EUROPEI AGRODOLCI PER L’ITALIA DEL CRICKET

CricketGli Europei di prima divisione di Jersey (piccola isola alle dipendenze della corona britannica situata nel canale della Manica) hanno chiarito che, sebbene l’Italia sia ancora un gradino inferiore alle britanniche o all’Olanda (nazione leader del cricket nell’Europa continentale), il movimento azzurro è in crescita ed è in grado di ottenere importanti exploit. Il sedici luglio infatti gli azzurri hanno imposto una clamorosa sconfitta agli scozzesi, fino ad allora imbattuti. Fondamentali in quell’occasione sono state le prestazioni maiuscole di Andrew Northcote (Woolpit AUS) e di Damian Fernando (Latina Lanka). Certo Irlanda, Scozia e Olanda si presentavano con la squadra A ma anche gli azzurri, per problemi legati ai permessi di lavoro, non erano certo al completo. I campionati europei infatti fungono soprattutto da preparazione alla più prestigiosa World Cricket League (La Division IV di WCL si disputerà proprio in Italia a Bologna dal 14 al 21 agosto).

Nonostante l’ultimo posto, a pari punti con la Danimarca, fra i primi quindici MVP della manifestazione figurano ben tre azzurri: Gayashan Munasinghe, Hemantha Jayasena e Andrew Northcote.

I convocati di coach Joe Scuderi e del GM Luca Bruno: Hemantha Jayasena, Alauddin, Dilan Fernando, Gayashan Munasinghe, Luis di Giglio, Paul Girardi, Leandro Jayarajah, Thushara Kurukulasuriya, Damian Fernando, Andrew Northcote, Hayden Patrizi, Joy Perera, Luca Poli, Michele Morettini, Michael Raso.

EUROPEAN CHAMPIONSHIP WLC DIVISION 1, JERSEY 2010

G V P Pti
Jersey 5 5 0 10
Irlanda A 5 4 1 8
Scozia A 5 2 3 4
Olanda A 5 2 3 4
Danimarca 5 1 4 2
Italia 5 1 4 2

Irlanda A batte Italia di 7 wickets. (Farmers, 13 luglio.)
Olanda A batte Italia per 3 wickets (metodo DL). (Grainville, 14 luglio.)
Italia batte Scozia A per 7 runs (metodo DL). (Farmers, 16 luglio.)
Danimarca batte Italia per 3 wickets. (Les Quennevais, 17 luglio.)
Jersey batte Italia per 116 runs. (FB Fields, 19 luglio.)

Dopo l’exploit dell’under 15 lo scorso anno anche l’under 17 dimostra che la seconda divisione dell’European Championship le sta stretta. Gli azzurrini hanno vinto tutti e quattro gli incontri nel loro girone superando Francia, Belgio, Grecia e Gibilterra arrendendosi solamente in finale contro i padroni di casa dell’Isola di Man. Un nome su tutti da tenere d’occhio fra le tante promesse azzurre che si sono messe in luce: Roshendra Abeywickrama.

EUROPEAN UNDER 17 CHAMPIONSHIP SECOND DIVISION, ISLE OF MAN 2010

G V P Pti
Italia 4 4 0 8
Francia 4 3 1 6
Belgio 4 2 2 4
Grecia 4 1 3 2
Gibilterra 4 0 4 0

Italia batte Belgio per 138 runs. (King William’s College, 24 luglio.)
Italia batte Francia per 60 runs. (King William’s College, 25 luglio.)
Italia batte Gibilterra per 94 runs.(Cronkbourne, 26 luglio.)
Italia batte Grecia per 9 wickets.(St John’s, 28 luglio.)
Finale 1°/2° posto Isola di Man batte Italia per 5 wickets.(King William’s College, 29 luglio)

Nicola Sbetti

IERI & OGGI: IL TOUR DI MARCO PANTANI

Marco PantaniSiamo nel 1998 e Marco Pantani, dopo essere ritornato l’anno precedente alle corse dopo il terribile incidente della Milano-Torino del 1995, conquista il Giro d’Italia precedendo in classifica generale di 1’33” Tonkov e di 6’51” Giuseppe Guerini.

Il Pirata va all’assalto del Tour de France per una doppietta storica nonostante il percorso della Grande Boucle con 110 chilometri a cronometro favorisca più i suoi avversari passisti che uno scalatore puro come lui. E infatti la partenza è ad handicap: Nei 58 km a cronometro della settima tappa che arriva a Correze, Pantani perde 4’21” dal vincitore Jan Ullrich, il grande favorito dopo la vittoria dell’anno precedente. Ha perso 4 secondi e mezzo al chilometro e nella penultima giornata lo attendono altri 52 km contro l’orologio, altri 4′ di potenziale vantaggio per il tedesco. La sfida sembra persa ancora prima di essere incominciata.

La prima svolta si ha sui Pirenei nell’undicesima tappa da Luchon all’arrivo in salita di Plateau de Beille;  a pochi chilometri dall’inizio dell’ultima salita Ullrich fora e le cronache raccontano che un Pantani voglioso di dare battaglia attende il tedesco che mette alla frusta i suoi uomini per rientrare nel gruppo. Un chilometro e mezzo dopo il ricongiungimento, quando mancano 13 km alla vetta, il Pirata senza bandana parte e lo rivedranno solo all’arrivo. In vetta il romagnolo vince con un vantaggio di 1’26” su Meier, 1’33” su Julich, Boogerd, Piepoli e Rinero e 1’40” su Ullrich. In classifica generale la maglia gialla è ancora saldamente sulle spalle del tedesco che mantiene un vantaggio di 1’11” sullo statunitense Julich e 3’01” su Pantani.

Con questa situazione di classifica il Tour arriva sulle Alpi; la quindicesima tappa è la classica Grenoble – Les Deux Alpers con La Croix de Fer, il Télégraphe, il Galibier prima dell’ascesa finale a Les Deux Alpes. La giornata è da tregenda con una continua pioggia e nebbia sulle vette. Pantani attacca a 5.5km dalla sommità del Galibier e la sua progressione è incredibile: guadagna mezzo minuto al chilometro. Scollina con 2’40” di vantaggio su Ian Ullrich che in discesa dapprima recupera per poi ritrovarsi a 3’25” dal Pirata a 10 km dall’arrivo di Les Deux Alpes. A 8 km dall’arrivo l’italiano ha 4’25” sul tedesco, a 5 km 5’50”, all’arrivo saranno 8’57” a separare Pantani da Ullrich che viene scavalcato in classifica generale anche da Julich e dallo spagnolo Escartin. In classifica generale il Pirata a 3’53” di vantaggio su Julich, 4’14” su Escartin e 5’56” su Ullrich che il giorno successivo tenta il tutto per tutto nella tappa di Albertville ma non riesce a staccare Pantani.

Sabato 1 agosto arriva la cronometro da Montceau les Mines a Le Creusot: il vantaggio di 5’56” consentirebbe a Pantani di perdere 7″ al chilometro e mantenere la maglia gialla. Le cronometro di fine giro fanno storia a sè; le motivazioni e le energie rimaste contano più che la predisposizione. Ullrich vince la tappa in 1h03’52, lo statunitense Julich (che scende al terzo posto in classifica generale) per 1’01” e uno straordinario Pantani chiude la cronometro al terzo posto perdendo solo 2’35” dal tedesco.

Il 2 agosto 1998 è il giorno dell’apoteosi: Marco Pantani con pizzetto ossigenato in onore alla maglia gialla sfila per le strade di Parigi. E’ il primo italiano a vincere la Grande Boucle, 33 anni dopo Felice Gimondi, e a vincere nella stessa stagione Giro e Tour dopo Fausto Coppi, una accoppiata riuscita solo ai grandissimi del ciclismo.

Massimo Brignolo

IERI & OGGI: L’INCIDENTE DI NIKI LAUDA AL NÜRBURGRING

Trentaquattro anni fa, l’incidente di Niki Lauda al Nurburgring: un rogo tremendo dove il pilota austriaco si salva solo grazie all’intervento di Arturo Merzario.

Niki LaudaAndreas Nikolas “Niki” Lauda arriva in Ferrari all’inizio della stagione 1974 dopo un paio di anni di apprendistato, non decisamente fortunati, alla BRM: era la Ferrari la cui squadra corse era stata riformata intorno alla figura di un giovanissimo Luca di Monzemolo dopo un inizio deludente del decennio.

Nel 1974, Niki, alle prese con una macchina non ancora inaffidabile, vince due Gran Premi (Spagna e Olanda) ma nonostante sei pole position non riesce ad andare oltre il quarto posto nella classifica finale. Diversa è la musica nel 1975 con la nuova 312T: la stagione parte male ma nei cinque Gran Premi tra Monaco e il GP di Francia, l’austriaco ottiene 4 vittorie – una quinta arriverà in chiusura di campionato a Watkins Glen – e conquista con una gara di anticipo, di fronte al pubblico amico di Monza, il titolo mondiale riportando una Ferrari al vertice dopo la vittoria di John Surtees, 11 anni prima.

La Ferrari è decisamente superiore alle avversarie: Lauda vince quattro delle prime sei gare e conquista il secondo posto nelle altre due, una delle quali vinta dal suo compagno Regazzoni. Si arriva a fine luglio con 9 GP disputati su 16 e l’austriaco ha praticamente doppiato in classifica i suoi avversari: 61 punti per Lauda, 30 punti per Schekter, futuro ferrarista che guida una Tyrrell, e 26 punti per James Hunt e la sua McLaren.

Nelle settimane che precedono il Gran Premio di Germania sulla pista del Nürburgring, circuito di altri tempi lungo quasi 23 km con ampi tratti in mezzo alla foresta, Lauda cerca di boicottare il GP per ragioni di sicurezza (i soccorsi nel tratto centrale della pista possono arrivare solo in una decina di minuti) ma non riesce a raccogliere il consenso dei suoi colleghi. In prova James Hunt ottiene la pole position davanti a Lauda, mentre in seconda fila ci sono Depailler e Stuck.

Piove la mattina della gara, il 1 agosto 1976: alla partenza è il ferrarista Regazzoni che prende la testa superando sia Hunt che Lauda. Hunt è secondo, terzo il bravo Mass, quarto Laffite che approfitta del fatto che la March di Stuck viene esclusa dalla griglia a causa di un problema alla frizione (sebbene il tedesco parta poi effettivamente ma dall’ultima fila).  Nel primo giro Regazzoni si gira e scende al quarto posto. Al termine del primo giro, il tempo si mette definitivamente al bello e tutti vanno ai box per metter gomme slick.

Durante il terzo giro lo schianto: al chilometro 11, esattamente alla metà del percorso dove i soccorsi sono lontani, la Ferrari affronta una curva a sinistra. Le poche immagini a disposizione fanno intuire che l’austriaco tocchi il cordolo con la ruota posteriore inizando una sbandata. La Ferrari parte in testacoda, sfonda le reti e sbatte la fiancata contro una roccia rimbalzando verso il centro della carreggiata dove prende fuoco.  Arriva Guy Edwards che riesce ad evitare la Ferrari mentre Brett Lunger la centra in pieno e il fuoco aumenta di intensità. Ewards, Lunger e il sopraggiunto Ertl cercano di soccorrere Lauda, Arturo Merzario, quello che Lauda definirà “l’uomo senza il quale io non sarei qui”, si getta nelle fiamme e estrare l’austriaco dall’abitacolo.

Le condizioni di Lauda appaiono disperate: ustioni di terzo grado al volto e alla testa ma soprattutto i polmoni danneggiati dai vapori di benzina inalati per interi minuti. Lauda arriva all’ospedale di Adenau in coma e gli viene impartita l’estrema unzione. Lentamente le sue condizioni migliorano e dopo alcuni giorni l’austriaco viene dichiarato fuori pericolo anche se il suo volto porterà per sempre i segni del terribile rogo. Trentasette giorni dopo l’incidente, un recupero che ha del miracoloso, si ripresenta alla partenza del GP d’Italia dove chiude, con i bendaggi sanguinanti per lo sforzo, al quarto posto.

Ma a ventisette anni, quello che era il ragioniere del volante, aveva scoperto anche la paura: nel decisivo GP del Giappone si ritira dopo due giri di pioggia torrenziale e James Hunt può conquistare il Mondiale. Si rifarà nel 1977 conquistando il titolo nella sua ultima stagione alla Ferrari.

Massimo Brignolo

IERI & OGGI: MENNEA E’ CAMPIONE OLIMPICO

Pietro MenneaNascono sotto una cattiva stella le Olimpiadi del 1980 assegnate alla capitale sovietica Mosca: nel giorno della vigilia di Natale del 1979, l’armata sovietica aveva invaso l’Afghanistan con 50.000 soldati e 2.000 carri armati provocando una serie di ritorsioni da parte del blocco occidentale che arrivarono fino al blocco delle vendite del grano da parte degli Stati Uniti e al boicottaggio dei giochi olimpici. Nei paesi appartenenti alla NATO la decisione in merito alle Olimpiadi è particolarmente sofferta: Stati Uniti, Germania Ovest, Canada e Giappone decidono di non inviare atleti mentre in Italia si apre il dibattito. Il governo invita ufficialmente il CONI ad aderire al boicottaggio, il CONI decide di partecipare in ogni caso e si arriva al pasticcio all’italiana di una squadra dove gli atleti appartenenti ai corpi militari non ricevono il permesso di partecipare e la delegazione azzurra non viene autorizzata ad utilizzare la bandiera tricolore.

Il clima è di incertezza fino alle ultime ore prima della cerimonia di apertura e sicuramente non giova agli atleti. Tra questi vi è un Pietro Mennea ormai in piena maturità sportiva: il ventottenne barlettano è alla sua terza Olimpiade dopo la medaglia di Bronzo conquistata nei 200 metri a Monaco nel 1972 e il quarto posto di Montreal nel 1976. Alle Universiadi di Città del Messico dell’anno precedente ha stabilito il primato mondiale in 19″72 superando il record che Tommie Smith aveva stabilito sempre in Messico nel 1968.

Mennea è una corda di violino e l’incertezza preolimpica lo frena nei 100 metri dove non raggiunge la finale che sarà vinta dallo scozzese Alan Wells ma si riprende nei turni preliminari dei 200 metri. Passeggia in batteria imponendosi in 21″26, nei quarti di finale si impegna lo stretto necessario per vincere ancora in 20″60, un tempo di solo un centesimo di secondo superiore a quello fatto segnare da Wells nella batteria precedente.

Nelle semifinali, poche ore prima dell’attesa finale, i due si risparmiano: Wells si qualifica con in quarto posto in 20″76, il barlettano vince la sua batteria in 20″70 davanti al giamaicano Donald Quarrie. E si arriva alla sera del 28 luglio mentre la tensione cresce..

Poco dopo le otto di sera del 28 Luglio 1980, con una temperatura di 23°, l’umidità del 56%, il vento zero, mi presentai alla finale dei 200 metri I miei rivali erano i cubani Silvio Leonard e Osvaldo Lara, i polacchi Woronin e Dunecki, il tedesco orientale Hoff, il giamaicano Quarrie e il britannico Wells. A me toccò l’ottava corsia cioè l’ultima, a Wells la settima…”

Pietro Mennea, L’Oro di Mosca

Allo sparo, Wells parte per annullare al più presto il decalage mentre Mennea, come d’abitudine, parte più accorto per poi distendersi nella seconda parte di gara. All’ingresso nel rettilineo i giochi sembrano fatti con lo scozzese  in vantaggio di 2-3 metri che sembra distendersi meglio fino ai 50 metri e poi… “.recupera .recupera .recupera .recupera .recupera ha vinto! ha vinto! ha vinto! Pietro Mennea ha compiuto un’impresa straordinaria”. E’ la voce del compianto Paolo Rosi che segna per sempre il momento.

Mennea è incontenibile: parte dito al cielo e compie un giro, inseguito dagli addetti al protocollo e alla sicurezza.


Massimo Brignolo

IERI & OGGI: JURY CHECHI DIVENTA IL SIGNORE DEGLI ANELLI

Alle Olimpiadi di Atlanta, Jury Chechi corona il suo inseguimento e conquista la medaglia d’Oro agli Anelli, primo italiano a conquistare un’Oro nella Ginnastica dopo Franco Menichelli (Tokyo 1964).

Jury ChechiHa un conto aperto con la dea bendata, Jury Chechi quando, la sera del 28 luglio 1996 , sale sulla pedana degli Anelli per eseguire il suo esercizio nella finale agli Anelli. Nato a Prato l’11 ottobre 1969, Jury (in memoria di Jury Gagarin) inizia a praticare la Ginnastica Artistica a 7 anni. Nel 1984 a soli 15 anni entra nel giro della nazionale juniores e lascia la famiglia per trasferirsi a Varese dove la sua vita adolescente diventa la faticosa routine dei ginnasti in erba: studio e sei ore di allenamento al giorno. Non ancora diciannovenne partecipa a Seul alle sue prime Olimpiadi dove conquista la finale agli Anelli con un sesto posto e la finale del Concorso generale dove chiude al diciassettesimo posto. L’anno successivo a Stoccarda conquista la medaglia di Bronzo ai Campionati Mondiali, sempre agli Anelli, e nel 1990, a Losanna, arriva il primo titolo europeo al quale si accompagna la medaglia di Bronzo nel Concorso Generale. Si deve accontentare del Bronzo ai Mondiali del 1991 che si disputano ad Indianapolis e nel 1992 inizia il percorso di avvicinamento a quelle che devono essere le “sue” Olimpiadi conseguendo il secondo titolo europeo consecutivo (saranno quattro). Il 7 luglio 1992, a tre settimane dalle gare di Barcellona, in una banalissima routine di allenamento Jury si procura una gravissima lesione: “rottura sottocutanea del tendine d’ achille del piede destro” dice il bollettino medico, per un ginnasta è simile ad un verdetto definitivo.

Iniziano nove mesi di sofferenza: due mesi e mezzo di gesso, due e mezzo di fisioterapia, quattro di lento recupero. Dolore, tanto dolore, e la consapevolezza di non essere più competitivi negli attrezzi che richiedono esplosività nelle caviglie. Jury soffre e lavora duro e il 17 aprile 1993 conquista il suo primo totale mondiale (ne vincerà cinque consecutivi) a Birmingham: era dal 1964 che la Ginnastica italiana non arrivava così in alto, dall’Oro di Franco Menichelli a Tokyo.

Le vittorie a Mondiali ed Europei diventano festosa routine e si arriva alle Olimpiadi del Centenario, al Georgia Dome di Atlanta: al ragazzo di Prato, diventato uomo, manca solo la consacrazione olimpica. Negli esercizi per la gara a squadre che determinano gli 8 finalisti agli attrezzi, sbaraglia la concorrenza. Si qualifica per la finale con il miglior punteggio, 9.675 e 9.837, precedendo il bulgaro Jovtchev e il tedesco Wecker.

Quando la sera del 28 luglio, Jury sale sulla pedana del Georgia Dome, sa che l’asticella è posta a 9.812 punti, il risultato del rumeno Burincă e dell’ungherese Csollány. Ma lasciamo il racconto a Vittorio Zucconi, inviato di Repubblica:

Nella prima verticale le gambe sembrano tremare un poco, i piedi giunti in alto paiono pencolare un filino verso il canapo di destra, quanto basta a separare un oro da un quinto posto, in una disciplina di torturatori e di suppliziati come la ginnastica. Ecco, adesso cede, adesso molla. E’ finito il sogno per il rosso di Prato, per questo giovane di 27 anni che i giornali assetati di frasi fatte hanno già ribattezzato il “signore degli anelli”, che persino la televisione americana, indifferente ormai a qualunque atleta che non sia di apparente sesso femminile e nata nei 50 Stati Uniti, ha ammirato con qualche stupore.

Nessun “italian boy” può reggere a questi sforzi, alla disciplina infernale di un ginnasta, alla sofferenza di perdere un’Olimpiade (Barcellona) per un tallone d’Achille saltato per tornare al fronte 4 anni dopo. Noi siamo l’armata sagapò, il popolo degli spaghettari cialtroni e intonati, i buffoni del calcio che si fanno eliminare dal Ghana, non le creature fatte di filo di ferro che vincono le medaglie ginniche. Ma i fotogrammi del videoregistratore non mentono. Jury esce dalla prima verticale, volteggia, lancia la seconda, perfetta, poi si allunga nella posizione detta “a rondine” , le braccia raccolte sul torso, le gambe puntate all’indietro parallele al suolo, che avrebbe fatto piangere di invidia Torquemada.

Vittorio Zucconi, Repubblica 3o luglio 1976

“Vola vola, Jury Chechi, vola, vola verso il podio” è l’urlo liberatorio del telecronista quando Jury chiude l’esercizio con una uscita perfetta: 9.887, Chechi è il Signore degli Anelli.

Massimo Brignolo