IL CALCIO AL TEMPO DI PINOCHET

Un libro racconta il rapporto tra il calcio e la dittatura cilena.

“Quando si tratta di calcio, la gente non perdona” Augusto Pinochet

In Cile, diversamente che in Argentina, Uruguay e Brasile, gli altri paesi sudamericani governati da dittature militari tra gli anni Settanta e Ottanta, il calcio non aveva regalato spettacolari soddisfazioni al regime. Ma nonostante i mediocri risultati sportivi, la giunta guidata da Augusto Pinochet aveva assegnato al calcio, nelle fattezze dell’oppio dei popoli più che mai, un ruolo decisivo nella propria politica di governo.

E soprattutto, nei primi anni Ottanta, quando la crisi finanziaria aveva messo a nudo tutti i limiti dell’effimero e relativo benessere economico, ottenuto con paurosi sacrifici alla fine del decennio precedente, per i generali cileni il calcio aveva assunto il compito di distrarre l’opinione pubblica e la popolazione dalla dura realtà di tutti i giorni. Gli esempi delle gemelle dittature circostanti erano incoraggianti, come per l’Argentina, vincitrice del mondiale del 1978, per l’Uruguay, trionfatore al Mundialito del 1981, e per il Brasile, eterno protagonista, indipendentemente dai risultati.

Pinochet era intervenuto nel calcio a gamba tesa, imponendo i suoi fedelissimi nei posti chiave  della federazione e delle altre strutture direzionali, seguendo, forse senza neanche rendersi bene conto, l’esempio della politica sportiva di mussoliniana memoria. Allo stesso tempo aveva indotto il regime ad un’iperattività senza uguali nell’organizzazione di tornei calcistici, soprattutto quadrangolari, strombazzati in pompa magna dal coro univoco della stampa.

La storia di questo intreccio tra lo sport più seguito al mondo ed una delle dittature più feroci della storia recente, che abbraccia il periodo tra il 1973, anno del golpe militare contro il presidente Salvador Allende, e il ritorno alla democrazia nel 1990, è stata raccontata nel libro “A Discreción – Viaje al corazon del futbol chileno bajo la dictatura militar” (“L’arbitrio – Viaggio al centro del calcio cileno sotto la dittatura militare”).

A Discreción è l’opera prima di due giovanissimi neo giornalisti cileni: il ventiseienne Carlos Gonzáles Lucay e il ventiquattrenne Braian Quezada, che in due anni di lavoro hanno ricostruito gli avvenimenti, in particolare attraverso ventidue interviste a protagonisti dell’industria calcistica dell’epoca, ex militari, giocatori, giornalisti, presidenti di club e sociologi. Il libro, ovviamente in spagnolo, è stato presentato alla fine della scorsa settimana a Santiago del Cile, in contemporanea con l’uscita nelle librerie cilene.

Giuseppe Ottomano

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI “TEAM LOTUS”

La scuderia di Formula 1 tornerà ad avere, dal prossimo anno, il suo nome originale.

Dalla stagione 2011 Lotus Racing potrà chiamarsi finalmente Team Lotus.

A prima vista non sembra cambi granché. Eppure questa novità simboleggia una resurrezione storica e un ritorno ufficiale a un nome quasi leggendario: quello della Team Lotus, la grande protagonista della Formula 1 negli anni sessanta e settanta, che presentava piloti del calibro di Jim Clark, Graham Hill, Jochen Rindt, Emerson Fittipaldi, Ronnie Peterson e Mario Andretti, prima di scomparire dal giro delle corse nel 1994.

L’avventura della Lotus era cominciata nel 1952, quando Colin Chapman, ex pilota della RAF e ingegnere fresco di laurea, l’aveva fondata con il compito di produrre auto sportive da vendere sul mercato. All’approdo alla Formula 1 era arrivata sei anni più tardi, proprio con la creazione della Team Lotus.

Due campioni erano stati subito sistemati alla guida: Graham Hill e Cliff Allison. Ma la prima vittoria ufficiale l’avrebbe regalata Stirling Moss il 29 maggio 1960, con il Gran Premio di Montecarlo.

Da quel momento i trionfi si sarebbero susseguiti in sequenza e in grande stile: con un totale di sei titoli piloti, sette titoli costruttori e 79 gran premi vinti, l’ultimo dei quali a Detroit il 21 giugno 1987 grazie ad Ayrton Senna.

In mezzo a questi trent’anni e più di storia, la Lotus, prima monoposto, nel 1968, a portare la bandiera di uno sponsor, la marca di tabacchi inglese Gold Leaf, negli anni settanta si era fatta distinguere per il suo colore nero oro con la pubblicità della John Player, altra brand di sigarette, nonché parente stretta della precedente.

Ma la morte del suo creatore, il patron Colin Chapman, nei primi anni ottanta, aveva segnato l’inizio di un decennio di crisi, che nel 1994 sarebbe giunto alle estreme conseguenze della bancarotta, decretata dall’ultimo proprietario, l’inglese David Hunt, fratello del campione mondiale dell’annata 1976 di Formula 1, James Hunt.

Per la Lotus era cominciata così una faticosa traversata nel deserto, passando di mano, prima alla General Motors, poi alla Bugatti ed infine alla Proton, l’azienda automobilistica di stato malese, che l’aveva rilevata nel 1997, riuscendo nel miracolo di un insperato rilancio nel settore commerciale. Per il settore delle auto da corsa, invece, è stato buio pesto fino al 2009, quando, ancora su iniziativa malese, con il governo locale a fare da promotore, e il proprietario della compagnia aerea Air Asia, il miliardario Tony Fernandes, a metterci la faccia, è stata fondata la Lotus Racing, già in pista dall’inizio di questa stagione con Jarno Trulli e il finlandese Heikki Kovalainen.

Ma incombeva pur sempre il nodo del marchio Team Lotus, del quale il lungimirante David Hunt aveva mantenuto la proprietà, nonostante lo avesse dovuto lasciare inattivo da ormai quindici anni. Toni Fernandes lo bramava fortemente per la propria nuova scuderia; e dall’inizio di quest’anno ha cominciato una laboriosa trattativa con il legittimo proprietario.

Proprio ieri, durante le prove del Gran Premio di Singapore, ha potuto finalmente emettere il comunicato ufficiale: la Lotus Racing ha acquisito il diritto a utilizzare il marchio storico che fu di Colin Chapman, a partire dal campionato mondiale del 2011.

Toni Fernandes è uno che non risparmia sull’enfasi negli annunci:

“Da oggi inizia un sogno. Il Team Lotus è tornato.” Ha detto a margine del comunicato. E forse non ha torto, visto che ci sono davvero i presupposti per realizzare grandi imprese. Però, dietro a tanto giustificato entusiasmo, si nasconde anche una seccatura piuttosto difficile da districare.

Infatti, gli altri malesi della Lotus Cars, azienda parente di quella che oggi capeggia Fernandes, in joint venture con la Art Grand Prix del figlio di Jean Todt, Nicholas, hanno dato vita a Lotus Art: una nuova scuderia già iscritta per l’anno prossimo alle gare di GP2 e GP3, ma con grandi ambizioni per il futuro. Questo ostacolo inaspettato ha ovviamente mandato Fernandes su tutte le furie. Proprio ora che il marchio originale era stato legittimamente conquistato, un’altra difficile battaglia legale e commerciale sul nome della Lotus potrebbe profilarsi all’orizzonte della Formula 1.

Giuseppe Ottomano

“MIRACLE ON ICE”: VENDESI MEDAGLIA

Miracle on IceDopo la notizia della settimana scorsa sulla messa all’asta della medaglia d’oro al mondiale 1966 di calcio, da parte del sessantottenne ex centrocampista inglese Bobby Stiles, alle prese con le ristrettezze della crisi economica globale di questi anni, un altro trofeo dello sport è stato venduto dal suo legittimo proprietario.

Infatti, una delle venti medaglie d’oro della squadra di hockey su ghiaccio statunitense, vittoriosa alle olimpiadi di Lake Placid 1980, nonché icona della propaganda della guerra fredda e ispiratrice nel 2004 del film “Miracle on Ice”, secondo quanto riferito oggi dal quotidiano del Massachussets, Boston Herald, è già passata nelle mani dei collezionisti di cimeli sportivi.

Si tratta della medaglia appartenuta a Mark Wells, cinquantatreenne ex attaccante di quella nazionale USA composta da soli studenti dei college, che contro ogni pronostico sconfisse l’Unione Sovietica nel memorabile incontro (particolarmente memorabile per gli americani) del 22 febbraio 1980.

Mark Wells, che dopo avere abbandonato nel 1982 la sua breve carriera sportiva, si era dato alla gastronomia, aprendo un ristorante nel Michigan, ha rivelato ai giornalisti di averla venduta qualche anno fa, mentre stava passando un momento particolarmente drammatico della propria vita, e si trovava costretto a letto da una rara malattia genetica alla spina dorsale.

La sua medaglia è attualmente l’unica di quella ventina ad essere finita nella bacheca di un collezionista; e gli altri componenti di quella squadra, intervistati sull’argomento, hanno dichiarato di non avere alcuna intenzione di sbarazzarsi delle loro, nonostante queste siano stimate di un valore pari a più di 100mila euro. Parlando del caso del loro compagno, si sono comunque dimostrati comprensivi, soprattutto ricordando le terribili difficoltà che stava attraversando in quel periodo.

Oggi la malattia di Mark Wells è molto migliorata, tanto che quest’inverno l’ex hockeista ha potuto  prendere parte a una nostalgica partita insieme alle altre vecchie glorie, in occasione del trentesimo anniversario della vittoria di Lake Placid. E in barba al parere contrario del suo medico, è sceso in pista a giocare per un tempo intero, riuscendo a mettere a segno anche un punto.

Giuseppe Ottomano

CRICKET: TUTTO RIMANDATO ALL’ULTIMA GIORNATA

La penultima giornata si è conclusa senza sorprese con le vittoria di Trento, Bologna e Milano. Qualcuno a Pianoro, nonostante il turno di riposo, sperava di festeggiare già domenica ma il campionato italiano di cricket si deciderà solamente alla 14° e ultima giornata con lo scontro diretto fra i campioni d’Italia in carica e il Milan Kingsgrove, ieri corsaro a Roma contro la Pgs Lux. Gli emiliani sono senza dubbio i gran favoriti, anche perché dalla loro giocano il fattore campo, una maggiore abitudine a disputare partite decisive e, soprattutto, 17 punti di vantaggio in classifica che potrebbero consentire a Jayasena e compagni di ricucirsi lo scudetto sul petto anche in caso di sconfitta con bonus.

Davanti al proprio pubblico il Capannelle Cricket Club si è congedato dal campionato (domenica riposa) con una netta sconfitta (di 113 runs) contro il Trentino, terza forza del campionato. Debacle tutto sommato indolore dato che il club romano aveva deciso di girare l’ordine di battuta, di facendo lanciare diversi giocatori e soprattutto di lasciare spazio ai giovani e a chi ha giocato meno. In campo infatti si contavano ben sei under 18 e nove giocatori prodotti del vivaio under 23. I trentini, chiamati per primi a battere, se la sono cavata discretamente con 140 runs, grazie al fondamentale contributo di Nasrullah (28 runs) e Manoj (30). Fondamentale nel limitare le corse dei battitori trentini, il contributo del giovanissimo Niccolò Barca (nazionale Under 17); 5 wicket e solamente 25 punti concessi in 10 overs. Da segnalare anche la prova del giovane wicket keeper capitolino Edoardo Scanu.

In battuta tuttavia è emersa la scarsa esperienza dei padroni di casa. Intimoriti dalla gran prestazione del lanciatore trentino Fida Hussein (5 wicket) e limitati dall’eliminazione alla prima palla del battitore chiave Suresh Kekul, i romani hanno concluso mestamente la loro corsa con sole 27 runs.

A Grosseto in una giornata ventosa caratterizzata dall’alternanza fra sole e una leggera pioggia, contro un Bologna che ritorna dalla Toscana con il bottino pieno, il Maremma Cricket Club non è riuscito a invertire lo sfortunato trend di risultati negativi e infortuni. Grazie a questa vittoria il Bologna certifica la sua crescita, dopo un inizio di campionato non all’altezza, con il controsorpasso al 4° posto ai danni del Capannelle, mentre ai Grossetani non resta che una partita (in trasferta contro la Lux) per cercare di ottenere la prima vittoria stagionale. Un risultato difficile da pronosticare soprattutto perché la sfortuna continua a perseguitare i maremmani. Ieri erano ben sei i titolari assenti per infortunio, ma durante l’incontro si sono aggiunti lo strappo muscolare di Magi, rimasto comunque stoicamente in campo, e il forfait di Kasun, che si è tagliato alla mano nel tentativo di effettuare un’eliminazione al volo, costringendo i biancorossi a giocare in dieci. Da segnalare, per i maremmani la prestazione dei lanciatori Chandana (22 punti concessi in 6 over e un wicket) e Sanka (4 wicket) e il bel gesto di fair play dei battitori bolognesi che durante i lanci dell’emozionato Umberto Camurati (13 anni) sono andati a battere palle non giocabili senza cercare punti. Da notare come curiosamente ieri c’erano ben due Camurati in campo: Marco (padre) e Umberto (figlio).

Sul campo principale della giornata, quello di Tor Carbone, la penultima (Pgs Lux) ospitava i secondi della classe (Milan Kingsgrove), alla disperata ricerca dei venti punti fondamentali per restare in corsa per lo scudetto. La squadra lombarda è riuscita nel suo intento nonostante un grande inizio dei battitori romani, Edoardo Gallo, Steve Mc Phail e Gabriele Passaretti. All’inizio, vuoi per un pitch non in perfette condizioni, vuoi per la tensione di dover centrare il risultato pieno, i lanciatori milanesi hanno faticato parecchio a trovare una discreta continuità, ma, una volta interrotta la partnership iniziale che aveva ormai superato quota 100 runs, i wicket sono cominciati a cadere con una certa velocità grazie soprattutto ad Alì Amjad (4 wicket). Al contrario dei battitori, i lanciatori della Pgs Lux non hanno minimamente messo in difficoltà i battitori lombardi. Trascinati da Alì Amjad, Roshendra Abeywickrama e dai “sei” di Kularathna Weerasinghe Milano ha vinto la partita per ben 7 wicket.

La classifica è ormai immutabile eccezion fatta per i primi due posti che verranno definiti domenica dopo lo scontro diretto. Il Pianoro in settimana ha giocato due partite con il Cricketers’ Club of New South Wales, in tour in Italia con una squadra di vecchie glorie per aiutare la diffusione di questo sport. Dopo aver dato spazio ai giovani e alle seconde linee contro gli australiani. Domenica prossima all’Oval di Rastignano si tornerà a fare sul serio; il Milano affronterà la trasferta a mente libera non avendo nulla da perdere mentre la pressione sarà tutta sulle spalle dei “campionissimi” del presidente Arcidio Parisi, alla ricerca di una cinquina dal sapore storico.

13° GIORNATA 19 settembre

Campo Capannelle – Roma
Trentino 140 batte Capannelle 27
(Capannelle 4 pt. / Trentino 18 pt.)

Campo Falsetti – Grosseto
Bologna 384 batte Maremma 111
(Maremma 5 pt. / Bologna 20 pt.)

Campo Tor Carbone – Roma
Lux 176 perde da Kingsgrove 179/3
(Lux 4 pt. / Kingsgrove 20 pt.)

RIPOSA – Pianoro

CLASSIFICA

G N V P Pti
Pianoro 11 1 10 0 207
Kingsgrove 11 1 9 1 190
Trentino 11 1 7 3 165
Bologna 11 1 4 6 125
Capannelle 12 0 5 7 122
Lux 11 0 2 9 81
Maremma 11 0 0 11 35

Nicola Sbetti

Si ringraziano per la collaborazione: Leandro Jayarajah, Roshendra Abewickrama e Arcidio Parisi.

LA STRAGE DELL’HEYSEL VISTA DA KENNY DALGLISH NELLA SECONDA AUTOBIOGRAFIA

Quattordici anni dopo la pubblicazione del primo libro autobiografico dell’ex campione scozzese Kenny Dalglish, domani uscirà nelle librerie britanniche il secondo, e probabilmente neanche ultimo: “My Liverpool Home – Then and Now”.

Già dal titolo si intende inequivocabilmente che l’oggi cinquantanovenne ex attaccante degli anni settanta e ottanta ha dettagliatamente relazionato, in 352 pagine, il proprio rapporto con la squadra dei Reds, nella quale ha militato ininterrottamente dal 1977 al 1990, conquistando la bellezza di otto campionati, più tre Coppe dei Campioni.

In quell’epoca il Liverpool balzò agli onori delle cronache per le strepitose vittorie e per i fuoriclasse del calibro di Graeme Souness, Phil Neal, Ronnie Whelan, Ian Rush, il portiere Bruce Grobbelaar, oltre ovviamente allo stesso Dalglish. A far balzare la squadra ai disonori delle cronache ci pensarono invece i suoi tifosi, i famigerati hooligans della curva Kop, colpevoli di avere innescato la strage dell’Heysel nel 1985, e a loro volta vittime quattro anni dopo nell’altra strage dello stadio Hillsborough di Sheffield.

E proprio sulla tragedia dell’Heysel, secondo gli stralci riportati in anteprima dalla stampa d’oltremanica, Kenny Dalglish ha raccontato la propria esperienza diretta, ricordando che la mattina successiva un folto gruppo di tifosi juventini, addolorati ed inferociti allo stesso tempo, erano arrivati sotto l’albergo dove alloggiava la squadra inglese. E, salendo sul pullman, Dalglish li aveva osservati, rimanendo impressionato dal grande dolore che si celava sotto la loro rabbia.

Ho visto i tifosi italiani piangere, mentre, a mani nude, colpivano il nostro pullman; e percepivo la crudezza delle loro emozioni “.

Poi, ha aggiunto, ricordando una delle tante massime del grande allenatore del Liverpool degli anni sessanta e settanta, Bill Shankly: “Il calcio non è una questione di vita o di morte. È una cosa molto più importante”.

Non ho mai smesso di stimare Shankly. Ha osservato Dalglish. “Ma questa volta aveva sbagliato. Il calcio non può essere mai una cosa più importante”.

Giuseppe Ottomano