UN AZZURRO … DI QUALITA’

Quali sono le soluzioni tattiche a disposizione di Cesare Prandelli e della sua Nazionale per piedi buoni?

Cesare PrandelliPartiamo da un presupposto: mercoledì sera non ho potuto guardare la partita, avendo altri impegni. Né, nei giorni successivi, ho avuto modo di recuperarla altrove. Il tempo è tiranno! Ovviamente sto parlando del confronto tra Germania ed Italia, con cui la simpatica Federcalcio tedesca pare volesse prendersi una piccola rivincita dopo l’eliminazione nella famosa semifinale Mondiale del 2006. Detto ciò, quindi, non mi soffermerò certo sul match in sé, ma credo che un focus generale sul futuro della nostra nazionale sia d’uopo.

L’idea mi è venuta nell’ascoltare la conferenza pre-partita di Prandelli, che nel rispondere alle varie domande dei giornalisti – in particolare a quelle relative alla prima convocazione dell’oriundo Motta – ha parlato delle sue idee relative alla qualità del gioco che dovrà esprimere la sua squadra.
Qualità che dovrà in special modo essere fornita dal centrocampo, che, nell’idea del mister di Orzinuovi, dovrà essere imperniato su giocatori più capaci di trattare il pallone che non dai polmoni d’acciaio (ma dalle scarse abilità tecniche).

Le uniche vie percorribili, tatticamente parlando, vanno tutte in una sola direzione: squadra stretta, scambi rapidi e penetrazioni centrali. Perché il nostro Commissario Tecnico è stato chiaro, ma del resto non serviva nemmeno il suo intervento in questo senso: il campionato italiano oggi non esprime esterni nostrani di qualità ed è quindi impensabile che la nostra nazionale, per tornare ad alto livello nel breve periodo, possa impostarsi proprio in quest’ottica. Per intenderci, quindi, questa è un po’ una bocciatura a tutti quei moduli, come il 4-4-2 classico per dirne uno, che fanno del gioco e delle sovrapposizioni sulle fasce il proprio punto di forza. Non avendo esterni di valore assoluto, infatti, bisogna trovare delle alternative valide.

Settimana scorsa parlai di come Didier Deschamps si trovi ad un bivio, con il suo OM: l’ex tecnico juventino dovrebbe infatti decidere, per provare a ravvivare le sorti della sua squadra, se continuare con l’uso dell’attuale 4-3-3 o passare ad un 4-3-1-2 diversamente bilanciato. Allo stesso modo oggi Prandelli credo si trovi di fronte ad un bivio molto simile: 4-3-2-1 (leggibile anche come 4-3-3, del resto) o 4-3-1-2? La mancanza di esterni puri consiglia infatti di schierare un centrocampo a tre a supporto di un attacco variamente composto. E qui i discorsi si intrecciano.

Ma prima di parlare di centrocampo ed attacco in senso stretto facciamo una piccola digressione parlando di atteggiamento generale di una squadra. Perché da quando seguo la nazionale (1994, questione puramente anagrafica) raramente ho visto gli Azzurri scendere in campo per imporre il proprio gioco come solitamente fanno Spagna e Brasile, per restare in tema di nazionali, o il super Barcellona di Guardiola, per venire ad un club. Solitamente, infatti, le fortune della nostra rappresentativa maggiore si sono costruite più sull’attendismo, su di una impostazione tattica molto prudente ed atta alla ripartenza, che sull’imposizione del proprio gioco. Il tutto però è stato spesso possibile anche grazie alla presenza di veri e proprio Campioni là davanti, in grado di dare qualità alla manovra o finalizzare con estrema efficacia. Campioni che oggi sembrano scarseggiare abbastanza: i vari Gilardino, Cassano, Pazzini e compagni non sono infatti minimamente all’altezza dei Baggio, Vieri, Del Piero e Totti del passato. In una situazione del genere, quindi, si deve andare a maggior ragione alla ricerca di un gioco di squadra che sia quanto più qualitativo possibile nella sua globalità, proprio per colmare la mancanza di veri e propri trascinatori capaci di nascondere le falle del collettivo nel suo intero. Detto ciò, quindi, in cosa consiste il dilemma che si dovrebbe porre Prandelli?

Il discorso concernente il centrocampo varia relativamente rispetto alla scelta tattica in sé. Perché qualsiasi sia l’intenzione rispetto all’attacco da schierare (due mezze punte ed una punta, una mezza punta dietro ad una seconda punta di fantasia e movimento ed un puntero o un trequartista alle spalle di due punte pure) è abbastanza palese come in mezzo al campo dovranno essere schierati tre giocatori che formino una cerniera capace di cucire il gioco quanto di fare da frangiflutti davanti alla difesa. In questo senso quindi Prandelli dovrà decidere, di volta in volta, se sarà meglio schierare un regista puro centrale (alla Pirlo, per intenderci), con al fianco due mezze ali più o meno dedite alla fase offensiva o difensiva, a seconda della necessità. Oppure se piazzarci un mediano ben strutturato fisicamente (come lo stesso Motta, appunto) ma comunque dai piedi sensibili con due mezze ali ai propri fianchi che, anche qui, possano completare il reparto a seconda delle evenienze. Ciò che è certo è che se davvero Prandelli vorrà dare più qualità al gioco di questa squadra dovrà affidarsi a giocatori tecnicamente capaci. Gattuso, anche ai livelli del 2006, farebbe quindi probabilmente fatica a trovare spazio. Le alternative certo non mancano. Il problema vero è capire se questi giocatori sapranno finalmente raggiungere uno status di giocatori di livello mondiale, cosa che si addice a chi si disimpegna da titolare in una squadra quattro volte campionessa iridata. I vari Pirlo, Motta, Montolivo, De Rossi, Marchisio, Aquilani e compagnia compongono comunque un reparto sulla carta sicuramente interessante e più che discreto tecnicamente. Base interessante da cui partire in un’ottica come quella lasciata intendere dal tecnico di Orzinuovi.

I dubbi maggiori sono quindi legati a chi dovrà giocare dalla cintola in su.
Volendo, infatti, il nostro Commissario Tecnico potrebbe ad esempio decidere di schierare una sola punta di ruolo supportata da due giocatori di fantasia che andrebbero etichettati come seconde punte, rendendo quindi quello Azzurro una sorta di attacco a tre a tutti gli effetti, che potrebbero però anche essere letto come una sorta di albero di Natale con due giocatori in appoggio dell’unica punta. Oppure, come dicevo in precedenza, potrebbe decidere di schierare un centrocampista con doti e propensione da trequartista (come il succitato Aquilani stesso, che potrebbe tranquillamente giocare in quel ruolo) dietro a due attaccanti, per un modulo sulla carta più equilibrato. Anche in attacco, comunque, le alternative non mancano. Il problema principale è che manca, come detto, il Campione vero, in grado di cambiare il match a proprio piacimento. Nel contempo, però, con a disposizione Pazzini, Cassano, Matri, Gilardino, Borriello, Rossi, Balotelli e compagnia le alternative non mancano, e non sono nemmeno di così scarso valore.

I presupposti per fare bene ci sono di certo. Vincere è sempre difficile, ma ben figurare è sicuramente possibile.

PARIGI E ROLAND GARROS: LA STORIA CONTINUA

Dopo un anno di incertezza, la Federazione tennistica francese ha deciso: la sede del Roland Garros sarà Parigi anche dopo il 2016.

Roland Garros 1928Il Roland Garros dovrebbe restare a Parigi. Tra le sue mura si può respirare la storia del tennis. È importantissimo; e se ci si dovesse trasferire, anche in una struttura più grande, perderemmo tutti una parte della nostra anima” (Rafael Nadal)

Dei quattro complessi del Grande Slam, il Roland Garros è da molto tempo il più piccolo. Dopo che tra gli anni settanta e ottanta gli Open degli Stati Uniti e di Australia sono stati trasferiti in strutture più periferiche e decisamente più imponenti, e dopo i più recenti ampliamenti del complesso di Wimbledon, da più parti si era chiesto un adeguamento anche per il Roland Garros.

Effettivamente, con i suoi 8,5 ettari di superficie, il complesso parigino appariva quasi lillipuziano, se confrontato con i 14 ettari di Flushing Meadows e i 19 di Wimbledon e del Melbourne Park. I campi francesi dalla terra rossa richiedevano una ristrutturazione; e per questo, già nel 2008 il comune di Parigi, in quanto proprietario dell’area, aveva lanciato una gara per il progetto di ampliamento, ottemperando alla richiesta della Federtennis francese, alla disperata ricerca della grandeur perduta.

Ma all’inizio del 2010, la federazione prese la decisione di vagliare altre ipotesi, preoccupata dai tentennamenti del sindaco di Parigi, il socialista Bertrand Delanoë, stretto tra la pressione degli alleati ecologisti e quella dei comitati dei residenti del quartiere adiacente di Porte d’Auteuil, contrari alla imminente cementificazione, e soprattutto alla distruzione di una serra storica alla fine dei lavori.

Era stato quindi deciso di opporre tre ipotesi alternative a Parigi: Versailles, Gonesse, e la sede di Eurodisney, Marne la Vallée. Tutte erano meno suggestive dal punto di vista della memoria sportiva, ma presentavano progetti d’avanguardia architettonica, tali da farle diventare potenzialmente i complessi tennistici più grandi al mondo.

Dopo che alcuni grandi tennisti del momento, tra i quali Roger Federer e Rafael Nadal si erano schierati con decisione per il mantenimento del Roland Garros nella sede attuale, ieri la Federtennis francese ha riunito i suoi 195 membri per prendere una decisione definitiva. E con una maggioranza superiore ai 2/3, come richiesto dal regolamento, ha scelto di far prevalere la storia e la tradizione di Parigi su tutte le altre concorrenti.

E la storia del complesso del Roland Garros risale al 1927, quando venne decisa la costruzione di un moderno impianto tennistico, come degna cornice per la finale di Coppa Davis tra gli USA e la Francia, rappresentata a quell’epoca da un quartetto, soprannominato I quattro moschettieri: Jacques Brugnon, Jean Borotra, Henri Cochet e René Lacoste. Il nuovo stadio avrebbe preso il posto dello Stade Francais, a condizione che venisse intitolato ad uno dei membri del suo sport club; e per questo gli venne dato il nome di Roland Garros, un aviatore precursore di Charles Lindberg, detto anche “L’uomo che bacia le nuvole”, e morto sul campo poco prima della fine della Grande Guerra, anche se appassionato più al rugby che al tennis. Lo stadio, che durante l’occupazione nazista fu tristemente utilizzato come campo di concentramento per detenuti politici ed ebrei, venne ampliato più volte, ed affiancato tra il 1980 e il 1994 da due nuovi di capienza inferiore.

La delibera della federazione ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla maggior parte degli appassionati di tennis francesi, compreso il sindaco Delanoë, terrorizzato dall’idea di perdere anche gli internazionali di Francia, dopo la sconfitta per la sede delle olimpiadi 2012 a favore di Londra. Le polemiche però non sono mancate ugualmente, e i verdi e il comitato di quartiere di Porte d’Auteuil hanno preannunciato una battaglia legale contro i lavori di ampliamento del complesso, che porteranno la superficie a 13,5 ettari, compreso un nuovo stadio da 5.000 posti, proprio la dove sorge la vecchia serra.

Questi lavori graveranno sul bilancio parigino per un budget di circa 250 milioni di euro, da ribaltarsi comunque interamente alla Federtennis, per terminare nel 2016, quando sarà inaugurato il nuovo Roland Garros in versione allargata, con una capacità di 55.000 spettatori complessivi, al posto dei 35.000 attuali, e con una copertura rimovibile elettronicamente, sul modello di quella già in uso al campo centrale di Wimbledon.

IL MONDIALE DI GLORIA DI PATRICK STAUDACHER

La vittoria dell’azzurro Christof Innerhofer nel supergigante mondiale di Garmisch ha riportato alla memoria degli appassionati di sci alpino il trionfo iridato di Patrick Staudacher, avvenuto sulle nevi svedesi di Aare quattro anni fa esattamente nella stessa disciplina: oltretutto, questo oro datato 2007 era anche l’ultimo conquistato da un atleta italiano nella rassegna iridata, prima del gran giorno di Innerhofer.

Questi due ragazzi, al pari di Peter Fill e Werner Heel, costituiscono il “nucleo storico” delle squadre italiane per le discipline veloci, al quale si sta affiancando a suon di ottimi risultati un bel gruppo di giovani promettenti, come Dominik Paris, Siegmar Klotz e Matteo Marsaglia. Accumunati dal successo mondiale, Innerhofer e Staudacher hanno vissuto però due storie diverse: se infatti Christof era comunque dato tra i favoriti per il supergigante di martedì scorso, la vittoria di Patrick ad Aare fu una sorpresa assoluta per moltissime persone, e per questo motivo vale la pena di riviverla e di sapere qualcosa di più su questo ragazzo.

Patrick Staudacher nasce il 29 aprile 1980 a Vipiteno, figlio di Hermann e Waltraud Gogl, entrambi gestori, nella migliore tradizione altoatesina, di un’incantevole malga: la famiglia vive nel comune di Brennero, più precisamente in località Colle Isarco, nel cuore della stretta e spettacolare Val di Fleres. Proprio in questa valle, nel comprensorio di Ladurns, Patrick mette gli sci ai piedi sin dalla tenera età, incoraggiato dai genitori. Inizialmente il ragazzo si concentra sulle discipline tecniche, tanto da vincere un buon numero di gare nazionali juniores in slalom e gigante: tuttavia, una lesione subita al ginocchio lo costringe a dirottarsi sulle prove veloci, nelle quali è sostenuto anche da un fisico possente (190 cm x 94 kg) che è una caratteristica importante per ogni buon discesista. Ma lo sci non è tutto per “Staudi”, come verrà ribattezzato dai tifosi: completa comunque il ciclo di studi con la scuola superiore dello sport a Malles Venosta, segue e pratica con passione molti altri sport, in particolare il ciclismo, e si dedica con gli amici di sempre al gruppo musicale Stanton, simbolo dell’allegria alpina. Il suo destino comunque è sulla neve, e il suo idolo è il norvegese Lasse Kjus, tanto da chiamare il suo cane Lasse proprio in onore del campione nordico: nonostante qualche infortunio di troppo, nel dicembre 2000 arriva la chiamata per la Coppa del Mondo, col debutto nella discesa libera di Val d’Isere. Sebbene abbia poca esperienza nel massimo circuito, i tecnici italiani, convinti delle sue doti, lo inseriscono nella squadra partecipante ai Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City 2002: 18° in supergigante, Staudacher dà un primo assaggio del suo talento al grande pubblico durante la combinata, col terzo tempo di discesa e un settimo posto complessivo che lascia una buona soddisfazione. Stagione dopo stagione, arrivano i primi buoni risultati anche in gare di Coppa del Mondo, visto che, soprattutto nelle prove veloci, l’esperienza e la conoscenza delle piste sono quanto mai fondamentali per ambire a risultati di un certo livello. Ma Staudi riesce ad esprimere le sue doti solamente a sprazzi, perché, oltre ai soliti problemi alle ginocchia cristalline, è condizionato da un cheratocono all’occhio destro che gli impedisce di vedere perfettamente, e per il quale, per lunghi anni, non riesce a trovare un rimedio definitivo, fino alla coraggiosa decisione del trapianto di cornea avvenuto all’ospedale Maggiore di Bologna nella primavera 2005. Da lì, per questo forte ragazzo di Colle Isarco, iniziano le gioie agonistiche: i suoi piazzamenti in Coppa del Mondo diventano gradualmente regolari, sempre a ridosso nei primi dieci con qualche puntatina tra i migliori; spicca il quinto posto nella discesa di Bormio (dicembre 2006) che gli vale il pass per il Campionato del Mondo di Aare. Tuttavia Patrick a quei mondiali rischia di non andarci, visto che una decina di giorni prima della rassegna iridata cade in allenamento al Passo San Pellegrino con qualche danno al già martoriato ginocchio sinistro: medici, fisioterapisti e chiropratici della nazionale lo rimettono in sesto a tempo di record, così, il 6 febbraio 2007, Staudacher si presenta al via del supergigante mondiale col pettorale numero 12. Le condizioni meteo sono state molto variabili nei giorni antecedenti la gara, costringendo gli organizzatori a rinviarla ripetutamente, e l’atleta, su consiglio del suo skiman Thomas Tuti, adotta degli sci morbidi sui quali bisogna essere assolutamente perfetti per ottenere la massima efficacia. Molti conoscono il suo talento, ma quasi nessuno si aspetta l’impresa. In quel minuto e 14 secondi di gara Patrick è perfetto: porta dopo porta, disegna una traiettoria inimitabile, e la morbidezza con cui affronta le curve è da manuale dello sci. Chiude davanti, nettamente primo, con i migliori che devono ancora scendere, ma a casa i suoi familiari fiutano già l’odore della storia. Scendono i più grandi, ma nessuno riesce ad avvicinare Staudi: il più vicino è l’esperto e vincente Fritz Strobl che chiude secondo a 32/100, con l’elvetico Kernen terzo a 62/100. L’impresa è fatta: dieci anni dopo i fasti di quella squadra d’oro composta da Tomba, dalla Compagnoni e dalla Kostner, cinquantasette anni dopo il trionfo mondiale della leggenda Zeno Colò, ultimo azzurro a vincere nelle prove veloci, Patrick Staudacher è campione del mondo. A Colle Isarco si scatena la festa, con la baita di famiglia inondata da amici, conoscenti e giornalisti: tutto il paese dà il giusto tributo a questo grande e sorprendente campione. Patrick, ragazzo di montagna, non si monta la testa: continua a lavorare con la consueta umiltà, e ad ottenere risultati brillanti in Coppa del Mondo anche nelle stagioni successive, come il podio nella discesa di Val Gardena nello scorso inverno. Certo, forse Patrick non ha più sentito quelle sensazioni di gloria di quel giorno di febbraio ad Aare che lo avevano portato, la sera prima, a mimare davanti allo specchio i festeggiamenti del podio, quasi fosse certo che nulla gli avrebbe potuto togliere un clamoroso successo: ma “campione del mondo” è un’etichetta che resta per tutta la vita, indipendentemente dai risultati, dalla sfortuna o dalle altre circostanze che hanno impedito di ripetere quei fasti.

WORLD CRICKET LEAGUE…E ADESSO?

In sei mesi l’Italia del cricket ha ottenuto dei risultati straordinari e superiori a ogni aspettativa. Nell’agosto del 2010 il nostro paese è stato uno dei primi a organizzare un torneo internazionale fuori dall’area del Commonwealth. I quattro campi costruiti o risistemati nella provincia di Bologna costituiranno nei prossimi anni un’ottima eredità per future competizioni di qualsiasi livello. Ai successi organizzativi si sono aggiunti quelli sportivi. L’allenatore Joe Scuderi e il direttore generale Luca Bruno sono riusciti a costruire un gruppo particolarmente competitivo trovando la giusta alchimia fra giocatori provenienti dal nostro campionato, italiani all’estero e i ragazzi che dopo essere cresciuti a livello giovanile sono oggi maturi per la nazionale. Nel torneo casalingo di Bologna, nell’agosto del 2010, l’Italia ha centrato un’inattesa promozione ai danni del più quotato Nepal, mentre nel gennaio del 2011 a Hong Kong gli azzurri sono riusciti a difendere l’acquisita promozione.

La World Cricket League è un torneo dalla formula complessa. Vi partecipano quasi tutti i paesi al mondo dotati di una nazionale di cricket con l’eccezione delle dieci nazioni più forti al mondo, già qualificate di diritto ai quadriennali Mondiali di Cricket. Benché il dichiarato obiettivo della World Cricket League sia quello di sviluppare in tutto il mondo il gioco del cricket, dal punto di vista sportivo il suo fine ultimo è quello di assegnare quattro posti per partecipare ai Mondiali. Nella scorsa edizione, quella che si disputò dal 2007 al 2009 Irlanda, Canada, Olanda e Kenya sono riusciti ad ottenere il pass per i Mondiali che dal 18 febbraio a 2 marzo si disputeranno in India, Sri Lanka e Bangladesh. La corsa ai Mondiali del 2015 è invece ancora apertissima e si concluderà solo nel lontano 2013. L’Italia è virtualmente ancora in corsa ma né nel 2011 né nel 2012 dovrà disputare altri tornei.

La terza divisione infatti sarà la penultima competizione della World Cricket League e si disputerà, con data e luogo da destinarsi, nei primi mesi del 2013. Se l’Italia si piazzasse ai primi due posti, potrebbe accedere al ICC World Cup Qualifier, un torneo in cui 12 squadre si contenderanno i quatto posti per il Mondiale che si disputerà nel 2015 in Australia  e Nuova Zelanda.

Sognare non costa nulla anche se un simile risultato sembra davvero fuori portata per il movimento del cricket italiano che, per quanto cresca annualmente a ritmi vertiginosi, è sostanzialmente privo di una visibilità mediatica necessaria ad attrarre quelle sponsorizzazioni necessarie per potenziare l’intero movimento. In attesa di riprendere la World Cricket League nel 2013 la nazionale italiana, autentica trascinatrice dell’intero movimento, potrà concentrarsi quest’estate sulle sfide europee dove andrà riconfermata e difesa la propria posizione nei confronti della Danimarca.

BIANCO, ROSSO E RECESSIONE

Dopo gli uomini, anche l’Olympiakos di pallanuoto femminile viene duramente colpito dalla crisi. Eppure la squadra continua a vincere.

Non c’è proprio pace dalle parti del Pireo. E non solo per gli scioperi che, negli ultimi mesi, hanno visto coinvolti i lavoratori portuali. Per la sezione di pallanuoto dell’Olympiakos sembra proprio questo l’annus horribilis: dopo la crisi che colpisce la squadra maschile, adesso, è la volta di quella femminile, altro vanto della polisportiva greca.

Sulla falsa riga di quanto fatto da Nikos Deligiannis e compagni, anche la squadra allenata da Theokratis Pavlides ha denunciato la situazione di stallo scrivendo una lettera aperta. In particolare, dal testo emerge che da cinque mesi le giocatrici non percepiscono il loro stipendio – non superiore, peraltro, ai 700 euro mensili. E non tutte possono permettersi simili chiari di luna: ci sono due straniere, l’americana Craig e l’olandese van Belkum. Soprattutto, c’è una larga schiera di ragazze proveniente dalle zone rurali del paese e che, dunque, deve mantenersi in qualche modo ad Atene tra affitto e bollette, alla stregua di studenti universitari.

Nonostante questo, l’Oympiakos viaggia a vele spiegate (anzi, nell’ultimo turno ha rifilato un sonoro 22-0 alla malcapitata formazione del Rethimno): in campionato è primo in classifica, imbattuto dopo aver pareggiato nello scontro al vertice con le campionesse nazionali – ed europee – del Vouliagmeni; in Coppa dei Campioni le biancorosse hanno superato agevolmente lo scoglio del turno preliminare battendo sia l’Olympic Nizza, sia le temute russe dello Šturm Čehov. Anche le ragazze, al pari della squadra maschile, stanno dunque dimostrando grande professionalità, dando il massimo in ogni partita a dispetto del mancato pagamento delle mensilità.

Eppure, nel buio generale, inizia a filtrare un fascio di luce. Due giorni fa, al ristorante “Mare Marina” di Flisvos Marina, una delle tante spiagge ateniesi, è stata organizzata una serata per raccogliere fondi che, in qualche modo, rimborsassero parzialmente alle pallanotiste il denaro pattuito: ampia la partecipazione di pubblico, tra tifosi sconosciuti ed illustri, vedi Vassilis Mihaloliakos, sindaco del Pireo che dieci anni fa rimase ferito in un attentato dinamitardo, l’ex giocatore di basket Giorgios Sigalas, il velista Emilios Papathanasiou ed il popolare dj Nikos Vourliotis detto “NiVo”. A fine serata l’incasso è stato di 500 euro: poca cosa, ma almeno si smuovono le acque.

Acque, invece, procellose nella squadra maschile: dopo aver ottenuto la centesima vittoria consecutiva nella regular season della Alpha 1 Ethniki, battendo il Larissa, e dopo aver chiuso battendo il Barceloneta la disastrosa campagna d’Eurolega, i giocatori hanno detto basta. La loro pazienza ha raggiunto un limite. E così, nell’ultimo incontro di campionato, è scesa in acqua una squadra di soli ragazzini – appena 18 anni l’età del più “vecchio” – che ha perso 16-3 contro il Vouliagmeni: è la prima sconfitta in campionato dopo una striscia di 126 risultati utili consecutivi (l’ultimo ko risaliva al 26 febbraio 2005). E, con i veterani restii a tornare indietro sui propri passi, pare proprio che l’Olympiakos sarà costretto ad abdicare, per questa stagione. Per la serie: la caduta degli dei.