Da anni ormai, in ogni grande corsa a tappe del ciclismo mondiale c’è una presenza fissa, una squadra che non cambia né sponsor né maglia: è la Euskaltel-Euskadi, una vera nazionale basca, formata unicamente da corridori e tecnici di questa particolare comunità della Spagna pirenaica. Sin dal 1994 le divise arancioni di questo team sono il simbolo ciclistico dei Paesi Baschi: persino le biciclette usate dagli atleti, di marca Orbea, sono fabbricate in quella regione. Considerando il paesaggio tipicamente montano della zona in questione, non c’è da stupirsi che quasi tutti i ciclisti della Euskaltel siano scalatori puri. Nelle tappe di montagna, infatti, sono sempre tra i protagonisti principali, incitati da migliaia di loro tifosi e corregionali che accorrono sulle principali salite alpine e pirenaiche, colorando di arancione la giornata al grido di “Gora Euskadi”, forza Paesi Baschi. Roberto Laiseka, al pari di Iban Mayo e Haimar Zubeldia, è stato uno dei principali interpreti non solo del ciclismo basco, ma anche del carattere mai domo, fiero ed orgoglioso di quella gente.
Nato a Guernica, la città immortalata in tutto il suo dolore da Pablo Picasso, il 17 giugno 1969, Laiseka cresce negli anni in cui, a breve distanza, si alternano due campionissimi delle due ruote, ovvero Eddy Merckx e Bernard Hinault, stagioni nelle quali il ciclismo spagnolo è comunque brillante con ottimi atleti dal calibro di Luis Ocaña, José Manuel Fuente e Pedro Delgado. Alto e slanciato (184 cm per 63 kg), Roberto ha dunque il “phisique du role” per fare lo scalatore. Dopo la tradizionale gavetta nelle categorie giovanili e dilettantistiche, passa tra i professionisti nel 1994, con la neonata Euskadi. Nelle prime stagioni da professionista non riesce a dare pieno sfogo alle sue grandi capacità, sbagliando spesso i tempi dell’azione in corsa: anno dopo anno tuttavia, l’esperienza accumulata gli permette di guadagnare lucidità e razionalità, doti fondamentali per vincere ad alto livello, perché anche nelle tappe di montagne, notoriamente le più spettacolari, spesso non bastano un gran cuore e due gambe in forma per poter trionfare. Per scoprire la gioia della vittoria, Laiseka deve aspettare i 30 anni: è la diciottesima tappa della Vuelta a España 2000, con traguardo sul temibile Alto de Abantos, salita che l’atleta basco doma sfruttando in maniera perfetta la volontà di Ullrich, Gonzales de Galdeano e Heras, i big della classifica, di controllarsi reciprocamente; in un mare di bandiere arancioni, Roberto transita per primo sul traguardo con una ventina di secondi sul belga Vandenbroucke, straordinario e sfortunato campione. L’anno dopo la stessa corsa gli regala il secondo urrà della carriera: al termine di una lunga fuga a sei, Laiseka scatta ad una manciata di chilometri dall’ambito traguardo di Andorra-Arcalis, facendo letteralmente il vuoto, visto che il secondo classificato, il bravo Carlos Sastre, è a quasi un minuto di distacco. Sfiora il successo anche dieci giorni più tardi, a Ciudad Rodrigo, ma qualche incomprensione di troppo con l’altro fuggitivo García Acosta permette al kazako Vinokourov di rientrare su di loro, beffandoli a 400 metri dall’arrivo, tra lo sconforto generale del pubblico. Per quanto in montagna sia sempre tra i protagonisti, Laiseka perde un’eternità nelle prove a cronometro, come succede sempre agli scalatori più puri, e quindi non può mai essere pienamente competitivo per la vittoria finale di una grande corsa a tappe, dovendosi accontentare solo di qualche piazzamento: infatti, potrà vantare al massimo un sesto posto nella graduatoria generale proprio di quella Vuelta.
L’impresa più bella della sua carriera non arriva sulle strade spagnole, ma su quelle francesi: è la quattordicesima tappa del Tour de France 2001, ultima frazione di montagna di quella Grande Boucle, col traguardo posto a Luz Ardiden, spettacolare località pirenaica. Ullrich, Kivilev e Beloki non hanno né le possibilità né le gambe per attaccare Lance Armstrong, dominatore assoluto, per la seconda delle sue sette volte, di quel Tour, e dunque c’è spazio per i cacciatori di tappe, per gli scalatori puri in cerca di gloria. La lunga fuga partita sin dal mattino si sparpaglia tra l’Aspin e il Tourmalet, e il bergamasco Wladimir Belli, eterno piazzato del grande ciclismo (basti pensare ai 25 piazzamenti tra i primi dieci in tappe del Giro d’Italia, senza la gioia di un successo), culla il sogno dell’impresa, ma non ha fatto i conti con Roberto Laiseka: quel giorno, l’atleta basco non è da solo, perché tutto il suo popolo è sulle strade di quell’ascesa, tra prati e tornanti, in un tripudio di bandiere arancioni e di Gora Euskadi. Ai -10 dal traguardo Laiseka rompe gli indugi, salutando il gruppo dei migliori e piazzandosi all’inseguimento del bergamasco, ormai sfinito, raggiungendolo nel giro di pochi minuti. In testa da solo, gli ultimi chilometri segnano il vero trionfo del ragazzo di Guernica, incitato da due ali di folla che sembrano due pareti umane a fianco della strada: uno spettacolo, quello di un pubblico del genere, che solo il ciclismo sa regalare. Laiseka passa la linea d’arrivo facendosi ripetutamente il segno di croce e fatica, dopo uno sforzo ed un’emozione del genere, a trovare il fiato e le parole giuste per rispondere alle domande degli incombenti cronisti; Belli, che dedica il piazzamento al compianto Casartelli, è secondo a 54’’.
Dopo quel giorno di gloria, il Cuore Basco di Laiseka, sempre più in sintonia con una grande lucidità tattica e un’ottima visione di corsa, brillerà altre due volte: ad Arrate, nella Bicicletta Basca del 2004, e ad Aramón Cerler, stazione sciistica dell’Aragona, nella Vuelta 2005. Appende la bicicletta al chiodo al termine della stagione successiva, a 37 anni suonati solamente a causa di un infortunio al ginocchio: la sua carriera gli ha regalato solo cinque successi, ma di una qualità veramente straordinaria. Le tredici stagioni in sella lo hanno visto indossare unicamente la casacca dell’Euskaltel-Euskadi, contribuendo a renderlo un vero idolo dei tifosi baschi, tra i quali è ancora oggi idolatrato come una delle principali espressioni sportive del coraggio, del temperamento e, appunto, del cuore di quella popolazione.