IL RIVER E’ TORNATO

E’ dal Torneo Clausura del 2008 che il River Plate non riesce ad imporsi in campionato. Quest’anno, però, le cose sembra possano cambiare

E’ dal Torneo Clausura del 2008 che il River Plate non riesce ad imporsi in campionato, collezionando anzi prestazioni certo non all’altezza della propria fama. Quest’anno, però, le cose sembra possano cambiare. La squadra allenata da Juan José Lopez pare infatti aver trovato una propria quadratura in grado di permettere loro di competere per la vittoria del campionato sino all’ultima giornata.  Vediamo allora come è costruita la macchina riverplatense, ingranaggio per ingranaggio.

Partiamo dal guardiano dei pali, quindi. Che in queste prime tre uscite del Clausura 2011 è stato il giovane Leandro Chichizola, quasi ventunenne estremo difensore argentino che ha sfruttato l’infortunio dell’ex laziale Carrizo per sorpassare Daniel “El Indio” Vega nelle preferenze del proprio mister guadagnando così la maglia da portiere titolare. Ripagando per altro la fiducia del proprio tecnico: nelle prime tre uscite stagionali, infatti, il buon Chichizola non ha subito alcuna rete.

La difesa, invece, si schiera a tre, in linea. In Argentina, infatti, questo tipo di soluzione tattica è piuttosto apprezzata. Ecco quindi che J.J. Lopez appronta proprio una retroguardia di questo tipo, imperniata sulle prestazioni di giocatori come Jonathan Maidana, Adalberto Roman ed Alexis Ferrero. Difese di questo tipo presuppongono una buona copertura del centrocampo, specialmente sulle fasce. Ecco perché proprio qui vengono schierati ragazzi come Paulo Ferrari e Juan Diaz, ovvero sia, fondamentalmente, dei terzini adattati a fare i fluidificanti tra difesa e centrocampo. Insomma… da questo punto di vista l’approccio difensivo del River Plate ricorda un po’ quello di quell’Udinese di cui vi parlai qualche settimana fa. Ed è una fase difensiva che, ripeto, pare davvero funzionare: gli attacchi di Tigre, Huracan ed Independiente si sono infatti dovuti arrendere all’evidenza dei fatti, non riuscendo a bucare nemmeno una volta l’estremo difensore riverplatense.

La solidità difensiva è comunque garantita anche dagli interni di centrocampo, Acevedo ed Almeyda. Due giocatori che con il loro lavoro oscuro fungono infatti da discreti frangiflutti davanti alla linea a tre di difesa. Il secondo dei due, per altro, immagino lo ricorderete un po’ tutti: vecchia conoscenza del nostro calcio, il buon Matias sta trovando una seconda giovinezza con la maglia dei Millionarios, squadra di cui è per altro il capitano.

L’interesse maggiore relativamente a questa squadra sorge comunque rispetto all’attacco. Anzi, specificatamente rispetto alla trequarti. E’ qui, difatti, che giostrano le due stelline più luminose del firmamento riverplatense: Erik Lamela e Manuel Lanzini. Del primo si è già parlato tantissimo: su di lui piombò infatti il Milan, nel passato, che pareva volerlo acquistare. Classe 92 Lamela è considerato uno dei talenti più puri cresciuti tra le ultime generazioni argentine. Il secondo, invece, è un classe 93 di chiare origini italiane su cui ancora non sembrano essere piombate le grandi d’Europa, che però di certo lo staranno osservando con attenzione. Proprio questi due ragazzini, schierati l’uno al fianco dell’altro a supporto di una sola punta, sono i giocatori deputati a costruire e rifinire il gioco dei Millionarios. Qualora continuassero a mantenere la maglia da titolare sino al termine della stagione ed il River dovesse terminare la stessa in maniera trionfale i due sarebbero già proiettati nell’Olimpo del calcio argentino. Davanti, infine, nell’attesa di tornare a vedere un altro giovanissimo come Funes Mori si sta disimpegnando, come unica punta, l’ex Estudiantes e Betis Siviglia Mariano Pavone.

Davvero interessantissima, nel complesso, questa squadra. E da amante del calcio a tutto tondo mi permetto di darvi un consiglio: quando dovesse capitarvi investite un paio d’ore a guardare il River Plate, perché la sola presenza di due talenti come Lanzini e Lamela renderebbe quel tempo impiegato in maniera proficua.

SE IO FOSSI REDKNAPP….

Mettiamoci nei panni di Redknapp in vista della gara di ritorno tra Tottenham e Milan

CrouchPenso un po’ tutti abbiate seguito la disfatta casalinga del Milan di Allegri contro il Tottenham di Redknapp nell’andata degli ottavi di finale di Champions League. Quasi al termine di una gara giocata piuttosto maluccio dai Rossoneri, infatti, Ibrahimovic sbagliò un appoggio al limite dell’area Spurs consegnando palla agli avversari, con Modric che lanciò il contropiede di Lennon il quale dopo aver percorso più di metà campo palla al piede – saltando a mo’ di Holly Hutton il povero Yepes, comunque tra i migliori dei suoi – servì a Crouch il pallone che valse l’1 a 0 finale.

Nella gara di ritorno, che si disputerà a White Art Lane il prossimo 9 marzo, gli inglesi saranno chiamati a difendere il vantaggio conseguito all’andata, e tutto potrebbe essere più facile per loro. Proverò quindi a mettermi nei panni del loro allenatore, il buon Harry Redknapp, per dire due paroline rispetto a come gestirei io la partita.  Innanzitutto è bene dire una cosa: forti del vantaggio accumulato i londinesi potrebbero tranquillamente limitarsi a difendersi per colpire in contropiede. Del resto le carte in regola per fare ciò le avrebbero tutte, a maggior ragione posta la presenza di due ali veloci e ficcanti come Lennon e Bale (che dovrebbe essere del match, a differenza dell’andata). Nel contempo, però, prima di impostare una gara prettamente di ripartenza cercherei di capire in che condizioni si presenterà il Milan a Londra.

Ed ecco qui le mie due possibili opzioni.

Ipotesi 1

Il Milan si presenta a Londra con una formazione molto simile rispetto a quella dell’andata, ovvero sia con una difesa non irresistibile sulle fasce e bucabile in velocità centralmente ed un centrocampo muscolare ma poco brillante in fase di possesso.

In questo caso l’opzione migliore, a mio avviso, sarebbe quella di impostare una squadra fatta per imporre il proprio gioco, con un centrocampo quanto più possibile folto e composto da gente con i piedi buoni. In questo senso si dovrebbe quindi replicare un po’ quanto fatto all’andata, anche se, possibilmente, con Modric, Huddlestone e Bale al posto di Sandro, Palacios e Pieenar. Così facendo il tasso tecnico di un centrocampo che aveva già comunque sopraffatto gli avversari nel corso del match di andata si alzerebbe notevolmente, con gli Spurs che potrebbero così fare del gran possesso palla per andare fin da subito alla ricerca di un goal che darebbe ulteriore tranquillità alla squadra di Redknapp.

In questo modo il Milan, che di contro dovrebbe comunque partire per provare ad imporre il proprio ritmo al match, potrebbe essere messo in scacco: esattamente come all’andata, infatti, potrebbe trovare grossi problemi a costruire gioco, lasciando il pallino dello stesso in mano agli avversari e finendo con l’essere pericoloso praticamente solo su calcio piazzato.

Ipotesi 2

Il Milan si presenta a Londra senza grosse defezioni ed imposta una squadra che fa proprio della tecnica il proprio punto forte, mostrando chiara la volontà di scendere in campo per dare un’impronta ben precisa alla partita, imponendo da subito il proprio gioco onde provare a forzare la difesa Spurs per andare a trovare da subito quel goal che riequilibrerebbe il risultato dopo la sconfitta dell’andata.

In questo caso – posto che comunque si potrebbe tranquillamente adottare la stessa soluzione proposta in precedenza sperando poi di riuscire, anche grazie al sostegno del pubblico, a prendere il sopravvento – preferirei invece schierare una squadra più chiusa, magari sfruttando i polmoni di Palacios al fianco della prestanza di Huddlestone con Modric a quel punto ad agire poco avanti a loro, in sostituzione di Van der Vaart.

E, soprattutto, punterei tutto sull’accoppiata Bale-Lennon, che in quel caso sarebbe la vera arma in più della squadra. Dopo aver blindato la difesa ed essermi coperto per quanto possibile a metà campo, infatti, cercherei di impostare la gara proprio sfruttando al massimo il sovraffollamento nella mia trequarti campo per chiudere tutti gli spazi agli avanti Rossoneri e ripartire in velocità. E non è solo un modo di dire: Lennon e Bale sono difatti, come credo tutti sappiate, due ali dalla velocità realmente eccezionale, che in una situazione del genere, e con spazio davanti visto il probabile sbilanciamento degli avversari, potrebbero risultare realmente devastanti.

A quel punto, poi, valuterei bene anche la soluzione offensiva: il vertice alto del mio 4-5-1 a questo punto potrebbe diventare Defoe, giocatore dalla velocità eccellente sicuramente molto più portato al contropiede di quanto non possa esserlo Crouch. Certo, però, che anche quest’ultimo potrebbe avere la sua utilità non indifferente: la sua altezza ne fa difatti da sempre un’arma tattica importante per qualsiasi squadra in cui si trova a giocare, e proprio in relazione alla stessa il buon Peter potrebbe essere sfruttato come boa là davanti, giocatore cui andare a recapitare gli eventuali lanci lunghi dalla difesa. Va però detto che qualora si ripetesse la medesima marcatura dell’accoppiata Nesta-Yepes su di lui lo stesso Crouch verrebbe limitato notevolmente in questo senso, esattamente come accaduto all’andata. Ecco quindi che, se disponibile, Defoe resterebbe la mia prima opzione.

Ciò che farei sicuramente a priori è far rifiatare un buon numero di giocatori nel match di Premier precedente a questo: il 5 marzo, difatti, gli Spurs faranno visita al Molineaux dove ad attenderli ci sarà l’attuale fanalino di coda del campionato, il Wolverhampton. Nessuna sfida è da sottovalutare, certo, ma personalmente sono per un uso anche massiccio del turn over, laddove possibile. Ecco quindi che  prima di una sfida importante come quella del White Art Lane contro il Milan sfrutterei la piacevole coincidenza di affrontare uno tra gli avversari sulla carta più morbidi del campionato per far riposare quei giocatori chiamati poi a fare la differenza quattro giorni dopo in Champions League. L’unica controindicazione, in questo caso, è rappresentata dal buon rendimento dei Wolves di fronte al proprio pubblico: sei vittorie, due pareggi e cinque sole sconfitte (contro lo score di 1-2-11 che hanno invece lontano dal Molineaux)…

UN AZZURRO … DI QUALITA’

Quali sono le soluzioni tattiche a disposizione di Cesare Prandelli e della sua Nazionale per piedi buoni?

Cesare PrandelliPartiamo da un presupposto: mercoledì sera non ho potuto guardare la partita, avendo altri impegni. Né, nei giorni successivi, ho avuto modo di recuperarla altrove. Il tempo è tiranno! Ovviamente sto parlando del confronto tra Germania ed Italia, con cui la simpatica Federcalcio tedesca pare volesse prendersi una piccola rivincita dopo l’eliminazione nella famosa semifinale Mondiale del 2006. Detto ciò, quindi, non mi soffermerò certo sul match in sé, ma credo che un focus generale sul futuro della nostra nazionale sia d’uopo.

L’idea mi è venuta nell’ascoltare la conferenza pre-partita di Prandelli, che nel rispondere alle varie domande dei giornalisti – in particolare a quelle relative alla prima convocazione dell’oriundo Motta – ha parlato delle sue idee relative alla qualità del gioco che dovrà esprimere la sua squadra.
Qualità che dovrà in special modo essere fornita dal centrocampo, che, nell’idea del mister di Orzinuovi, dovrà essere imperniato su giocatori più capaci di trattare il pallone che non dai polmoni d’acciaio (ma dalle scarse abilità tecniche).

Le uniche vie percorribili, tatticamente parlando, vanno tutte in una sola direzione: squadra stretta, scambi rapidi e penetrazioni centrali. Perché il nostro Commissario Tecnico è stato chiaro, ma del resto non serviva nemmeno il suo intervento in questo senso: il campionato italiano oggi non esprime esterni nostrani di qualità ed è quindi impensabile che la nostra nazionale, per tornare ad alto livello nel breve periodo, possa impostarsi proprio in quest’ottica. Per intenderci, quindi, questa è un po’ una bocciatura a tutti quei moduli, come il 4-4-2 classico per dirne uno, che fanno del gioco e delle sovrapposizioni sulle fasce il proprio punto di forza. Non avendo esterni di valore assoluto, infatti, bisogna trovare delle alternative valide.

Settimana scorsa parlai di come Didier Deschamps si trovi ad un bivio, con il suo OM: l’ex tecnico juventino dovrebbe infatti decidere, per provare a ravvivare le sorti della sua squadra, se continuare con l’uso dell’attuale 4-3-3 o passare ad un 4-3-1-2 diversamente bilanciato. Allo stesso modo oggi Prandelli credo si trovi di fronte ad un bivio molto simile: 4-3-2-1 (leggibile anche come 4-3-3, del resto) o 4-3-1-2? La mancanza di esterni puri consiglia infatti di schierare un centrocampo a tre a supporto di un attacco variamente composto. E qui i discorsi si intrecciano.

Ma prima di parlare di centrocampo ed attacco in senso stretto facciamo una piccola digressione parlando di atteggiamento generale di una squadra. Perché da quando seguo la nazionale (1994, questione puramente anagrafica) raramente ho visto gli Azzurri scendere in campo per imporre il proprio gioco come solitamente fanno Spagna e Brasile, per restare in tema di nazionali, o il super Barcellona di Guardiola, per venire ad un club. Solitamente, infatti, le fortune della nostra rappresentativa maggiore si sono costruite più sull’attendismo, su di una impostazione tattica molto prudente ed atta alla ripartenza, che sull’imposizione del proprio gioco. Il tutto però è stato spesso possibile anche grazie alla presenza di veri e proprio Campioni là davanti, in grado di dare qualità alla manovra o finalizzare con estrema efficacia. Campioni che oggi sembrano scarseggiare abbastanza: i vari Gilardino, Cassano, Pazzini e compagni non sono infatti minimamente all’altezza dei Baggio, Vieri, Del Piero e Totti del passato. In una situazione del genere, quindi, si deve andare a maggior ragione alla ricerca di un gioco di squadra che sia quanto più qualitativo possibile nella sua globalità, proprio per colmare la mancanza di veri e propri trascinatori capaci di nascondere le falle del collettivo nel suo intero. Detto ciò, quindi, in cosa consiste il dilemma che si dovrebbe porre Prandelli?

Il discorso concernente il centrocampo varia relativamente rispetto alla scelta tattica in sé. Perché qualsiasi sia l’intenzione rispetto all’attacco da schierare (due mezze punte ed una punta, una mezza punta dietro ad una seconda punta di fantasia e movimento ed un puntero o un trequartista alle spalle di due punte pure) è abbastanza palese come in mezzo al campo dovranno essere schierati tre giocatori che formino una cerniera capace di cucire il gioco quanto di fare da frangiflutti davanti alla difesa. In questo senso quindi Prandelli dovrà decidere, di volta in volta, se sarà meglio schierare un regista puro centrale (alla Pirlo, per intenderci), con al fianco due mezze ali più o meno dedite alla fase offensiva o difensiva, a seconda della necessità. Oppure se piazzarci un mediano ben strutturato fisicamente (come lo stesso Motta, appunto) ma comunque dai piedi sensibili con due mezze ali ai propri fianchi che, anche qui, possano completare il reparto a seconda delle evenienze. Ciò che è certo è che se davvero Prandelli vorrà dare più qualità al gioco di questa squadra dovrà affidarsi a giocatori tecnicamente capaci. Gattuso, anche ai livelli del 2006, farebbe quindi probabilmente fatica a trovare spazio. Le alternative certo non mancano. Il problema vero è capire se questi giocatori sapranno finalmente raggiungere uno status di giocatori di livello mondiale, cosa che si addice a chi si disimpegna da titolare in una squadra quattro volte campionessa iridata. I vari Pirlo, Motta, Montolivo, De Rossi, Marchisio, Aquilani e compagnia compongono comunque un reparto sulla carta sicuramente interessante e più che discreto tecnicamente. Base interessante da cui partire in un’ottica come quella lasciata intendere dal tecnico di Orzinuovi.

I dubbi maggiori sono quindi legati a chi dovrà giocare dalla cintola in su.
Volendo, infatti, il nostro Commissario Tecnico potrebbe ad esempio decidere di schierare una sola punta di ruolo supportata da due giocatori di fantasia che andrebbero etichettati come seconde punte, rendendo quindi quello Azzurro una sorta di attacco a tre a tutti gli effetti, che potrebbero però anche essere letto come una sorta di albero di Natale con due giocatori in appoggio dell’unica punta. Oppure, come dicevo in precedenza, potrebbe decidere di schierare un centrocampista con doti e propensione da trequartista (come il succitato Aquilani stesso, che potrebbe tranquillamente giocare in quel ruolo) dietro a due attaccanti, per un modulo sulla carta più equilibrato. Anche in attacco, comunque, le alternative non mancano. Il problema principale è che manca, come detto, il Campione vero, in grado di cambiare il match a proprio piacimento. Nel contempo, però, con a disposizione Pazzini, Cassano, Matri, Gilardino, Borriello, Rossi, Balotelli e compagnia le alternative non mancano, e non sono nemmeno di così scarso valore.

I presupposti per fare bene ci sono di certo. Vincere è sempre difficile, ma ben figurare è sicuramente possibile.

OM: NECESSARIO UN CAMBIO DI MODULO?

Olympique MarsigliaLo scorso anno si impose al termine di una lunga cavalcata che lo portò a chiudere il campionato con sei punti di vantaggio sul Lione. Quest’anno, invece, la squadra allenata da Didier Deschamps, l’Olympique Marsiglia, ha avuto un inizio piuttosto stentato e si trova ora quarto a sei punti dal Lille primo in classifica. Il tutto grazie alla recentissima vittoria sull’Arles fanalino di coda: la squadra di Michel Estevan, infatti, è stata sinora capace di guadagnarsi otto soli punti in ben ventidue giornate di campionato, ed è già praticamente retrocessa in Ligue 2. Vittoria quindi praticamente scontata quella dell’OM, che serve però a rilanciare le ambizioni di una squadra partita per difendere il titolo guadagnato la scorsa primavera.

Compagine, quella marsigliese, che denota in particolar modo una difficoltà imprevista sotto porta: in ventidue giornate i ragazzi di Didì Deschamps sono difatti stati in grado di realizzare solo trenta reti, contro le quaranta del Lille capolista. Difficoltà, questa, che si è palesata anche contro la peggior difesa della Ligue 1: quella dell’Arles, appunto.  Nei primi 21 match di campionato, infatti, i ragazzi di Estevan si erano fatti bucare ben 42 volte, con una media secca di due reti subite a partita. L’OM, però, è stato capace di trovare la via della rete in una sola occasione, palesando quindi ancora una volta una certa incapacità di pungere. Il tutto nonostante l’ex allenatore juventino schieri una formazione piuttosto offensiva fatta di tre punte tra le più interessanti del campionato ed un centrocampo a tre con un mediano d’interdizione affiancato da due mezz’ali molto tecniche e dal buon piede. Una formazione, insomma, che non dovrebbe incontrare problemi né nel costruire gioco né nel finalizzarlo. Ma analizziamolo meglio questo 4-3-3 marsigliese schierato contro l’Arles.

Tra i pali trova collocazione il capitano della squadra, Mandanda, protetto da una linea a quattro formata dalla coppia centrale Diawara-Mbia con due terzini tendenzialmente bloccati come Fanni ed Heinze. Difesa a sua volta schermata da Charles Kaborè, schierato in mediana, ai cui fianchi agiscono il sempre ottimo Lucho Gonzalez, giocatore che sono convinto farebbe molto bene anche in Italia, e Benoit Cheyrou, mezz’ala mancina molto apprezzata in patria. In attacco, quindi, schierato il trio – sulla carta – delle meraviglie Remy-Brandao-Gignac.

Partita che inizia però subito maluccio per i padroni di casa che mostrano una certa fragilità in fase difensiva laddove i movimenti della linea a quattro non sembrano ben registrati e Kaborè è lasciato dai compagni un poco troppo solo in mediana. In compenso in attacco le cose stentano a decollare: il pallone non scorre fluidamente ed è trasmesso con qualche impiccio da un reparto all’altro, tanto che la prima grande occasione per l’OM è frutto più del caso e della capacità di un singolo, Gignac, che di un convincente gioco di squadra. Ecco quindi come una palla scodellata in mezzo viene alzata a campanile dalla testa di Brandao con l’ex punta del Tolosa che dopo averla fatta rimbalzare s’inventa una splendida rovesciata con cui prende tutti alla sprovvista, venendo però fermato dalla traversa.

Con il passare del tempo i padroni di casa riescono comunque a prendere fiducia nei propri mezzi, guadagnando sempre più campo e creando via via occasioni sempre più importanti. Così dapprima Lucho lancia Remy alle spalle di una difesa spaccata, con Merville costretto all’uscita di piede per anticipare l’ex punta nizzolina. Poi Cheyrou si accentra dalla sinistra e arriva al tiro dopo uno splendido uno-due con Gignac, con Merville ancora bravo ed attento a respingere di piede. In chiusura di primo tempo arriva quindi la seconda traversa marsigliese, con Lucho che calcia una splendida punizione dal limite senza però riuscire a trovare la via di porta.

A dieci minuti dall’apertura di ripresa, quindi, L’OM passa in vantaggio grazie ad una bella azione corale che mette in mostra come, dopotutto, la tecnicità per effettuare certe giocate c’è tutta al Velodrome: Gignac parte da prima della trequarti sinistra scaricando su Lucho per andare poi ad accentrarsi, puntando il centro dell’area. Nel contempo Brandao, schierato centrale nel tridente approntato da Deschamps, effettua il movimento opposto: nel momento in cui Lucho sta venendo in possesso del pallone, infatti, il puntero brasiliano si allarga proprio sulla sinistra, per dettare il passaggio al compagno. Il tutto ottenendo un doppio beneficio: da una parte taglia alle spalle di un avversario andando a portarsi in una zona di campo sguarnita dove potersi impossessare del pallone senza grandi problemi, dall’altra disorienta quello che era il suo diretto marcatore e la difesa tutta, creando un bel buco in mezzo all’area dove s’infilerà, lesto, proprio Gignac.

Una volta arrivato in possesso della palla, quindi, Lucho vedrà subito il movimento del compagno e lo servirà, dando il la ad un’azione che si rivelerà decisiva: una volta portatosi sul fondo, difatti, Brandao centrerà un pallone basso su cui piomberà, puntualissimo, il buon Gignac, che potrà quindi realizzare comodamente la rete della vittoria.  La possibilità di ben comportarsi, insomma, ce l’hanno tutta, a Marsiglia. Del resto quando si può contare su giocatori importanti come Cheyrou, Lucho ed il tridente delle meraviglie è anche scontato averle, queste possibilità.

Il problema vero è che la squadra fatica a creare una propria fisionomia di gioco. Ed in questo uno dei principali colpevoli non può che essere, ovviamente, il buon Didì. Ed è un vero peccato: forti della seconda miglior difesa del campionato (18 reti subite in 22 match, contro le 17 del Rennes) les Olympiens avrebbero davvero tutte le carte in regola per riconfermarsi campioni di Francia.

Ma come si potrebbe rinvigorire una fase offensiva particolarmente deficitaria? In questo senso, è certo, il brutto infortunio occorso a César Azpilicueta, ventunenne terzino spagnolo ex Osasuna, non aiuta di certo. Il suo sostituto, acquistato a dicembre in fretta e furia proprio per poter tamponare al meglio la lunga assenza dell’ex capitano dell’under 20 iberica (che resterà assente sino alla prossima estate a causa di un infortunio ai crociati), non riesce infatti a dare lo stesso apporto in fase offensiva e di costruzione: per quanto sia un giocatore di ottimo livello Rod Fanni è terzino abile in fase difensiva ma che non sa spingere con continuità. L’esatto opposto di un Azpilicueta che, di contro, forse paga qualcosa in fase difensiva ma certo sa spingere con efficacia, risultando spesso un’opzione in più per la propria squadra. Al tempo stesso anche panchinare Taiwo, come successo appunto contro l’Arles, può risultare controproducente. E’ vero che Heinze avendo giocato per anni centrale dovrebbe garantire una miglior copertura ed una maggior robustezza al pacchetto arretrato ma è altrettanto vero che il terzino nigeriano con le sue qualità atletiche tracimanti ed un tiro al fulmicotone sa rendersi indubbiamente molto più pericoloso nella metà campo avversaria, risultando importante tanto in fase propulsiva quanto realizzativa (il venticinquenne di Lagos è infatti il quarto miglior realizzatore ed terzo miglior assistman della squadra in questa stagione).

Lo schierare due terzini prettamente difensivi anziché più portati ad offendere non può comunque spiegare da solo la scarsa vena realizzativa di questa squadra, posto poi che Taiwo ha comunque giocato la maggior parte dei match e che tutto sommato dovrebbe essere ritenuto il titolare di questa squadra (per quanto gli sia stato preferito Heinze come terzino negli ultimi due match). La motivazione principe credo vada quindi ricercata proprio nel modulo adottato dall’ex capitano Bleus. Per proteggere gli investimenti fatti in estate, infatti, Deschamps è quasi costretto a schierare praticamente sempre Gignac e Remy, che stanno mantenendo una media realizzativa piuttosto scarsa: il primo ha sinora disputato venti match realizzando sei sole reti, il secondo ne ha invece giocati ventidue realizzandone sette. Nel complesso, posto che Brandao è riuscito a fare anche di peggio con tre segnature in ventidue partite, ecco che la situazione è realmente piuttosto desolante. E dato che questo tridente sembra non funzionare ecco che bisognerebbe pensare ad una qualche soluzione tattica differente.

In questo senso vedo due vie percorribili: la prima prevederebbe l’utilizzo di questo stesso schema ma con interpreti diversi, la seconda proprio un cambiamento di modulo. Nello specifico: qualora Deschamps voglia a tutti i costi continuare a schierare il suo 4-3-3 dovrebbe pensare a panchinare una volta per tutte Brandao, la cui fisicità può certo venire comoda in alcuni frangenti ma che è assolutamente troppo lontano da una media realizzativa anche solo vagamente accettabile. In questo caso, quindi, potrebbe schierare Gignac fisso nel centro dell’attacco, anziché farlo partire a sinistra come nel derby con l’Arles, con il giovane André Ayew sulla fascia mancina ed il solito Remy su quella destra, andando così a fare molto più affidamento su tecnica ed inventiva che su fisicità e sportellate.

Nel secondo caso, quello del cambio di modulo, si potrebbe invece pensare di passare ad un centrocampo a quattro schierato a mo’ di rombo, magari ispirandosi al Milan di Ancelotti. Per fare questo, però, occorrerebbe avere un regista di centrocampo, ruolo in cui l’OM si ritrova ad essere piuttosto scoperto. Per ovviare alla cosa si potrebbe quindi pensare di spostare Lucho centralmente, dando a lui i compiti di impostazione allor quando l’azione riparte dalla difesa, con Kaborè a ricoprire un ruolo da mastino di centrocampo stile Gattuso e Cheyrou a fare la mezz’ala classica con compiti di sostegno e finalizzazione, un po’ come fatto a suo tempo da Seedorf. Sulla trequarti, poi, potrebbe trovare spazio, una volta ripresosi dall’infortunio, Mathieu Valbuena. Anche se, in alternativa, quel ruolo lo si potrebbe far ricoprire ad Ayew, ragazzo che predilige giocare largo a sinistra ma la cui fantasia potrebbe comunque tornare comoda anche centralmente, a ridosso delle punte. Che, in quel caso, potrebbero essere Gignac e Remy, come prima scelta, con Brandao pronto a subentrare. I tre hanno infatti caratteristiche piuttosto diverse e sono accoppiabili a piacimento: la duttilità di Gignac permetterebbe di fatto tanto di schierarlo con Remy, che potrebbe usarlo come riferimento schierandosi da seconda punta mobile capace di dialogare coi compagni centralmente quanto, alla bisogna, di allargarsi sulla destra per cercare il fondo, quanto di schierarlo con Brandao, andando lui, in quel caso, a giostrare come seconda punta. Così come, del resto, si potrebbe decidere poi di lasciare a riposo l’ex stella del Tolosa, schierando Brandao centravanti boa con l’ex Nizza a supporto.

Gli accorgimenti tecnico-tattici utilizzabili, insomma, sono molteplici. Si tratta solo di trovare la giusta quadratura del cerchio. Al termine del match contro l’Arles il buon Deschamps ha parlato di squadra ancora in convalescenza, che deve ritrovarsi dopo un inizio di stagione sottotono. Personalmente credo che sia il caso, in questo momento, di dare un po’ una scossa ad un gruppo di giocatori che non riesce ad esprimere il proprio enorme potenziale.

Ecco perché personalmente opterei proprio per un cambio di modulo.

ALLA SCOPERTA DELL’UDINESE AMMAZZAGRANDI

Nel giro di una settimana ha sconfitto Juventus ed Inter. Nel corso del campionato aveva già sconfitto il Napoli (oggi secondo) e pareggiato a San Siro col Milan capolista per 4 a 4. Parliamo dell’Udinese.

Totò Di NataleNel giro di una settimana ha sconfitto Juventus ed Inter. Nel corso del campionato aveva già sconfitto il Napoli (oggi secondo) e pareggiato a San Siro col Milan capolista per 4 a 4. Stiamo parlando dell’Udinese, squadra che dopo l’importantissima vittoria di Torino si trova ora in sesta posizione, a due soli punti da una zona Champions che non è poi così un miraggio.

Parliamone, allora, di questa macchina costruita da Guidolin. Perché l’undici di base è ben definito e i meccanismi piuttosto chiari. Riuscendo a raccogliere risultati così importanti, poi, vale proprio la pena analizzare un po’ come stiano le cose in quel di Udine.

In Friuli il mister di Castelfranco Veneto sta impostando un 3-5-2 piuttosto quadrato capace di mettere in difficoltà un po’ tutti gli avversari grazie ad un mix di grinta, rapidità e talento davvero importante. Partiamo dalla difesa, quindi. Dove possiamo trovare tre uomini schierati a protezione del solito Handanovic, ormai alla quarta stagione da titolare in Friuli: Benatia, Zapata e Domizzi, schierati con il colombiano come centrale posto un paio di metri dietro ai due compagni. E proprio il ragazzo di Padilla è colui che con la sua esperienza, a fronte dell’ancor pur giovane età, è deputato a guidare l’intero reparto.

Detto del reparto arretrato passiamo quindi in mediana. Al centro del campo si schierano infatti tre giocatori deputati ad effettuare tre lavori specificatamente diversi: se Inler è il motorino di un centrocampo che gira grazie al suo dinamismo ma, soprattutto, attorno alle sue giocate e seguendo il tempo che proprio da lui è dettato, Pinzi è invece il soldatino infaticabile che effettua un importantissimo doppio lavoro, andando tanto a pressare alto le fonti di gioco avversarie quanto a tamponare le incursioni sulla propria trequarti campo. Chiude il lotto quel Kwadwo Asamoah che è invece un po’ il tuttofare del reparto: abbinando qualità e quantità, infatti, l’ex Liberty Professional contribuisce a dare nerbo al proprio centrocampo addizionando anche un lavoro importante in fase offensiva, dove sa spesso rendersi anche pericoloso grazie ad una discreta castagna e a tempi d’inserimento piuttosto buoni.

I giocatori chiave di questa Udinese guidoliniana non sono però quelli sin qui citati, che pur importanti non rivestono il ruolo centrale dei tre che vado a presentare ora: Armero, Isla e Sanchez.

Se i primi due contribuiscono, con il loro lavoro instancabile, a cucire i tre reparti infoltendo la linea di retroguardia quanto dando un’opzione in più in fase di possesso il terzo è il giocatore capace di sparigliare le carte in tavola, inventandosi la giocata risolutiva quanto piazzando l’accelerazione decisiva al momento giusto. Ma vediamo le cose più nel concreto: Armero ed Isla, due giocatori che in altri contesti potrebbero forse apparire solo onesti mestieranti del pallone, ricoprono in quest’intelaiatura un’importanza centrale. Dotati di un atletismo realmente importante, infatti, sanno coprire tutta la fascia senza colpo ferire, andando quindi tanto ad infoltire la retroguardia in fase di non possesso, allor quando schiacciandosi in linea con Domizzi, Zapata e Benatia possono trasformare la difesa in una linea a cinque, quanto a risultare determinanti in fase di possesso, sapendo scendere come treni per mettere in mezzo palloni importanti. Un po’ come quello del definitivo due a uno sulla Juventus di domenica sera. Ma non solo: sempre restando alla partita di Torino va detto che i due possono risultare importanti anche quando cercano di giocare quanto più larghi che mai, finanche proprio a ridosso della linea laterale, per provare ad aprire il più possibile la squadra avversaria, con i terzini altrui costretti a loro volta ad allargarsi per cercare di controllarli, andando quindi spesso a creare falle centrali importanti. Fondamentale anche il gioco di Sanchez, che abbinando una rapidità superlativa ad una creatività rara sa essere quell’uomo capace di andare tanto a giocare tra le linee quanto a svariare sulla fascia per trovare il varco giusto.

Chiude quest’undici che sta tornando a far sognare il pubblico del Friuli capitan Totò Di Natale, che dopo aver rifiutato in estate il passaggio proprio alla Juventus sta disputando un ennesimo campionato su livelli stratosferici. Prima punta atipica, Di Natale abbina rapidità, esperienza e fiuto del goal in un mix unico e letale che si è tradotto nelle quindici reti realizzate sino ad oggi dal bomber di Napoli.

Fin dove possa arrivare, questa squadra, non è dato saperlo. Di certo finché le cose gireranno come sta accadendo ultimamente nessun traguardo sarà impossibile. Certo non quel quarto posto che sembra oggi realmente a portata di mano e che sarà sicuramente raggiungibile se l’undici di Guidolin continuerà a marciare sulla strada sino ad oggi intrapresa.