Otto squadre (Rimini, Mantova, Gallipoli, Perugia, Monopoli, Itala San Marco, Pescina e Scafatese) non avevano neanche provato ad iscriversi, sette (Arezzo, Real Marcianise, Alghero, Cassino, Manfredonia, Olbia e Pro Vasto) non avevano opposto ricorso alla prima decisione della Covisoc; il quadro delle squadre escluse dai prossimi tornei professionistici si è definito ieri con la mancata accettazione da parte della Covisoc dell’Ancona (serie B), Figline (Prima Divisione) e Legnano, Potenza, Sangiustese e Pro Vercelli in seconda divisione.
Ventuno squadre su 132 spariscono dalla mappa del calcio professionistico italiano, più del 15 percento, una mattanza. Non si è più di fronte al caso singolo del presidente che ha fatto il passo più lungo della gamba ma ad un problema sistemico dove la Lega Pro paga dazio all’ipertrofica struttura dei campionati. La realtà italiana non è in grado di supportare 132 squadre professionistiche e la nuova riforma dei campionati dovrà partire da questa consapevolezza.
Il calcio perde una squadra storica come la Pro Vercelli con i suoi sette scudetti tra il 1908 e il 1922, una squadra come il Perugia che ha scritto pagine importanti nella storia della serie A negli anni Ottanta e soprattutto perde realtà che rappresentano bacini di utenza importanti: spariscono nove capoluoghi di provincia (anche se a Vercelli la Pro Belvedere retrocessa ai playout dalla seconda divisione chiederà il ripescaggio).
Parte ora, per ridefinire gli organici dei nuovi campionati la giostra dei ripescaggi che in ogni caso consegnerà dei tornei dove le partecipanti non dipenderanno da meriti sportivi. Triestina o Hellas Verona dovrebbero sostituire l’Ancona in serie B ma il ripescaggio richiede due milioni di euro di pagamento immediato, è difficile prevedere che gli altri 20 posti in Prima e Seconda Divisione possano consentire tornei a ranghi completi. La richiesta di ripescaggio in Prima Divisione vale un milione e duecentomila euro, in Seconda Divisione ottocentomila.
Massimo Brignolo