TOUR: SYLVAIN CHAVANEL, BRAVO E FORTUNATO

Un’altra tappa funestata dalla cadute e arriva la protesta del gruppo che “ferma” la corsa. Chavanel in fuga davanti alla caduta prende la maglia gialla

Sylvain ChavanelLe Ardenne sono le protagoniste delle seconda tappa in linea del Tour de France: 201 km tra Bruxelles e Spa, con sei côtes da affrontare nella parte finale di corsa, l’ultima a 12 km dal traguardo. Il cielo è coperto, la pioggia scende a tratti lungo il percorso, rendendo lo scenario troppo simile a quello delle tradizionali Classiche del Nord. Adam Hansen (HTC-Columbia), giunto stoicamente sul traguardo di Bruxelles malgrado una lesione alla clavicola, non ce la fa a risalire in sella, e dunque il gruppo perde un’altra unità. Al decimo chilometro di corsa parte la fuga di giornata: il primo a rompere gli indugi è Sylvain Chavanel (Quick Step), seguito dal compagno di squadra Jérôme Pineau, dal valtellinese Francesco Gavazzi (Lampre-Farnese Vini), dal ventiseienne Sébastien Turgot (Bbox Bouygues Telecom), dal giovane estone Rein Taaramäe (Cofidis), dal tedesco Marcus Burghardt (BMC) e dai due atleti della Omega Pharma-Lotto Matthew Lloyd e Jürgen Roelandts. Tutti e otto sono buoni passisti: Pineau, Burghardt e Gavazzi sono dotati anche di un brillante spunto veloce, mentre Lloyd (già maglia verde al Giro d’Italia) e Taaramäe hanno un’ottima resistenza sulle salite. Il vantaggio oscilla costantemente tra i 3 ed i 5 minuti, con la Cérvelo di Hushovd e Sastre che si sobbarca l’onere dell’inseguimento.

Ai 35 km, nel cuore dei “mangia e bevi” della parte finale del percorso, Chavanel e Roelandts allungano: tuttavia, il plotone principale è distante meno di un minuto. Ai -31 si vive però un momento drammatico ma al tempo stesso decisivo per la corsa: Francesco Gavazzi, staccato dai primi due, cade rovinosamente in una discesa, anche a causa dell’asfalto viscido; una motocicletta di ripresa lo schiva davvero per pochissimi centimetri. L’immagine successiva è un groviglio di biciclette in mezzo al gruppone: a terra Andy Schleck (Cérvelo) che sanguina dal braccio, la maglia verde Alessandro Petacchi (Lampre-Farnese Vini), i suoi compagni Adriano Malori e Damiano Cunego con molti altri atleti; forse, la bici di Gavazzi era rimasta in mezzo alla strada, o forse era caduta anche la motocicletta della televisione francese, causando la caduta che spezza il plotone. La maglia gialla Fabian Cancellara decide, dopo un rapido consulto col direttore sportivo e con gli altri corridori, di “fermare” la corsa, perlomeno quella del gruppo principale, che di fatto rinuncia all’inseguimento di Chavanel, nel frattempo rimasto solo al comando. E’ una forma di protesta clamorosa, dettata probabilmente dai troppi rischi che i corridori hanno affrontato in queste prime due tappe: Sylvain Chavanel, già vincitore della tappa di Montluçon al Tour 2008 e di una trentina di corse complessivamente, taglia il traguardo in solitaria, cosa che non sarebbe potuta avvenire senza la decisione presa da Cancellara. Il gruppo principale, nel quale erano rientrati anche tutti gli uomini di classifica rimasti attardati a causa della caduta (mentre Cunego, Petacchi ed altri non riescono nell’intento), si presenta all’arrivo a velocità di crociera e senza alcuna volata, a quasi quattro minuti dal vincitore. Dunque, Chavanel, trentunenne del Poitou-Charentes, può indossare la prima maglia gialla della sua carriera, mentre giornalisti e giudici di gara dovranno fare luce su quanto avvenuto in gruppo dopo la caduta di Gavazzi.
Domani 213 km tra Wanze e Arenberg-Porte du Hainaut: la tappa, mossa in avvio, sarà caratterizzata nel finale da diversi settori in pavé che, soprattutto in caso di avverse condizioni meteorologiche, potrebbero mettere in difficoltà davvero tanti corridori.

Lunedì 5 luglio 2010
Tour de France, terza tappa
Bruxelles – Spa (201 km)

ORDINE D’ARRIVO:

Ciclista Squadra Tempo
1. Sylvain CHAVANEL Quick Step 4h40’48”
(media 43,30 km/h)
2. Maxime BOUET Ag2r-La Mondiale
a 3’56”
3. Fabian WEGMANN Team Milram stesso tempo
4. Robbie McEWEN Team Katjuša stesso tempo
5. Christian KNEES
Team Milram stesso tempo
27. Mauro DA DALTO
Team Milram stesso tempo

CLASSIFICA GENERALE:

Ciclista Squadra Tempo
1. Sylvain CHAVANEL
Quick Step 10h01’25”
2. Fabian CANCELLARA
Saxo Bank a 2’57”
3. Tony MARTIN
HTC Columbia a 3’07”
24. Daniel OSS
Liquigas Doimo a 3’40”

MAGLIA VERDE (punti):

Ciclista Squadra Punti
1. Sylvain CHAVANEL
Quick Step 44
2. Alessandro PETACCHI
Lampre-Farnese Vini 35
3. Jürgen ROELANDTS Omega Pharma-Lotto 34

MAGLIA A POIS (montagna):

Ciclista Squadra Punti
1. Jérôme PINEAU Quick Step 13
2. Sylvain CHAVANEL
Quick Step 8
3. Rein TAARAMÄE Cofidis 8

MAGLIA BIANCA (giovani):

Ciclista Squadra Tempo
1. Tony MARTIN HTC-Columbia 10h04’32”
2. Geraint THOMAS Team Sky a 13″
3. Edvald BOASSON HAGEN Team Sky a 22″

Marco Regazzoni

MOLMENTI VINCE LA COPPA DEL MONDO DI CANOA SLALOM

Daniele Molmenti conquista, con il quinto posto di Augsburg, per la prima volta in carriera la Coppa del Mondo di Canoa Slalom.

Il podio della Coppa del Mondo
canoephotography.com

Campione d’Europa nel 2009 con la Coppa del Mondo sfuggita per un gioco di scarti, Daniele Molmenti continua la sua ascesa nella Canoa Slalom: la prima parte di questa stagione l’ha visto assoluto protagonista con le vittorie nei Campionati Oceanici e nelle prime due prove di Coppa del Mondo a Praga e a La Seu d’Urgell e il quinto posto di ieri nell’ultima prova di Augsburg che gli è valso la conquista, per la prima volta in carriera, della Coppa del Mondo della specialità.

Ad Augsburg, Molmenti è riuscito ad entrare in finale come decimo nonostante ben due penalità. Mike Kurt (svizzero, secondo in classifica generale) e Vavra Hradilek (ceco, terzo in classifica generale) non sono riusciti a raggiungerlo in una gara dominata dalla squadra tedesca, quarto lo sloveno Peter Kauzer e quindi Daniele che con una solida manche e qualche errore non è riuscito a prendere un’ultima medaglia e si è accontentato del quinto piazzamento.

Classifica Finale Coppa del Mondo Canoa Slalom 2010

Penrith Prague La Seu De Urgell Augsburg Totale
1 ITA MOLMENTI D. 60 60 60 43 223
2 SUI KURT M. 28 50 55 29 162
3 CZE HRADILEK V. 55 43 29 11 138
4 SLO KAUZER P. 42 50 44 136
5 FRA BOURLIAUD P 50 40 38 128

Massimo Brignolo

NEL FESTIVAL DELLE CADUTE TRIONFA PETACCHI

Dopo 7 anni, Alessandro Petacchi ritorna alla vittoria al Tour de France in una volata dove le cadute frenano molti dei protagonisti e degli uomini di classifica.

Alessandro PetacchiDopo il cronoprologo di Rotterdam, il Tour de France inizia a puntare verso la Francia: lo fa con una tappa di 222 km che unisce Amsterdam a Bruxelles, due tra i simboli dell’Europa settentrionale. Nella capitale belga non si arrivava dal 1992: allora vinse un ventiquattrenne Laurent Jalabert allo sprint su un mai domo Claudio Chiappucci. Il gruppo, in partenza dall’Olanda, perde subito due uomini: il portoghese Manuel Cardoso (Footon-Servetto) e lo svizzero Mathias Frank (BMC) non hanno smaltito le conseguenze della caduta di ieri, e non sono in grado di ripartire. Già dopo pochi chilometri parte la fuga che caratterizzerà tutta la tappa, come da tradizione nelle prime frazioni di ogni Tour de France. I coraggiosi sono Maarten Wijnants (Quick Step), longilineo corridore belga; Alan Pérez Lezaun (Euskaltel-Euskadi), ventisettenne navarro mai vincente in carriera; e Lars Boom (Rabobank), il più noto dei tre, già campione del mondo di ciclocross, campione nazionale olandese su strada nel 2008 e capace di aggiudicarsi una tappa alla Vuelta 2009. Il gruppo lascia fare, anche perché, attorno al chilometro 60, viene rallentato da un incidente, quando un cane taglia il plotone nelle prime posizioni facendo finire a terra un drappello di atleti, tra cui il varesino Ivan Basso (Liquigas) che rimedia un’escoriazione al ginocchio. Come vedremo, non sarà l’unica caduta di giornata: tra gli atleti che riscontrano le peggiori conseguenze, l’australiano Adam Hansen (HTC-Columbia), capace comunque di terminare stoicamente la tappa. Davanti c’è accordo, ma il vantaggio, inizialmente schizzato oltre i 7’, viene gradualmente ridotto, grazie alle tirate delle squadre dei velocisti e anche della Saxo Bank di Fabian Cancellara, interessato a tenere la maglia gialla il più a lungo possibile.

Ai meno 25 dal traguardo resiste in testa solo Wijnants, affiancato dal campione nazionale moldavo Alexandr Pliuschin (Team Katusha), che si impegna come un forsennato: ma quando dietro ci sono interi team che vogliono chiudere il gap, c’è poco da fare. A otto chilometri dal traguardo si esaurisce definitivamente la fuga, che ha visto il coraggioso belga Wijnants resistere per oltre 200 km. La Lampre di Petacchi e la HTC-Columbia di Cavendish prendono in mano la situazione, con David Millar (Garmin) che fa risalire posizioni al compagno Tyler Farrar. Mancano 2000 metri, c’è un’insidiosa curva verso destra: Jeremy Hunt (Cervélo) sbaglia traiettoria e cade, coinvolgendo Mirco Lorenzetto (Lampre) e Óscar Freire (Rabobank); anche Mark Cavendish, pur non cadendo direttamente, rimane staccato definitivamente dalla testa del plotone. Ma non è finita qui: agli ottocento metri una mischia incredibile attorno alla quindicesima posizione porta a terra Basso, Cancellara e dozzine di altri corridori che però si rialzano; ai trecento metri, il francese Lloyd Mondory (Ag2r-La Mondiale) cade anche lui, frenando lo sprint di Tyler Farrar. Sprint che forse non gli sarebbe valsa la vittoria, vista la netta superiorità messa in mostra da Alessandro Petacchi (Lampre-Farnese Vini): il velocista ligure dribbla le cadute con intelligenza e fortuna, per trionfare nella città che ha dato i natali ad Eddy Merckx con una volata lunga e potente che non lascia scampo ai rivali, alla faccia dei 36 anni compiuti. Lo spezzino torna al successo alla Grande Boucle, sette anni dopo il poker ottenuto nel lontano 2003. In classifica non cambia nulla, anche perché in questo Tour non si assegnano abbuoni e, ai meno 3 km, è intervenuta la neutralizzazione del tempo a salvare cronometricamente i vari atleti terminati a terra: Fabian Cancellara può indossare dunque la sua diciassettesima maglia gialla. Domani 192 km tra Bruxelles e Spa, segnati da sei côtes nei chilometri finali che potrebbero ingolosire molti corridori e, perché no, far segnare la prima battaglia tra gli uomini di classifica.

Domenica 4 luglio 2010
Tour de France, seconda tappa
Amsterdam – Bruxelles (222 km)

ORDINE D’ARRIVO:

Ciclista Squadra Tempo
1. Alessandro PETACCHI Lampre-Farnese Vini 5h09’38”  (media 43,30 km/h)
2. Mark RENSHAW HTC-Columbia stesso tempo
3. Thor HUSHOVD Cervélo stesso tempo
4. Robbie McEWEN Team Katjuša stesso tempo
5. Mathieu LADAGNOUS Française des Jeux stesso tempo
6. Daniel OSS
Liquigas-Doimo a 2″

CLASSIFICA GENERALE:

Ciclista Squadra Tempo
1. Fabian CANCELLARA Saxo Bank 5h19’38”
2. Tony MARTIN HTC-Columbia a 10″
3. David MILLAR Garmin a 20″


12. Adriano MALORI Lampre-Farnese Vini a 35″

MAGLIA VERDE (punti):

Ciclista Squadra Punti
1. Alessandro PETACCHI Lampre-Farnese Vini 35
2. Mark RENSHAW HTC-Columbia 30
3. Thor HUSHOVD Cervélo 26

MAGLIA BIANCA (giovani):

Ciclista Squadra Tempo
1. Tony MARTIN HTC-Columbia 5h19’48”
2. Geraint THOMAS Team Sky a 13″
3. Edvald BOASSON HAGEN Team Sky a 22″

Marco Regazzoni

WIMBLEDON: NADAL SEMPRE PIU’ IL NUMERO UNO

Rafa Nadal conquista per la seconda volta il torneo di Wimbledon centrando la prestigiosa doppietta Parigi – Wimbledon mentre il ceco Berdych sale all’ottavo posto del ranking.

Rafa Nadal
Foto: Tonelli

Rafael Nadal, a dispetto degli organizzatori di Wimbledon che nel seeding delle teste di serie gli avevano preferito Roger Federer, si conferma il numero uno del tennis mondiale vincendo per la seconda volta nella sua carriera il torneo londinese. Nella finale, lo spagnolo ha avuto la meglio sul ceco Tomáš Berdych che nel cammino verso l’epilogo ha collezionato gli scalpi importanti di Roger Federer e di Novak  Ðoković, teste di serie numero 1 e 3 del torneo.

Il mancino di Maiorca, alla sua quarta finale a Wimbledon ma per la prima volta non opposto a Federer, ha vinto il primo set 6-3 grazie a due servizi strappati al ceco e ha avuto la pazienza di attendere l’errore di Berdych, arrivato solo al dodicesimo gioco, per chiudere anche il secondo parziale sul 7-5. A questo punto con il ceco svuotato, è stata impresa facile per Nadal chiudere con un 6-4 la seconda doppietta Parigi – Wimbledon (come nel 2008), impresa riuscita solo ai fuoriclasse del tennis come Rod Laver, Bjorn Borg e Roger Federer.

Nel ranking ATP, Rafa allunga ancora sul nuovo secondo, Novak Ðoković, che scavalca Federer mentre Berdych dal tredicesimo posto sale all’ottavo, miglior classifica della sua carriera che lo aveva visto al nono posto nell’estate del 2007.

Massimo Brignolo

BRASILE E ARGENTINA: ANATOMIA DI DUE FALLIMENTI

Una chiave di lettura sull’eliminazione delle due sudamericane favorite per il titolo

Foto: EPA

Un Mondiale pubblicizzato come sudamericano ha perso le due regine ai quarti, con il solo Uruguay a vincere una partita persa. I motivi della disfatta di Brasile e Argentina sono di facile decrittazione. Contro l’Olanda è accaduto quello che sospettavamo: un Brasile senza nessun ricambio valido (tranne Dani Alves) che desse lo spunto decisivo per uscire da un gioco molto lineare è stato messo fuori dall’irruenza di Felipe Melo e dalla costanza dell’Olanda, capace di giocare allo stesso ritmo e con fraseggi molto simili per l’intero incontro (deve stare molto attenta all’Uruguay, capace di difendere forte e cambiare passo meglio del Brasile, anche se mancando Suárez, miglior attaccante del Mondiale insieme a Villa, perde tantissimo). Adesso la squadra deve rifondarsi e vincere in casa. Per questo motivo chi prenderà il posto di Dunga avrà all’inizio i benefici dell’effetto Prandelli (o post-Lippi, Dunga in questo caso), ma poi dovrà sobbarcarsi un lavoro psicologico tremendo. Brasile 2014 deve dare la sesta stella, c’è poco da stare lì a riflettere. Con quale Brasile, ad oggi, si arriverebbe ad un evento così importante? In difesa ci sono dei ricambi validi, primo fra tutti Thiago Silva, anche se Maicon, Lúcio e Juan non nascono ogni quattro anni. Il portiere potrebbe rimanere, anche se il vivaio è prolifico e qualche altro giovanissimo sulle fasce in Brasile nasce sempre. I veri problemi sono centrocampo e attacco.

La volontà di Dunga di giocarsela con chi gli ha fatto vincere Coppa America e Confederations Cup, convocando giocatori inutili (Júlio Baptista, Josué, Gilberto Melo, Grafite) lo ha lippizzato e ha creato lo stesso sconquasso generazionale in cui si trova l’Italia. Una generazione in Brasile è totalmente saltata e dei nati nella prima metà degli anni ’80 c’è il solo Robinho che può arrivare, da grande vecchio, all’appuntamento brasiliano. C’è da puntare quindi sui giovanissimi: qui sorge un altro problema che è invece tipico del paese sudamericano (a differenza dell’Argentina). Una marea di calciatori giovani lasciano prestissimo i loro club di appartenenza, come è sempre successo. Ma invece di arrivare in Italia, Spagna, Germania o Inghilterra, i dollaroni di Russia, Giappone, Grecia e addirittura Ucraina fanno più gola. Della squadra vicecampione mondiale under 20, Dunga non ha convocato nessuno. E, tra quelli che giocavano in quella squadra, Douglas Costa e Alex Texeira sono allo Šachtar Donec’k, Rafael Tolói è vicino ad una delle grandi di Mosca, Renan è allo Xerez in prestito dal Valencia, Diogo all’Olimpiakos, Alan Kardec al Benfica e Souza al Porto. Della squadra titolare della finale contro il Ghana nessun elemento gioca in una grande squadra europea, molti vincitori di quel match (solo ai rigori e in modo immeritato) giocano in squadre di seconda fascia europea, ma almeno sono stati convocati e hanno giocato già il loro primo Mondiale. Con una squadra completamente da rifare, giovani che non hanno nessuna grande esperienza internazionale e senza convocazioni in Nazionale, il Brasile è un cantiere in cui è tutto ancora da decidere.

Per l’Argentina invece, il discorso è molto diverso. Il più grande errore di Maradona è stato credere che Messi fosse lui. Un errore che ha creato le premesse per la figuraccia tattica di ieri. Ieri l’Argentina era una squadra da dopolavoro. Tutti fermi ad aspettare le accelerazioni di Lionel. Come accadeva nel 1986, secondo un calcio di mille anni fa. L’idea di Maradona era fotocopiare il 1986 e riproporlo grazie alla Pulce. Una difesa bloccatissima (Brown, Cuciuffo e Ruggeri erano tre centrali e Olarticoechea non garantiva una grandissima spinta), centrocampo di lotta con un mediano compassato che moderava i ritmi e faceva muovere a cadenza bassissime la squadra (e qui nasce il primo grande problema: Batista nel 1986 poteva giocare al calcio perché bastava fraseggiare a velocità da dopolavoro nella propria metà campo, mentre con il pressing di oggi Verón è improponibile e Maradona sapeva di non poterlo schierare dopo che lo aveva testato nella prima gara con la Nigeria), un attacco con un centravanti goleador e una seconda punta che svariava.

Il nodo e lo snodo è il numero 10. Lì c’era Maradona, che saltava gli uomini e riusciva a non imbottigliarsi mai (anche per la mancanza di pressing). In questo modo apriva spazio per gli altri due attaccanti che trovavano sempre la strada spalancata. Messi invece saltava i primi due e andava ad imbottigliarsi in mezzo a tre avversari che gli negavano tutti gli spazi di passaggio. In questo modo continuava a dribblare, perdendo palla o tirando in porta sbilanciato. Messi non è Maradona perché doveva capire di anticipare il tempo di passaggio, così da coinvolgere gli altri nel gioco e destabilizzare la difesa avversaria. Non è Maradona perché se vicino non gli metti Xavi e Iniesta che portano la palla pulita fino ai 25 metri, Messi non è capace di far muovere la squadra, costretta a stare appresso alle sue briciole. Nel Barcelona può aspettare a sinistra lo svolgimento del gioco e poi accendersi quando la difesa avversaria deve già prendere in carico l’intero fronte del gioco, mentre nell’Argentina, non avendo mediani di costruzione, parte dal centro e va a fare confusione sia a destra che a sinistra, bloccando qualsiasi gioco in fascia. Con un Verón, e non con Cambiasso e Zanetti che non avrebbero portato nessuna variante in questo sistema di gioco, questo gioco si poteva attuare, ma la Brujita era da pensione. Sciocco anche il richiamo a Milito, che sa giocare soprattutto in profondità con una batteria di mezze punte che portavano palla senza darla mai nello spazio. Maradona per me ha fatto il massimo con una squadra facilmente disinnescabile.