DUE PROPOSTE PER LA JUVE DEL FUTURO

JuventusCon cinque sole giornate al termine del campionato la classifica finale va ormai delineandosi, in particolar modo per certe squadre. Tra queste vi è sicuramente la Juventus di Gigi Delneri, che reduce dal pareggio di Firenze si vede ormai tagliata del tutto fuori dalla corsa al quarto posto. Le contemporanee vittorie di Udinese e Lazio, difatti, inguaiano non poco la società di Corso Galileo Ferraris, che non potrà presentarsi ai blocchi di partenza della principale competizione europea per club nemmeno nel corso del prossimo anno.  E’ già quindi tempo di programmare il mercato estivo. Nel dopo Calciopoli, difatti, troppi errori sono stati commessi in questo senso sulla sponda Bianconera di Torino e Marotta sa bene di non poter più sbagliare se vuole riportare la squadra che fu di Sivori, Platini, Baggio e Zidane nell’Olimpo del calcio italiano e non. Proprio in questo senso facciamo viaggiare un po’ la fantasia e proviamo, basandoci ovviamente sui più recenti rumors di mercato, ad immaginarci un paio di alternative tattiche per la Juventus che verrà.

Partiamo da un presupposto, quindi. Qualora restasse Delneri, la cui permanenza è però a tutt’oggi in dubbio, la soluzione più probabile sarebbe quella che vorrebbe la squadra nuovamente impostata con un classico 4-4-2. Cambiando allenatore – o qualora il tecnico di Aquileia decidesse di affidarsi continuativamente al 4-3-3 di queste ultimissime uscite – ecco che si potrebbe pensare ad un modulo differente.

Ma iniziamo, innanzitutto, con il sistemare la difesa. Perché entrambe le ipotesi che qui formulerò vertono su di una difesa a quattro uomini schierati in linea. Una volta risolta la grana Storari-Buffon, quindi, ecco che tendenzialmente si potrà decidere di confermare la coppia Bonucci-Chiellini. Va detto che i due nel corso di questa stagione non hanno mai fornito prestazioni esaltanti ma va altresì sottolineato come sicuramente abbiano patito l’influsso negativo derivante dall’atteggiamento di una squadra che all’alba dei primi di maggio si ritrova ancora senza una quadratura ben definita. Sulle fasce, però, qualcosa andrà fatto. Sulla destra, difatti, Sorensen si è disimpegnato discretamente, soprattutto alla luce del fatto che si tratta di un ragazzo di soli diciotto anni che nasce per altro centrale. Sulla sinistra, invece, infortunatosi De Ceglie, che comunque non garantiva sicurezza assoluta, né Grosso né tantomeno Traorè si sono rivelati all’altezza della situazione. Il ruolo del terzino non è comunque assolutamente da snobbare. Avere giocatori capaci di interpretare adeguatamente entrambe le fasi di gioco può infatti risultare determinante. Ecco quindi che per la prossima stagione pare potrebbe sbarcare a Torino quel Gregory van der Wiel che è ritenuto uno dei migliori prodotti sfornati negli ultimi anni dalla cantera dell’Ajax. Sulla sinistra si inizia invece a paventare il possibile ritorno di Domenico Criscito, che proprio nella Juventus terminò il suo processo di crescita calcistica prima di darsi al professionismo.

Sistemata la difesa, quindi, veniamo alle due possibili ipotesi di gioco, partendo con un classico: quel 4-4-2 che è ormai a tutti gli effetti parte integrante della storia del calcio. In questo senso partiamo col dire che c’è un solo innesto da fare forzatamente: quello di un esterno sinistro di valore. Perché, tutto sommato, riscattando Aquilani il centrocampo, almeno per ciò che riguarda i titolari, sarebbe sistemato. Comprando un giocatore alla Bastos, quindi, si potrebbe imperniare il proprio gioco sull’esuberanza di due esterni rapidi e dal buon drlibbing come il brasiliano ed il suo omologo Krasic schierando poi centralmente un Melo tuttofare cui affiancare la qualità di un Aquilani che dopo un anno di riadattamento al calcio italiano sarebbe chiamato al salto di qualità.

Questa è però solo un’ipotesi di centrocampo, ma se ne possono ipotizzare un altro paio. Nella prima il posto di Aquilani verrebbe rilevato da Andrea Pirlo, ancora oggi tra i migliori registi in circolazione, la cui dinamicità non è però mai arrivata a livelli assoluti e che come interno di un centrocampo a quattro potrebbe faticare molto. Nella seconda il posto dell’ex Reds sarebbe invece preso da Mascherano che darebbe così vita, assieme al solito Melo, ad una diga centrale difficilmente superabile per chiunque. E proprio l’accoppiata in questione potrebbe aiutare notevolmente a ritrovarsi sia Bonucci che Chiellini, troppo spesso in balia degli avversari nel corso di quest’anno. Quest’ultima ipotesi, comunque, impoverirebbe notevolmente la fase di possesso, laddove né Melo né Mascherano hanno le caratteristiche adeguate per impostare l’azione. Ecco quindi che a quel punto si dovrebbe fare grandissimo affidamento sui due esterni (più eventualmente le sovrapposizioni dei terzini) oltre che su di una coppia di attaccanti mobili, dinamici e capaci di apportare valore aggiunto alla manovra. In una squadra del genere, infatti, schierare come centravanti Trezeguet rischierebbe di essere controproducente. Il franco-algerino, come tutti ricorderete, è giocatore letale negli ultimi venti metri ma che poco aiuta i compagni nella costruzione della manovra. Ai due mediani, quindi, si aggiungerebbe un terzo giocatore che pur giocando oltre la cintola della squadra non contribuirebbe molto alla fase di possesso, limitandosi a finalizzare.

Riscattare un giocatore come Matri, cui magari affiancare un Giuseppe Rossi (o un Alexis Sanchez, che però quasi sicuramente non finirà a Torino), vorrebbe invece dire dare alla squadra più soluzioni, in questo senso. L’ex Rossonero è infatti centravanti atipico, di manovra. Giocatore che non si limita a stazionare nei pressi dell’area avversaria ma che, di contro, fa moltissimo movimento, svariando su tutto il fronte d’attacco e contribuendo notevolmente alla fase di possesso palla. Per non parlare poi di Rossi, che qualora sbarcasse a Torino potrebbe affiancare l’ex cagliaritano giocando da seconda punta dando più rapidità e brillantezza alla manovra ed andando, eventualmente, a scalare tra le linee, finendo col creare indubbiamente notevoli fastidi alle retroguardie avversarie.

Tutte ipotesi plausibili, comunque, posto che a fare la differenza sarà sempre poi l’amalgama che verrà creato in seno alla squadra. Il buon lavoro compiuto in sede di allenamento si rifletterebbe infatti sul campo, dando alla squadra quel quid in più, qualsiasi sia la soluzione scelta.

Per quello che mi riguarda, comunque, sono molto stuzzicato da quest’ultima ipotesi. Giocare con due mediani poco dediti alla costruzione del gioco rischia sicuramente di poter finire con l’essere un’arma a doppio taglio, ma instillando nella squadra i giusti meccanismi ecco che ci si potrebbe trovare di fronte ad una squadra molto quadrata ed ostica per tutti la cui prerogativa non sarebbe certo il calcio samba brasiliano ma che qualche soddisfazione potrebbe togliersela (e che sulla carta a mio avviso potrebbe lottare davvero per un posto Champions).

Qualora si decidesse invece di abbandonare il 4-4-2 personalmente propenderei per una sorta di 4-3-3 mascherato. Fonderei insomma questo modulo con un più coperto 4-5-1, il tutto sempre grazie agli esterni: confermerei infatti la coppia Krasic-Bastos cui chiederei di spendersi come ali pure in fase offensiva in appoggio dell’unica punta (nel caso andrebbe benissimo Matri) per ripiegare poi in linea coi tre mediani in fase di non possesso. Mediani non per nulla. Personalmente mi piacerebbe infatti costruire questo centrocampo con un centromediano metodista di costruzione come Pirlo, che a differenza che nel 4-4-2 sarebbe qui coperto dalla coppia Mascherano-Melo. Questa idea mi stuzzica davvero molto, e permetterebbe per altro di richiudersi al meglio in fase difensiva. Unica controindicazione: nessuno dei centrali di centrocampo avrebbe grandi doti di percussionista. La fase offensiva sarebbe quindi esclusivo terreno di caccia della punta e dei due esterni, più, saltuariamente, dei terzini. E’ altresì vero, però, che di tanto in tanto si potrebbe inserire Marchisio al posto di uno dei due corridori. Marchisio che ha indubbiamente doti importanti in quanto a inserimenti offensivi. Aspetto, questo, che potrebbe sviluppare ulteriormente proprio in un sistema di gioco come quello proposto.

Quale sarà il futuro della Juventus non lo so di certo. E, quasi sicuramente, le cose andranno ben diversamente rispetto a quelle ipotizzate.

Ma giocare non costa nulla, del resto. E farlo di tanto in tanto risulta anche stimolante.

ANDRÉ VILLAS BOAS , LO SPECIAL TWO

La favola di André Villas Boas, per otto anni secondo di Josè Mourinho

André Villas BoasPiù che una storia sembra una favola, la sua. Perché André Villas Boas sta dominando il campionato portoghese alla tenerissima età – per un allenatore – di trentatre anni. E senza aver praticamente mai tirato calci ad un pallone. I suoi inizi sono stati realmente molto particolari:  si dice infatti che abitasse nello stesso palazzo dell’allora allenatore del Porto Robson, cui faceva continuamente trovare nella cassetta delle lettere alcune sue considerazioni sulla squadra ed il suo inquadramento tecnico-tattico. Il tutto, è bene sottolinearlo, quando aveva solo diciassette anni. La cosa, manco a dirlo, impressionò molto il tecnico inglese che propose alla società lusitana di assumerlo come scout prima ed allenatore poi.

Tra il 2000 ed il 2001, quindi, fece la sua prima esperienza come mister quando accettò l’incarico, ricoperto per 18 mesi, di Commissario Tecnico delle Isole Vergini Britanniche, che non riuscì però a qualificare al Mondiale nippo-coreano (ma l’impresa, posso garantirvelo, sarebbe stata impossibile per chiunque). Lasciato l’incarico di C.T. ecco il suo ritorno al Porto, dove guiderà per un certo periodo la formazione under 19 dei Dragões.

Dopo l’ingaggio di Mourinho, quindi, ecco la sua promozione a vice proprio del futuro Special One. Il tutto sino allo scorso anno, quando accetterà l’offerta dell’Academica che prenderà all’ultimo posto in campionato per condurla ad una molto più tranquilla undicesima posizione.
Lo scorso tre giugno, poi, l’ennesimo ritorno al Porto, ma questa volta da allenatore in capo: dopo aver vinto tutto al fianco di Mou, insomma, il delfino di uno dei migliori allenatori del mondo è finalmente pronto a spiccare il volo.  E sembra averlo spiccato con buona lena, il volo. Perché al suo primo anno disputato sedendo sin dall’inizio su di una panchina il tecnico di Oporto sta compiendo delle grandissime imprese. Dopo aver vinto la Supercoppa nazionale contro il Benfica si è da poco aggiudicato il campionato con ben cinque giornate di anticipo, imponendosi proprio contro la squadra guidata, a livello societario, da Rui Costa. Porto che è inoltre ai quarti di Europa League. Anzi, potremmo dire in semifinale dato che il 5 a 1 dell’andata contro lo Spartak sa molto di qualificazione.

Villas Boas ha costruito una macchina da guerra praticamente perfetta. Basti pensare che in campionato ha totalizzato ventiquattro vittorie e due pareggi senza mai venire sconfitto, con ben sessantuno reti realizzate (otto più del Benfica secondo) e sole undici subite (quattordici meno del Benfica, secondo anche come miglior difesa). Il tutto in special modo grazie ad un percorso netto fatto registrare davanti al proprio pubblico che ha quasi dell’incredibile: tredici vittorie in tredici match, con trentasette reti realizzate a fronte di sei sole subite.

Le cose non vanno certo peggio in Europa: il Porto parte infatti dal turno di playoff dell’EL, dove si sbarazza facilmente dei belgi del Genk con un 3 a 0 alla Cristal Arena cui farà seguito il 4 a 2 dell’Estádio do Dragão. Inseriti nel Gruppo L con Besiktas, Rapid Vienna e CSKA Sofia, quindi, i lusitani raccoglieranno cinque vittorie ed un pareggio. Nella fase ad eliminazione diretta, poi, arriverà la sconfitta contro il Siviglia, che sarà comunque eliminato grazie alle due reti segnate fuori casa all’andata. Dopo aver posto fine anche al torneo del CSKA Mosca i lusitani sono destinati a chiudere ora i giochi anche per lo Spartak.

Questa sequela di numeri e risultati dimostra la bontà del lavoro svolto da Villas Boas in quel di Oporto. Villas Boas che predilige un 4-3-3  che non lascia niente al caso. Al solito, infatti, bisogna ricordare che parlare di moduli in sé e per sé è riduttivo. Si tratta di freddi numeri che vogliono dire davvero poco. Perché Leonardo schiera tre centrocampisti e tre punte, di fatto, ma dimostra di non curare al meglio la fase difensiva, che è spesso gestita da sei soli giocatori. Villas Boas, invece, fa proprio l’opposto: partendo dall’assunto che la miglior difesa è l’attacco (e che più la palla la si tiene là davanti meno rischi si corrono) dà anche mandato ai suoi di tornare quantomeno a coprire gli spazi, quando non a fare legna nella propria metà campo.

Ed allora ecco che oltre ad una classica linea di difesa a quattro schiera un mediano a protezione della stessa, e con compiti ben precisi: fare filtro a centrocampo scoprendo la linea arretrata il meno possibile per non far perdere il giusto equilibrio alla squadra. Al suo fianco, poi, due mezz’ali tecnicamente dotate che siano ben in grado, come nella miglior tradizione lusitana, di effettuare buon palleggio a centrocampo ma, nel contempo, di aiutare la squadra in fase di non possesso (ruolo questo ricoperto magistralmente, ad esempio, dal colombiano Guarin, piuttosto abile in entrambe le fasi di gioco).

Davanti, poi, un tridente amalgamato se non alla perfezione comunque in maniera magistrale: una prima punta rapace e dotata di senso del goal unico come Falcao affiancato da punte esterni agili, veloci e soprattutto dedite al sacrificio. In questo senso è bene sottolineare la presenza di quella che assieme – se non più – allo stesso Falcao è un po’ la stella della squadra, il brasiliano Hulk: fisico notevole, potenza rara, tecnica più che discreta e buona abilità nel dribbling. Non è e non sarà mai un Fenomeno in quanto tale, ma resta giocatore molto solido e che varrebbe bene un investimento importante.

Il titolo di questo articolo parla chiaro ed è un riferimento che sicuramente tutti avrete colto. Ma attenzione, come chi sa chi segue più o meno assiduamente quanto scrivo il mio non è affatto un paragone campato per aria. Come avrete potuto capire anche grazie a questo pezzo, difatti, i punti in comune tra Mourinho e Villas Boas sono molti. Innanzitutto la nazionalità ed il fatto che entrambi siano sbocciati nel Porto. Ma anche che ambedue diano un’attenzione particolarissima alla fase difensiva, così come che esattamente come era per Mourinho il modulo preferito da André è il 4-3-3 (che certo ricorderete essere lo stesso modulo che Mou provò ad imporre anche al suo arrivo a Milano, quando proprio per quel motivo si fece comprare i flop Mancini e Quaresma).

Insomma, diverse assonanze tra i due. E chissà che lo Special Two non superi il maestro, un giorno.

ALLEGRI 3 – LEONARDO 0

Massimiliano Allegri e LeonardoLeonardo contro il suo passato, Allegri alla prova del nove. Ecco cosa rappresentava, per i due tecnici, il derby milanese giocato nel corso dell’ultimo week-end. A spuntarla, alla fine, è stato proprio l’ex coach del Cagliari di Cellino, che ha schierato una squadra molto compatta e determinata, abile a sfruttare al meglio tutte le mancanze degli avversari. In campo scendono i giocatori, certo. Ed in questo senso espressi sul mio blog il mio punto di vista, con i giocatori del Milan tutti oltre la sufficienza e quelli dell’Inter in più casi incapaci di profondere le giuste energie.  Per ciò che riguarda questa partita nello specifico, però, credo che una chiave di lettura importante sia data proprio nel confronto tra quanto svolto tra i due tecnici perché mai come in questo caso le scelte dell’uno e dell’altro hanno inciso così profondamente una partita.

Iniziamo dallo sconfitto, allora: Leonardo che schiera il suo solito 4-2-1-fantasia che, e dovrebbe averlo ormai capito, risulta totalmente inadeguato in partite di questa importanza e contro avversari così dotati.
I più attenti potrebbero ora obiettare che quello adottato dal tecnico brasiliano sia fondamentalmente lo stesso modulo utilizzato da Mourinho nella stagione del Triplete: una punta centrale, Eto’o, Sneijder e Pandev a dare sostanza alla fase offensiva, due mediani ed una difesa a quattro a protezione del solito Julio Cesar. La realtà dei fatti è però ben diversa. Perché non sono sempre i numeri possono spiegare tutto, ed anche volendo davvero azzardare questo parallelismo finiremmo col cadere in errore. Perché un modulo in sé e per sé vuol dire poco. Molto più importante è come lo stesso viene interpretato.

Facciamo un esempio slegato dalla situazione di cui stiamo parlando per provare a spiegare meglio. Il modulo classico nel calcio di oggi è il 4-4-2. Modulo che però può variare molto a seconda degli interpreti in campo ed a seconda di come gli stessi occupino le posizioni a loro assegnate. Pensate ad un 4-4-2 con Marchisio a sinistra, Aquilani e Melo centrali e Krasic a destra: facile vedere sovente – e così è successo più volte, infatti – il serbo arrivare quasi ad allinearsi con le punte, con lo scivolamento degli altri centrocampisti a formare, in buona sostanza, una linea a tre. Ben diverso, invece, sarebbe utilizzare due ali di ruolo che limitandosi a giocare solo sugli esterni darebbero un volto molto più lineare a questo modulo. O, ancora, ben diverso è trovarsi a giocare con un 4-4-2 utilizzando i terzini bloccati piuttosto che mettere in campo lo stesso modulo ma farlo sfruttando dei terzini dalla buona capacità di spinta e capaci di andare ad effettuare continue sovrapposizioni.

Allo stesso modo nel caso in esame ecco che non si può fare un facile parallelismo tra il modulo utilizzato sovente da Mourinho e quello schierato nel derby da Leonardo. Perché non basta notare certe somiglianze, bisogna entrare più nel merito dell’approccio tattico al modulo stesso. E allora ecco che si può subito vedere come il tecnico lusitano partisse dalla costruzione di una fase difensiva solida, prima che da trame offensive efficaci. Perché schierava sì tre punte, ma solo a livello nominale. Il tutto a differenza di quanto fatto da Leo, laddove Eto’o, Pazzini e Pandev si sono davvero comportati da punte effettive. Insomma, mentre lo scorso anno tutti, partendo da Milito, erano impegnati nella costruzione di una fase difensiva solida (emblematica, in tal senso, la partita del Camp Nou) nell’ultimo derby meneghino la stessa era limitata a sei giocatori: i quattro difensori ed i due mediani. E con questo approccio tattico è davvero impensabile poter portare a casa vittorie importanti contro squadre di livello. Che poi la casualità lo possa consentire è altrettanto vero, ma in linea di massima si soffrirà davvero più del dovuto. E Leonardo non può non porvi rimedio.

Proprio questa questione è, a mio avviso, il tema tattico centrale del match andato in scena sabato sera. Perché proprio attorno a questa scelta si è deciso un match che ha visto l’Inter subire quasi costantemente gli avversari. Al di là di questa questione meramente tattica si possono comunque trovare anche altre colpe al tecnico nerazzurro. Innanzitutto la mollezza dei suoi giocatori: trovo sia piuttosto incredibile che una squadra come l’Inter possa scendere in campo per affrontare quella che è probabilmente la partita chiave di tutto il suo campionato con uno spirito così poco combattivo. E se in ciò hanno sicuramente parzialmente colpa i giocatori stessi non si può certo dire sia esente da colpe il tecnico, che dovrebbe lavorare nel corso della settimana precedente il match proprio anche su questi aspetti psicologici. Una partita del genere, insomma, dev’essere affrontata con ben altro mordente: ogni singolo uomo in campo ha l’obbligo di aggredire gli avversari su ogni pallone, di giocare con la massima attenzione e di lasciare il minor numero di spazi possibili, per poi cercare di sfruttare gli errori altrui al meglio. Esattamente il contrario rispetto a quanto accaduto a Zanetti e compagni, che sono scesi sul terreno di gioco molli come non mai e si sono fatti lungamente dominare dagli avversari, capaci di riportare una vittoria assolutamente meritatissima.

Tornando a parlare di scelte compiute da Leonardo, poi, va detto che il tecnico brasiliano ha perso la partita a centrocampo: ad una mediana schierata a tre con il supporto di Boateng sulla trequarti, infatti, Leo ha risposto, come detto, con due soli centrocampisti di ruolo a supporto del trequartista Sneijder. Finendo così sotto costantemente nel reparto nevralgico del campo. L’avanzamento di Zanetti sulla linea di Cambiasso e Motta, con magari la freschezza e la vivacità di Nagatomo a coprire la fascia sinistra e Sneijder alle spalle di Eto’o e Pazzini (con Pandev quindi relegato in panchina) avrebbe forse garantito all’Inter di andare meno in difficoltà e, se non altro, di schermare indubbiamente meglio la propria difesa, che avrebbe quindi probabilmente sofferto meno gli attacchi altrui.

In tutto ciò bisogna comunque dare anche i giusti meriti ad Allegri e ad i suoi ragazzi. Ma prima di entrare nello specifico delle scelte compiute dal tecnico rossonero due paroline vorrei spenderle proprio riguardo agli interpreti milanisti, che hanno giocato in linea generale davvero una buona gara. E allora oltre a fare i complimenti ad una linea difensiva molto solida ed attenta (dove il solo Zambrotta, rientrante dopo quattro mesi, è sembrato soffrire qualcosina, ma sicuramente la ruggine che si porta ancora addosso non l’ha aiutato in questo senso) e ad un attacco che ha messo ripetutamente in difficoltà la retroguardia avversaria (con Pato assolutamente decisivo ed un Robinho capace di far vedere i sorci verdi a Ranocchia e soci… se solo trovasse più freddezza sotto porta sarebbe davvero un giocatore difficilmente relegabile in panchina) non posso non soffermarmi proprio su quel centrocampo che ha saputo sfruttare al meglio le scelte avventate – di cui ho appena parlato – compiute da Leonardo per prendere possesso del reparto nevralgico del campo. In questo senso, quindi, non posso che complimentarmi con tutti e quattro i centrocampisti rossoneri: da Van Bommel, che ha interpretato alla grande il ruolo di vertice basso guidando molto bene il reparto e schermando al meglio la coppia Nesta-Silva, passando per Gattuso, che fino a che è rimasto in campo è stato utilissimo nel dare nerbo al centrocampo raddoppiando poi sovente su Eto’o, e Boateng, magistrale nel supportare gli attaccanti dando inoltre sostanza al proprio reparto grazie alle sue notevoli qualità fisiche, finendo con un Seedorf davvero magistrale che, al solito, si è esaltato nelle occasioni che contano. Sublime il match disputato dall’olandese, che ha insegnato calcio a tutto San Siro.

E proprio nella costruzione di questo predominio a centrocampo possiamo trovare i maggiori meriti di Allegri. Meriti che però non si esauriscono tutti lì. Di certo il tecnico di Livorno deve aver studiato a fondo la partita. Perché questo dominio a centrocampo non è frutto del caso, così come frutto del caso non può essere l’utilizzazione di Seedorf come mezz’ala, laddove da tempo ormai lo stesso veniva usato quasi solamente in appoggio alle punte. Riportarlo in una posizione più arretrata in un’occasione del genere, però, gli ha permesso di sfruttare tutta la sua classe senza, nel contempo, rinunciare alla straripante forza fisica di Boateng. Affiancare a Clarence due mastini come Van Bommel e Gattuso (sostituito in seguito da Flamini, col discorso che quindi non cambia), poi, significa proprio essere a conoscenza anche dei limiti del colored olandese, andando quindi a bilanciare la sua sempre più scarsa capacità di ripiegare con prontezza con due giocatori capaci di colmare, alla bisogna, le eventuali mancanze del più creativo compagno di reparto.

Sfida studiata nei minimi dettagli, insomma. Perché anche l’esclusione di Cassano a favore del duo Pato-Robinho non può essere certo stata frutto del caso. Così come proprio a seguito della mancanza di Ibrahimovic Allegri ha dovuto ridisegnare un po’ le manovre offensive dei suoi, con la squadra che in determinate circostanze ha cercato di più la profondità e che in linea di massima ha comunque cercato di sfruttare al meglio la rapidità dei due furetti là davanti.

In linea di massima, devo ammetterlo, a livello tattico più che di sfida vinta da Allegri mi verrebbe da parlare di sfida persa da Leonardo, capace di compiere errori marchiani. E’ altresì vero, però, che l’ex allenatore del Cagliari ha, come detto, grandi meriti, ed è assolutamente giusto riconoscerglieli. Sono ora curioso di sapere, in questo senso, cosa ne pensi Buffa del derby: dopo aver un po’ attaccato il tecnico livornese gli riconoscerà i tanti meriti per la splendida vittoria ottenuta in quest’importantissima stracittadina?

MILAN: BUFFA PORTA LA TESI, IO L’ANTITESI

Francesco F. Pagani confuta le analisi tattiche di Federico Buffa. Uno scontro tra titani.

Federico BuffaQualche giorno fa mi è capitato di assistere ad una delle analisi tattiche di Federico Buffa – noto giornalista Sky competentissimo in materia di calcio e basket – riguardante il Milan di Massimiliano Allegri. Nella stessa il sempre ottimo Avvocato dice cose condivisibili ed altre meno. Un punto di vista è sempre assolutamente rispettabile, ci mancherebbe; a maggior ragione quando espresso con la competenza e lo stile del cinquantaduenne opinionista milanese. Nel contempo, però, è altrettanto bello poter esprimere il proprio dissenso. Che è proprio ciò che farò in questo articolo, punto per punto.

Il Milan va al ritmo di Gennaro Gattuso

Tesi condivisibile solo parzialmente, a mio avviso. Il problema non è tanto a livello emozionale quanto a livello di solidità. Nel momento in cui l’ex Campione del Mondo 2006 scende in campo più spento del solito, difatti, a mancare non è tanto la sua verve carismatica – laddove questa squadra ha diversi altri punti di riferimento in questo senso – quanto più il suo apporto in mediana. Difficile pensare che giocatori come Nesta ed Ibrahimovic, per dirne due, possano farsi influenzare negativamente nel vedere Gattuso meno esplosivo del solito. Indubbiamente più probabile che a mancare sia proprio il suo apporto di ruba palloni: senza di esso, difatti, la squadra rischia di non essere così compatta e solida in fase difensiva. Inoltre Ringhio è un giocatore piuttosto lineare: non ha grandi colpi di classe ed un’eventuale incapacità di fare da frangiflutti davanti alla difesa ne riduce notevolissimamente il proprio apporto alla squadra.

Assenza di mancini: Emanuelson allarga il gioco

Anche in questo caso trovo la tesi di Buffa condivisibile solo parzialmente.  Avendo seguito Milan – Bari allo stadio, ovvero sia la partita cui si riferisce specificatamente l’Avvocato, posso dire che l’inserimento di Urby ha inciso solo parzialmente sulla partita. Vero è che la sua freschezza ha contribuito ad innalzare i ritmi, ancor più vero però che sin dalla prima palla giocata nella seconda frazione di gioco questi erano ben diversi rispetto al primo tempo. Del resto il punteggio era quello che era e le cose non potevano andare diversamente.
Emanuelson allarga il gioco? Sì. Ma non tanto in quanto mancino, quanto più per il fatto di essere un’ala di ruolo, cosa che né Gattuso né Flamini sono. Nell’occasione specifica, poi, bravo l’olandese a pescare Antonini con una bella verticalizzazione. Che però sarebbe potuta essere fatta tranquillamente anche da un destro.

Il Milan rischia pochissimo ma così facendo demineralizza il gioco offensivo

Anche qui trovo che il tutto sia vero solo in parte. Perché abbinare una fase difensiva di livello ad una fase offensiva mineralizzata è assolutamente possibile. Del resto Buffa stesso nel suo discorso dice che l’importante, per questa squadra, sia che la palla stia quanto più lontano possibile dalla porta, non interessa il come. Mentre invece è fattibile – Barcellona docet – uno scenario in cui sia proprio un possesso palla continuativo a limitare gli attacchi degli avversari. Del resto il Milan di Rui Costa, per fare un altro esempio, bene o male viaggiava su quelle logiche. E questo ci porta al prossimo punto…

Udinese, Real, Borussia e Porto si fanno attaccare per creare spazio per le proprie punte leggere

…che è anche il più interessante. Partendo dall’assunto che il concetto in sé non mi sembra correttissimo (l’Udinese ha due pesi leggeri davanti, ma su Real, Borussia e Porto – con Higuain o Benzema, Barrios ed Hulk – si potrebbe discutere rispetto a ciò che è leggero e ciò che non lo è) va detto che il sistema di gioco proposto da Buffa è lo stesso che lo scorso anno tutti i non tifosi interisti – milanisti in testa, quindi – criticavano a Mourinho: attendismo e gioco di rimessa.

Il Milan, però, ha tradizionalmente un approccio diverso. Che certo non è quello di quest’ultima stagione, ma che non può nemmeno essere ridotto ad un semplice contropiedismo. Da quando seguo il calcio io, difatti, ho più o meno sempre visto i Rossoneri venire costruiti affinché la squadra stessa potesse avere un gioco strutturato, con una fase di impostazione e costruzione da curare in ogni minimo dettaglio. Il Barcellona attuale, come dice giustamente Buffa, è sicuramente un metro di paragone da prendere con le pinze visti i giocatori unici che sono inseriti in quel sistema, ma è altrettanto vero che, appunto, il Milan è sempre stato costruito per imporre il proprio gioco su ogni campo, non per subirlo.
Cosa direbbero i tifosi vedendo una squadra rintanata nella propria metà campo contro un Bari ultimo in classifica, ad esempio, per cercare di togliere un paio di uomini alla loro fase difensiva creando così più spazio per Pato & company? Probabilmente non la prenderebbero benissimo.
E ancora: ma è davvero così semplice per il Milan giocare sul proprio campo cercando di far scoprire un Bari fanalino di coda? In questo il buon Buffa sembra quasi scordarsi il tatticismo esasperato che da sempre affligge il nostro calcio: da che mondo è mondo le piccole quando fanno visita ad una grande mettono in campo un catenaccio degno del miglior Rappan. Fare gioco attendista contro squadre di questo tipo non è quindi così automatico. Anzi.

Insomma, la sempre lucidissima analisi dell’ottimo Buffa ha avuto qualche falla, in questo. In linea di massima, comunque, mi sento di sottoscrivere anche molte delle cose dette, per quanto mi pare anche alquanto riduttivo, come sembra faccia lui, addossare un po’ tutte le colpe al povero Allegri. Per aprire un ciclo, del resto, c’è bisogno di tempo: va infatti costruita una rosa all’altezza, con giocatori di valore assoluto e soprattutto con una varietà tale da poter eventualmente adottare accorgimenti diversi a seconda della situazione.
Il buon Massimo, insomma, ha diverse attenuanti. In quel di Cagliari, poi, dimostrò di saper dare un volto alle proprie squadre e di essere in grado di impostare una fase offensiva capace di costruire gioco, senza limitarsi al solo attendismo. Esattamente come piace agli esigenti palati dei tifosi milanisti. Cui non resta quindi che dare ancora un po’ di tempo al tecnico di Livorno, che dovrà poi a sua volta essere bravo a sfruttarlo al meglio.

MILAN-BARI: SPUNTI DA STADIO

Milan-BariDomenica ho avuto l’onore ed il piacere di recarmi a San Siro, su invito della Gazzetta della Sport, in occasione dello scontro tra Milan e Bari, ovvero sia il più classico dei testa-coda. E proprio seguendo la partita dalle tribune anziché dalla televisione ho potuto fare caso a delle sfumature che vengono perse nel seguire i match da casa (va comunque altresì detto che ce ne sono altrettante che vengono invece perse nel guardare una partita allo stadio piuttosto che in tv). Ecco quindi qualche spunto interessante su cui mi è venuto da riflettere in merito a questo match.

Innanzitutto Van Bommel: giocatore ormai molto navigato, difatti, il centromediano metodista olandese mette tutta la sua esperienza al servizio della squadra. E se ciò è apprezzabile già seguendo il match comodamente spaparanzati in poltrona va detto che diventa ancor più palese dalle tribune. Splendido, in tal senso, vedere l’ex capitano del Bayern Monaco dare disposizioni ai compagni (quand’anche altrettanto esperti come Gattuso, giù fino agli esordienti come Merkel), sia in merito alle posizioni da tenere, che ai movimenti da eseguire che alla miglior gestione possibile del pallone. Intendiamoci: non sto certo dicendo di aver trovato il giocatore perfetto, ma ogni qual volta mi reco allo stadio ed ho l’opportunità di vedere dal vivo calciatori come lui resto sempre e comunque stregato dalla loro sagacia tattica. Così come un Messi nasce con la capacità di fare ciò che vuole palla al piede, del resto, ragazzi come Van Bommel nascono con un’intelligenza tattica superiore alla media. E quando la stessa si unisce ad un bagaglio esperitivo come il suo il gioco è fatto: ecco servito un ottimo direttore d’orchestra.

Dopo averne tessuto le lodi mi tocca però sottolinearne anche una gravissima mancanza. Per la più classica delle operazioni “un colpo al cerchio, uno alla botte”, quindi, ecco che non posso fare a meno di sottolineare il suo grave errore in occasione della rete barese. E qui va detta una cosa: lascia a bocca aperta vedere come Rudolf sia lasciato liberissimo di tagliare dall’out sinistro dell’area di rigore sino oltre al dischetto delle massime punizioni per poi colpire a rete incrociando il pallone in maniera imparabile per Abbiati. Il perché la punta ungherese possa compiere indisturbatamente tutto ciò è presto detto: il Milan marca a zona in situazione di calcio piazzato e nell’occasione specifica si viene a creare un buco laddove andrà ad infilarsi proprio l’ex Genoa che non venendo seguito da nessuno avrà gioco facile nel completare la sua manovra.
Difesa del Milan quantomeno rivedibile nell’occasione, quindi.

Ma perché le colpe maggiori le ha proprio uno dei giocatori tatticamente più intelligenti dell’undici di Allegri?
E’ presto detto: è proprio Van Bommel il giocatore ultimo cui Rudolf passa davanti nel suo tentativo di taglio. Ed è lui, quindi, che dovrebbe seguire l’avversario, impedendogli di entrare in possesso di palla sul tocco di Almiron o, quantomeno, di calciare agevolmente a rete. Il centrocampista Oranje, però, compie un peccato di sufficienza, nell’occasione e resta praticamente inchiodato al proprio posto, potendosi poi quindi solo limitare a seguire con lo sguardo il termine, nefasto, dell’azione. La sua reazione al goal mostra comunque chiaramente la sua grande intelligenza tattica: Mark capisce difatti subito di aver commesso un errore piuttosto grave, e si dispera. La frittata, però, è ormai fatta.

Interessante, tornando alla lettura tattica del gioco milanista, anche stare a guardare i movimenti dei tre d’attacco. Perché l’occhio della telecamera solitamente segue il pallone, facendo perdere tutto il resto. Ecco quindi che osservando il match dalle tribune si può notare subito come lo schieramento di base sia un classico 4-3-1-2 con Robinho alle spalle del duo Pato – Ibrahimovic ma anche che questo modulo non sia assolutamente rigido. I tre lì davanti, difatti, hanno tutti buona libertà di svariare, rendendo il gioco molto fluido da questo punto di vista. Ecco quindi che non deve stupire una situazione nella quale buttando l’occhio verso l’attacco rossonero, anche a palla piuttosto lontana, si possano trovare le due punte piuttosto larghe, con il presunto trequartista in posizione di prima punta. Scarsa rigidità nel mantenere una data posizione che comunque non sortisce grandissimi effetti: il Bari si difende infatti con dieci uomini (portiere compreso) praticamente sempre dietro la linea del pallone e la fluidità di movimento dei tre d’attacco non porta comunque il Milan a rendersi pericoloso con continuità, in special modo nel primo tempo.

Detto dell’attacco rossonero non posso quindi che chiudere parlando della fase difensiva barese (perché di quella offensiva mi verrebbe sinceramente difficile parlarne, non avendo, i pugliesi, prodotto praticamente nulla, nemmeno in contropiede), in particolar modo a quella del secondo tempo. Piuttosto incredibile, in tal senso, la disposizione tattica in fase di non possesso. Se sulla carta, ad esser buoni, potremmo dire che i Galletti si schieravano con un 4-5-1 di stampo prettamente difensivista ecco che la realtà dei fatti deve portarmi a parlare, più che altro, di un 6-3-1 quasi folle, che ha, a parer mio, consegnato il pareggio agli avversari. Fa un certo effetto, per altro, parlare di difesa a sei. Ma così è stato. Ogni qual volta i rossoneri superavano la metà campo, difatti, i quattro difensori in linea andavano a stringersi molto, portandosi tutti nello specchio dell’area e favorendo l’arretramento di due centrocampisti che allineandosi a loro andavano, appunto, a formare una difesa che folta è dir poco. A questo va poi aggiunto il fatto che nel contempo i tre giocatori rimasti a centrocampo si mettevano tutti a protezione della linea difensiva, andando a muoversi all’unisono verso destra o verso sinistra a seconda della zona in cui in quel momento stazionava la sfera.

Perché dico che quest’atteggiamento ha regalato il pareggio agli avversari?
Semplice. Non puoi regalare completamente un tempo di gioco. A maggior ragione quando ad un certo punto dello stesso ti ritrovi anche a giocare in superiorità numerica. Schierarsi con una difesa di questo tipo però vuol proprio dire quello: rinunciare a giocare e regalare completamente il pallino di gioco agli avversari, che a quel punto dovranno solo aspettare il momento buono per colpire. Momento che arriverà in tre diverse occasioni, perché poi, con tutto il rispetto, i difensori del Bari non sono nemmeno i fenomeni della situazione e prima o poi qualche buco te lo lasciano, quand’anche schierati a sei. Ecco quindi che dapprima Robinho è lasciato solo sul secondo palo e può colpire a rete su sponda aerea di Ibrahimovic, vedendosi però annullare il goal per fuorigioco millimetrico. Poi lo stesso svedese penetra centralmente su di un lancio stoppando, pare di braccio, per andare a bucare Gilet, anche questa volta inutilmente. Ed infine Antonini farsi lanciare da Emanuelson sull’out di sinistra riuscendo a penetrare la linea difensiva barese per crossare poi in mezzo all’area, dove Cassano sarà lasciato inspiegabilmente solo.

Difendersi ad oltranza è molto spesso controproducente. Farlo lasciando si creino queste falle è quasi deleterio.