel febbraio 2007, al termine di una trattativa lampo con il passato presidente, David Moores. La loro offerta di 219 milioni di sterline aveva battuto sul filo di lana i concorrenti della DIC, Dubai International Capital, la società finanziaria della famiglia reale degli Emirati Arabi.

Inizialmente la coppia d’affari aveva suscitato qualche timida speranza tra i tifosi dei Reds, soprattutto per la comprovata esperienza di Gillett in materia sportiva. Quest’ultimo aveva trascinato a ottimi risultati la squadra canadese di hockey su ghiaccio dei Montreal Canadians, ed era stato uno dei soci di maggioranza degli Harlem Globetrotters tra gli anni sessanta e settanta. Ma anche Hicks aveva potuto sbandierare un buon curriculum nel settore, vantando partecipazioni nell’altra formazione di hockey dei Dallas Stars e in quella di baseball dei Texas Rangers, dove era anche in società con George W. Bush, allora semplice, si fa per dire, uomo d’affari. Qualche non immotivato timore lo suscitavano invece alcuni precedenti di Gillett, che nel 1992 aveva trascinato il proprio gruppo finanziario alla bancarotta.

Durante la loro amministrazione, i timori avevano avuto ragione delle speranze; e come scritto oggi da Leonardo Maisano sul Sole 24 Ore, il colore rosso del Liverpool era passato dalle maglie ai bilanci, tanto che l’esposizione debitoria era precipitata fino alla cifra spaventosa di 351 milioni di sterline. La spiegazione di un simile passivo era dovuta, oltre che ad una serie di campagne acquisti a dir poco dissennate, alla necessità di dotarsi di un nuovo stadio in sostituzione del glorioso, ma ormai angusto Anfield Road. I finanziamenti per questo nuovo impianto, da costruirsi nell’area di Stanley Park, e i cui lavori avrebbero dovuto iniziare nell’autunno del 2008, erano stati concessi da Royal Bank of Scotland e da Wachovia, la finanziaria della statunitense Wells Fargo Bank, per 280 milioni di sterline.

Quando poi Gilletts e Hicks, incalzati dalle due banche, hanno dovuto prendere atto dell’impossibilità di fare fronte ai debiti, nell’aprile di quest’anno si sono messi a cercare un nuovo compratore, incaricando proprio il manager Martin Broughton, al quale hanno dato mandato pieno per portare a termine l’affare.

Si è così manifestata una serie convulsa di voci di offerte e conseguenti smentite, tra cui la parentesi di un velleitario tentativo di scalata da parte dei tifosi del Liverpool, con l’ambizione di raccogliere centomila soci sostenitori, disponibili a versare una quota di 5mila sterline a testa. Questa iniziativa aveva anche ricevuto l’appoggio del ministero della cultura del governo Brown, tramite il Supporters Direct, un ente britannico di diritto pubblico, nato nel 2000 al fine di incentivare l’azionariato popolare nelle squadre sportive, ma era abortita in capo a pochi giorni.

Dal canto suo, Broughton si è messo immediatamente all’opera, e ha vagliato, per poi cestinare, diverse offerte da altrettanto diversi potenziali acquirenti, provenienti soprattutto da paesi dell’Asia e del Medio Oriente, tra cui Hong-Kong, Siria, India e Kuwait. Ma solo ieri ha annunciato l’offerta decisiva: quella degli statunitensi di NESV, che hanno messo sul piatto 300 milioni di sterline.

Secondo i conteggi di Gillett e Hicks, l’offerta non è all’altezza del valore reale del Liverpool FC, e i due hanno tentato, rintuzzati però da Broughton, di sostituire due membri del consiglio di amministrazione con altrettanti uomini di loro assoluta fiducia: ovvero con uno dei figli di Hicks ed uno dei suoi dipendenti.

Sulla carta la mossa della NESV dovrebbe essere coronata da successo, dal momento che, oltre all’appoggio degli amministratori in carica, gode soprattutto di quello dei due principali creditori: Royal Bank of Scotland e Wachovia.

Per Gillett e Hicks non ci sono invece grandi speranze, anche se hanno impugnato quest’offerta. La sentenza su questo ricorso sarà emanata entro la metà di ottobre, quando anche il credito dei due colossi bancari andrà in scadenza. E se l’acquisto dovesse essere annullato, il Liverpool finirebbe in mano alle banche. Ma in questo caso e facendo i debiti scongiuri, il previdente Broughton ha annunciato che farebbe scendere in campo un ancora sconosciuto piano B. Sempre che non si tratti solo di un bluff.

Giuseppe Ottomano

LA STORIA DELLA RYDER CUP

Ryder CupFu di un commerciante inglese, convertito al Golf in età matura per motivi di salute, l’idea di organizzare un incontro tra la squadra americana e la squadra britannica. Si era nel 1925 e sin dal dopoguerra i golfisti statunitensi avevano iniziato a sbarcare annualmente in Inghilterra in occasione dell’Open Championship e avevano preso l’abitudine, devastante per l’orgoglio inglese, di iniziare a vincere con troppa frequenza il torneo più prestigioso nella culla di questo sport (dal 1921 al 1933 i professionisti di oltreoceano si imposero 12 volte in 13 edizioni).

Tre anni prima era nata la Walker Cup per i migliori dilettanti delle due nazioni e Samuel Ryder,  durante l’Open del 1925, lancia l’idea di una sfida annuale a livello professionistico. Un primo incontro, presto indicato come non riconosciuto, si ha nel 1926 quando a Wentworth la squadra britannica riesce, non si sa come, a superare la pattuglia americana per 13 a 1 con un pareggio nonostante questa schieri campioni del calibro di Walter Hagen, Tommy Armour, Jim Barnes e Fred McLeod (gli ultimi tre non nati negli Stati Uniti). L’esperienza di Wentworth porta a definire che a partire dall’anno successivo la compe-tizione si svolgerà ogni due anni e vi saranno ammessi solo professionisti nati (nei decenni fu sufficiente la cittadinanza) nei due paesi.

Il primo incontro ufficiale con tanto di coppa messa in palio da Samuel Ryder si svolge nel mese di luglio del 1927 al Worcester Country Club in Massachusetts; la squadra britannica arriva al circolo dopo sei giorni di navigazione sull’Aquitania e tre giorni e mezzo di treno. Gli Stati Uniti vincono per 9½ a 2½ e la coppa viene consegnata al capitano a stelle e strisce, Walter Hagen.

Nelle quattro edizioni successive le due squadre si impongono nelle edizioni disputate in casa ma la vittoria britannica del 1933 è l’ultima vittoria prima di un dominio statunitense che dura fino al 1985 con la sola vittoria della Gran Bretagna nel 1957. L’esito scontato delle sfide porta ad una calo di interesse di pubblico e sponsor nella manifestazione dove spesso si arriva all’ultima giornata a risultato già acquisito. L’idea per ridare vigore fu suggerita dal grande Jack Nicklaus: trasformare la squadra britannica in rappresentativa europea inserendo talenti come lo spagnolo Severiano Ballesteros che in carriera vince tre Open e due Masters e il tedesco Bernhard Langer, vincitore del Masters nel 1985 e nel 1993.

Sono proprio Ballesteros e il connazionale Antonio Garrido ad essere i primi golfisti non britannici a fare la loro comparsa nella Ryder Cup nel 1979; nel 1981 si aggiungeranno il tedesco Langer e  José Maria Cañizares mentre cresce Nick Faldo: nel 1983 a Palm Beach una sfida combattuta si decide nell’ultimo incontro e nel 1985, dopo 28 anni, la selezione europea ritorna alla vittoria a The Belfry. Da quel momento le sfide diventano di edizione in edizione più combattute e il bilancio della squadra da quando si fregia dei colori europei è in totale equilibrio con 7 vittorie per parte e un pareggio.

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Massimo Brignolo

NEL PANTANO DEI GIOCHI DEL COMMONWEALTH

Nella bufera l’edizione che si svolgerà in India, tra ritardi, lacune e corruzione.

Basterà la cerimonia d’apertura a mettere la parola fine alle polemiche che stanno tempestando l’India e gli organizzatori dei Giochi del Commonwealth? Difficile a dirsi; anche perché agli espropri delle case per costruire le nuove avveniristiche strutture sportive – fenomeno che ormai caratterizza tutti i mega-event di paesi non occidentali (vedi Pechino 2008, Sud Africa 2010) e possibile anche in una democrazia come l’India grazie a una legge risalente ancora all’Impero britannico – si sono aggiunti ritardi, carenze strutturali e scandali di corruzione.  Anche il piano emergenziale, posto in essere per finire entro i termini, è stato rallentato dalle forti piogge e dalle epidemie di febbre. Il momento più basso è stato poi raggiunto il 21 settembre, quando un ponte, che avrebbe dovuto collegare il villaggio degli atleti allo stadio, è collassato al suolo, ferendo 23 operai, perché costruito in troppa fretta e con materiali scadenti.

L’intera manifestazione a quel punto è stata sul punto di essere cancellata anche perché, per via delle carenze organizzative, gli allarmi di possibili attacchi terroristici si sono intensificati e numerosi atleti hanno dichiarato che i Giochi non sarebbero essere stati assegnati all’India.

Ma anche nei giorni successivi i problemi relativi al villaggio degli atleti sono apparsi alle volte insormontabili. Bagni inagibili, primi piani allagati, scimmie, serpenti e cani randagi hanno costretto le squadre a ritardare il loro arrivo o ad alloggiare momentaneamente negli alberghi di Dehli.

Dovevano essere la presentazione dell’India al mondo, o quantomeno una prova generale in vista della candidatura alle olimpiadi del 2020, ma si stanno tramutando in un pericoloso boomerang. Molti indiani hanno espresso il loro disappunto per la brutta esposizione internazionale del proprio paese, ma a ben guardare altrettanti non sembrano curarsene. In effetti solo due sport britannici sono veramente entrati nel cuore degli indiani: l’hockey su prato e, soprattutto, il cricket, che attira quasi totalmente l’attenzione dei media.

Del resto l’India, Giochi del Commonwealth o meno, deve confrontarsi quotidianamente con le sue contraddizioni derivate dall’essere una potenza regionale dalle concrete aspirazioni globali ma allo stesso tempo di paese povero. Chi invece potrebbe davvero subire una ferita profonda dal fallimento dei Giochi è il Commonwealth stesso. Senza Husain Bolt e la Regina Elisabetta la manifestazione appariva già dimezzata; le seguenti rinunce individuali e le acide polemiche dei quotidiani anglofoni di mezzo mondo potrebbero contribuire a sfiduciare quasi definitivamente un’organizzazione che ha già perso negli anni gran parte del suo peso politico e sta lentamente perdendo anche la sua influenza simbolica e culturale.

Nicola Sbetti

CRICKET: LO SCUDETTO AL PIANORO

La formazione emiliana vince per la quattordicesima volta il campionato italiano di cricket.

Quattordicesimo scudetto, il quinto consecutivo. Il Tecnessenze Pianoro Cricket Club si conferma, se mai ci fossero stati dubbi, la realtà più importante del cricket italiano. Sarebbero bastati quattro punti per laurearsi campioni nello scontro diretto contro il Milan Kingsgrove. Alla fine però la partita si è risolta con il più raro e forse anche più giusto dei risultati; un pareggio, 136 a 136, che premia non solo il valore del Pianoro ma anche la forza dei milanesi, unica compagine a non perdere in entrambi i confronti contro l’imbattuta corazzata emiliana.

All’Oval di Rastignano, sia in caso di vittoria che di sconfitta, era già pronta la festa e tutti i giocatori della rosa (Jayasena, Di Giglio, Poli, Hasan, Hussain, Minghetti, Pezzi, Qureshi, Zuppiroli, Rodrigo, Sivalingaperumal, Mushtaq, Manatunga, Fernando, Shkaik, Tauqeer, Billi e Pacheco), chi per giocare, chi per dare il proprio sostegno fuori dal campo, non sono mancati all’appello.

La partita per i neo campioni d’Italia non era cominciata nel migliore dei modi. La perdita del toss aveva costretto il Pianoro alla battuta e l’abilità dei lanciatori milanesi unita al il terreno umido avevano limitato le corse dei padroni di casa a 136 (Qureshi 26, Sivalingaperumal 34).

Al raggiungimento del 4° punto che valeva la certezza dello scudetto tutto è sembrato più facile, e la tensione è scemata. Sul 136 pari, quando la vittoria di Pirro sembrava ormai nelle mani dei lombardi, un superbo lancio di Poli (che evidentemente già pregustava la torta fatta dalla mamma) ha portato alla presa al volo di Rodrigo ed ha posto fine all’incontro. Si tratta del secondo pareggio nell’intera storia del campionato italiano di cricket.

Al catch di Rodrigo sono cominciati i festeggiamenti. Ai gavettoni è susseguita una gustosa grigliata a base di carne di maiale e vitello (per i mussulmani), vino, birra, acqua, bibite varie, conclusasi con la gigantesca torta fatta dalla madre di Poli.

Nell’incontro fra la 3° e la 4° il Trentino ha superato nettamente il Bologna confermandosi, squadra emergente e giustificando icosì l terzo posto in classifica. Le noti dolenti sono invece arrivate dalla sfida fra le ultime due della classe. La Pgs Lux si è infatti aggiudicata l’incontro per il forfait del Maremma. Purtroppo la squadra di Grosseto ha scelto il modo peggiore possibile per concludere una stagione già di per sé deludente; ed è davvero un peccato perché il quello del 2010, nel complesso, è stato un gran bel campionato. Il nostro auspicio è che nel prossimo futuro sempre più squadre possano accedere alla serie A in modo da avere una competizione con promozioni e retrocessioni. Per il momento infatti la partecipazione alle tre serie sportive (A, B, C) è dettata non da meriti sportivi ma dal numero di italiani e stranieri schierabili in campo.

14° GIORNATA

26 settembre 2010

Campo Parco Resistenza – Trento

Trentino 338 batte Bologna 234

(Trentino 20 pt / Bologna 8 pt.)

Campo Tor Carbone – Roma

Lux 200 batte Maremma 0 per forfait (in attesa decisioni G.U.)

(Lux 20 pt. / Maremma 0pt)

Campo Ovale – Rastignano

Pianoro 136 pareggia con Kingsgrove 136

(Pianoro 12 pt. / Kingsgrove 12)

RIPOSA – Capannelle

CLASSIFICA

G V N P Pti
PIANORO 12 10 2 0 219
KINGSGROVE 12 9 2 1 202
TRENTINO 12 8 1 3 185
BOLOGNA 12 4 1 7 133
CAPANNELLE 12 5 0 7 122
LUX 12 3 0 9 101
MAREMMA 12 0 0 12 35

Nicola Sbetti