L’Italia si arrende alla Serbia (7-8) nella finalissima di World League, dopo essere stata sempre in partita.
dai nostri inviati
FIRENZE Peccato, peccato davvero. Proprio sul più bello, proprio in finale, l’Italia si lascia sfuggire la World League. Soprattutto, vede sfumare la possibilità di qualificarsi direttamente per i Giochi Olimpici di Londra del prossimo anno. Sarebbe, tuttavia, più corretto dire che ha vinto la Serbia (8-7 il finale in favore degli uomini di Dejan Udovičić, vincitori del torneo per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta negli ultimi cinque anni) e non che ha perso l’Italia. Perché il Settebello ha lottato ad armi pari, non si è dato per spacciato ed ha tenuto l’esito in bilico fino all’ultimo secondo, quando il tiro della disperazione di Gallo si è infranto contro il muro serbo.
Massimo equilibrio. Dimenticatevi il confronto diretto di mercoledì scorso, quello che aveva visto l’Italia arrendersi solamente ai rigori ai maestri serbi: in quel caso si lottava per il primo posto nel girone A, stasera c’era in palio un biglietto per Londra 2012. E si intuisce fin da subito come i serbi siano risoluti nel voler rifilare ad altri la patata bollente dei vari tornei di qualificazione: difesa serrata – l’Italia fallisce subito due superiorità numeriche – e attacco tremendamente cinico, con Udovičić beffa Tempesti su uomo in più e Duško Pijetlović – sembrava destinato alla squalifica, dopo l’espulsione per gioco violento rimediata in semifinale – si gira tra tre difensori realizzando da centroboa di razza. L’Italia, però, non accusa il colpo: raccoglie i cocci e, piano piano, costruisce pazientemente la rimonta. Che si concretizza prima con il grande gol di Aicardi dal centro e poi con la micidiale controfuga concretizzata da Giorgetti – sarà poi eletto, giustamente, miglior giocatore del torneo – con una conclusione che sibila tra le braccia di Soro.
Cuore azzurro. Ad onor di cronaca, in questa finale con vista su Londra manca, al Settebello, la lucidità in superiorità numerica (nessun gol, in due tempi, in quattro situazioni di uomo in più). Non mancano, invece, coraggio, determinazione, audacia. E il senso di squadra: tutti si danno una mano, tutti sono pronti a recitare una parte inedita pur di contribuire al bene comune. Si spiegano così le intrusioni di Giacoppo, un difensore, a centroboa. O gli interventi puliti di Gallo e Presciutti in marcatura su Nikić e Pijetlović, tra gli ospiti più ingrati che potessero bussare alla porta del Settebello. O i gol, realizzati dalla linea dei cinque metri, da Aicardi, uno che solitamente giostra con le spalle rivolte alla porta avversaria. Penalizzata sul piano fisico al cospetto dei marcantoni balcanici, la squadra di Sandro Campagna compensa con la rapidità dei suoi nuotatori: non è un caso che Fiorentini e Figlioli vincano due scatti a testa, non è un caso che le uniche ripartenze della partita arrivino proprio su iniziativa degli azzurri.
Scatto decisivo. Si gioca sul filo del rasoio per tre tempi buoni: la Serbia parte subito sullo 0-2, viene raggiunta in prossimità del suono della prima sirena, passa ancora, nuovo pareggio italiano e, infine, sorpasso in un paio di circostanze (4-3 e 5-4). L’equilibrio è il vero vincitore di questo incontro: Tempesti e Soro, indubbiamente i migliori al mondo nel loro ruolo, strappano applausi con interventi al limite del prodigioso, le rispettive difese assolvono al loro compito tenendo molto basso il dato delle superiorità numeriche. Quando un incontro non riesce a prendere una piega, finisce che la squadra più forte fa valere la propria superiorità. E così fa la Serbia nell’ultimo parziale, quello decisivo: Filipović, inserito dalla stampa presente a Firenze nella squadra ideale del torneo, infila Tempesti sul palo più lontano con una palombella per il 6-5 e, a meno di tre minuti dal termine, con un sinistro violento che, di fatto, deciderà l’incontro. Il tutto in colpevole, da parte degli azzurri, solitudine. L’Italia attacca e tiene sulle corde i serbi fino all’ultimo secondo. Fino a quando Gallo si ritrova sulla mano il pallone del possibile 8-8, che non si concretizza. Finisce con la Serbia che festeggia e che raggiunge Londra prima di tutti. Ma, se in futuro proseguirà su questi binari, per il Settebello la strada non è poi tanto lontana.
In evoluzione. “Siamo come le figurine dei Pokemon che regalo a mio figlio: lui mi dice che ne vuole sempre una nuova, perché i personaggi cambiano, si evolvono. E noi siamo come loro”. Trova la forza di sorridere, Sandro Campagna, nonostante la delusione per il successo mancato di un soffio. “Fino a 2-3 anni fa Serbia e Croazia erano avversari inarrivabili, ora ce la stiamo giocando alla pari con loro”. Vero: nella finale degli Europei di Zagabria la resistenza degli azzurri durò due soli tempi, stasera il Settebello per poco non prolungava la sfida ai rigori. E pensare che, due anni fa, ai Mondiali in casa chiudevamo con un brutto undicesimo posto. “Quando arrivi a perdere, in una finale, per un solo gol di scarto contro i campioni del mondo in carica, il cui zoccolo duro viene dalla squadra vincitrice dell’Eurolega, significa che la squadra c’è e che siamo alla pari. Solo giocando a questi livelli, a questi ritmi arriverà la giusta esperienza per fare ancora meglio. Abbiamo riportato entusiasmo attorno al Settebello: l’Italia deve essere consapevole di avere una bella nazionale. Godiamocela e lavoriamo sodo per i Mondiali”. Coraggio, azzurri.
Domenica 26 giugno 2011
ITALIA-SERBIA 7-8 (2-2, 1-1, 2-2, 2-3)
Piscina Paolo Costoli, Firenze
ITALIA: Tempesti, Luongo, Gitto, Figlioli 1, Pérez, Felugo, Giacoppo, Gallo 1, Presciutti, Fiorentini, Aicardi 3, Deserti, Giorgetti 2. All. Campagna.
SERBIA: Soro, Ćuk 1, Gocić, Vanja Udovičić 1, Vapenski, Duško Pijetlović 2, Nikić, Aleksić 1, Rađen, Filipović 3, Prlainović, Mitrović, Gojko Pijetlović. All. Dejan Udovičić.
ARBITRI: Margeta (SLO) e Moliner (ESP).
NOTE: superiorità numeriche Italia 1/9, Serbia 4/11. Espulsi definitivamente Gocić a 2’18” tt e Rađen a 5’21” qt per somma di falli. Spettatori 2200 circa. In tribuna il presidente della FIN Paolo Barelli e il sindaco di Firenze Matteo Renzi.
Damiano Benzoni
Simone Pierotti